L’acqua bene comune

Fin dalle loro prime iniziative politiche i movimenti nati per contrastare il crescente processo di globalizzazione hanno individuato nella disponibilità dell’acqua e nelle lotte per il libero accesso a questa risorsa essenziale uno dei loro principali obiettivi. Essi sapevano bene quali fossero gli interessi che ruotavano intorno a questo bene e quanto le multinazionali ambissero a controllarlo, in quanto esso è essenziale alla vita ma anche alla produzione agricola come all’allevamento.
Fin da Puerto Alegre questi movimenti affermarono il principio che l’acqua fa parte dei beni comuni e come tale ne va mantenuta la disponibilità per tutti e la gestione pubblica; hanno paragonato la strategia di impossessamento dell’acqua praticata dalle multinazionali alla lotta per le enclosuras quando i latifondisti inglesi, all’inizio della prima rivoluzione industriale, si impossessarono delle terre comuni, recintandole a
vantaggio dei proprietari dei fondi limitrofi, permettendo così l’allevamento diffuso di pecore e quindi alimentando la nascente industria tessile. Allora come oggi l’estromissione delle popolazioni dal pieno godimento di un bene essenziale non è solo strumento di dominio ma mezzo di accumulazione di enormi profitti e di indebolimento delle masse sfruttate.
Tanto grandi e così gravi sono le conseguenze di questa spoliazione che del problema sono giunti a farsi carico persino le istituzioni, tanto che l’Assemblea dell’ONU si è pronunciata a favore del libero accesso e della gestione pubblica dell’acqua e il movimento delle città d’Europa per i diritti umani e sociali, promosso dalla U.E. fin dal 1985, si e fatto promotore e sostenitore di questa battaglia. Negli anni la lotta per
mantenere e garantire la pubblicità dell’acqua si è estesa: a farsene carico sono stati i movimenti antagonisti di tutto il mondo che hanno dovuto fronteggiare le crescenti aggressioni delle multinazionali, impegnate a monopolizzare l’accesso all’acqua o a fare delle attività per la sua distribuzione occasione di profitti crescenti.
Approfittando delle difficoltà delle amministrazioni pubbliche nella