LA CRESCITA INARRESTABILE DELLA DESTRA

Una delle costanti della situazione politica di questo paese è costituita da un
progressivo spostamento a destra del suo asse politico. Questa tendenza non è
rappresentata solo dalla presenza (come dicono i sondaggi) di un’area del 40%
dell’elettorato che si divide tra due partiti di estrema destra razzisti, populisti xenofobi e
ultra nazionalisti, alleati di un partito di destra moderata e ladrona, i quali, insieme
raccolgono i favori della maggioranza dell’elettorato, ma anche per il fatto che questa
svolta a destra è alimentata da scelte moderate e di destra dei partiti cosiddetti di centro e di sinistra, escluso solo il 5% circa (ininfluente) dell’elettorato di qualche raggruppamento di sinistra..
Ebbene la ragione di quanto sta avvenendo è tutta qui. Le classi subalterne, gli sfruttati, gli ultimi, i penultimi e perfino la residua classe media, non hanno nessuno che ne rappresenti compiutamente gli interessi, che sostenga un programma chiaro e visibile di intervento sulle crescenti povertà del paese. E allora si rivolgono, disperate, alla destra
sperando, che l’offerta demagogica che fa sia pagante.
La destra invoca meno Stato, meno tasse, più laissez faire e al tempo stesso promette più servizi, più sanità, più protezione: la formula, benché inconsistente, sembra
funzionare, grazie all’indicazione di un nemico comune, brutto e visibile: l’immigrato
spesso di colore.
A fronte di tutto questo le forze politiche di centro e di sinistra, o sedicenti tali,
sono incapaci di spiegare e di formulare proposte capaci di legare gli interessi delle classi subalterne, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

I ricchi hanno combattuto la guerra di classe e l’hanno vinta

È tragicamente vero: i ricchi hanno combattuto la guerra di classe e l’hanno vinta, prova ne sia che la maggior parte delle ricchezze del pianeta è nelle loro mani. L’Italia non fa eccezione e la ricchezza è concentrata nelle mani dellì1% della popolazione e sempre più diffusi sono i detentori di patrimoni immobiliari, di capitali immobilizzati, i possessori della ricchezza parassitaria e speculativa; sempre più ristretto il numero di coloro che investono e producono, sia pure da padroni.
Ma il numero dilaga sol che ci si sposti alle diverse componenti delle classi subalterne. Esiste nel paese una questione propria delle classi medie che sono state spazzate via dalla globalizzazione, dalle modifiche intervenute nei processi produttivi che ne hanno ridotto il ruolo, dalla concentrazione della ricchezza e pertanto molti di coloro che ne
facevano parte sono andati a alimentare le classi subalterne, popolando periferie sempre più degradate, spremuti da una tassazione che utilizza i detentori di reddito fisso come mucche da latte da spremere per alimentare la riproduzione dell’apparato statale e riscuotere le tasse. Su di loro incombe oggi il peso del ricorso, accelerato dalla pandemia al lavoro a distanza che spossessa le lavoratrici e i lavoratori della vita, che riduce a merce il loro tempo-vita e il loro privato, li espropria di ogni residuo di valori e persino dell’individualismo borghese.
Esiste poi in Italia una questione operaia costituita dalla continua ristrutturazione delle filiere produttive, dalle smobilitazioni aziendali, dovute al decentramento produttivo e alla delocalizzazione, che continua per soddisfare il bisogno dei padroni sempre alla ricerca di un costo del lavoro inferiore: da qui hanno origine crisi aziendali drammatiche
che si vanno ad inanellare una all’altra, senza che si veda alcuna soluzione. A riguardo il Vate-premier sa solo dire che bisogna salvare il lavoro sano e far morire quello malato. Decisamente non c’è da stare allegri, anche perché, passata la sbornia dell’economia green da costruire, vedremo chiusure e fallimenti e un’oggettiva riduzione dell’occupazione anche dovuta al sempre più massiccio aumento dell’automazione: certamente una riduzione dell’orario di lavoro per tutti aiuterebbe a risolvere il problema, ma si punta piuttosto all’aumento della produttività e al contenimento del salario e dei
costi sociali per l’impresa.
C’è poi una questione contadina che presenta diversi aspetti. La vulgata che va per la maggiore fa passare l’idea che il futuro sia l’agricoltura biologica, la produzione e la distribuzione dei prodotti agricoli in uno schema di agricoltura di prossimità. E invece questa è solo una faccia del problema, perché la stragrande maggioranza delle persone ricorre e dipende dalla grande distribuzione e quindi dalla produzione estensiva e industriale, sia per ciò che concerne frutta e verdura, ma anche carni, pesce e prodotti caseari. Ebbene chi lavora in questa economia per produrre, chi distribuisce i prodotti? Ed ecco così emergere il problema della logistica e la questione bracciantile.

La questione della logistica e quella bracciantile oggi in Italia

Il problema della logistica è stato posto all’attenzione dell’opinione pubblica dal diffondersi della vendita on line, alimentata dalla pandemia, e dalla crescente presenza di raider, sottopagati e precari che sono riusciti a organizzare lotte efficaci e sembrano faticosamente andare verso un contratto di lavoro che garantisca almeno i diritti minimi. Ma gli ultimi degli ultimi sono certamente i braccianti che lavorano in agricoltura e nelle catene alimentari di ogni tipo.
Si tratta nel primo e nel secondo caso soprattutto di immigrati, spesso senza permesso di soggiorno, che vivono, abitano (si fa per dire), vendono la loro forza lavoro nelle campagne in condizioni inique e spesso subumane. Non si tratta qui di assenza di garanzie minime, ma di assenza totale di diritti: orari di lavoro massacranti ed infiniti, condizioni di lavoro e di sfruttamento assoluto, assenza di assistenza medica, di sicurezza sul lavoro, mancanza di vestiti e attrezzature adeguate, di abitazioni anche minimamente dignitose, di mancanza di pasti adeguati, di luce acqua e gas e di ogni servizio essenziale. Siamo di fronte a una condizione diffusa e purtroppo uniforme di sfruttamento, con un mercato nero del lavoro, alimentato da una legislazione sull’emigrazione costruita ad arte che criminalizza il migrante, lo trasforma in un perenne clandestino, lo immette vita natural durante in un circuito infernale nel quale la perdita di diritti è totale.
È questo il motivo per il quale va oggi lanciata una vertenza della quale tutti coloro che lavorano devono farsi carico, anche in considerazione che queste pratiche tipiche del lavoro clandestino, si vanno diffondendo sempre più e generalizzando. Vale qui ricordare che il padrone quando organizza e gestisce lo sfruttamento non distingue tra persone in possesso della cittadinanza e clandestini, ma anzi tende ad estendere il trattamento di questi ultimi a tutti. È questo il motivo per il quale aver lasciato isolato lo sciopero dei braccianti del 18 maggio è stato un imperdonabile errore per tutto il movimento sindacale che deve fare vergogna a tutto il sindacalismo italiano.

Economia green, lavoro pulito e diritti

Progettare una nuova economia, rispettosa della terra, ecologica, pulita, non inquinante, che salvi l’ambiente, può non significare nulla se non si accompagna a profondi e significativi interventi sul modo con il quale si lavora.
Lavorare non può voler dire rischiare la vita e perderla per fare andare una macchina più veloce, abbattendo i sistemi di sicurezza, non può voler dire lavorare cadendo da un’impalcatura priva di sistemi di sicurezza, non può tradursi in orari di lavoro e condizioni di lavoro massacranti che tra l’altro fanno crescere gli incidenti sul lavoro. Se di PNRR bisogna parlare occorre che crescano e si sviluppino gli interventi che riguardano la tutela e la qualità della vita, senza la quale non c’è un’economia pulita, non c’è ecologia. Perciò deve essere messo in campo un intervento sul piano sociale a
sostegno dei diritti che ad oggi manca.

Per fermare la destra

Solo se i partiti della sinistra riformista, come anche le forze della sinistra di classe, imposteranno e condurranno queste battaglie sul lavoro e i diritti, potrà essere spezzata quella diabolica divisione del lavoro che i due partiti della destra populista e razzista hanno costruito: da una parte la Lega raccoglie il malessere, educa al razzismo, indica il nemico da battere nell’immigrato, promette meno tasse e gioca tra l’opposizione e il potere, oscillando tra dentro e fuori le istituzioni e il governo e in tal modo raccoglie consenso e appartenenza. Quando si inserisce – come in questa fase – nel governo le sue posizioni appaiono inevitabilmente più deboli e compromissorie e, il suo capitano cazzaro perde credito e semina delusione.
Ma ecco pronto un partito genuinamente fascista, disponibile anzi felice di accogliere il neofita scontento, colui o colei che hanno sposato la protesta populista, e da neofiti, appunto, si sentono traditi e chiedono ancora coerenza e radicalità e perciò transitano e approdano nel porto solido e sicuro della destra storica, ben più strutturata, che si pone
coerentemente all’opposizione preparandosi ad essere una alternativa di sistema. Non importa poi se alcuni suoi amministratori, come del resto quelli leghisti, vengono pescati con le mani nel sacco come del resto molti esponenti di partiti governativi: incidenti del mestiere e mal comune mezzo gaudio!
:Il potere val pure qualche processo e qualche incriminazione, tanto la destra è garantista e poi i processi durano molto, anche all’infinito. Solo quelli alla sinistra sono veloci ed efficaci come avviene per i militanti NO TAV sbattuti in carcere per aver voluto difendere il territorio o per Mimmo Lucano per il quale il pubblico ministero chiede ben 15 anni di carcere per reati di solidarietà sociale e accoglienza.
Ma non c’è da preoccuparsi il prestigio internazionale, la credibilità sui mercati l’autorevolezza tecnocratica del capo del governo e dei suoi collaboratori copre tutto.

La Redazione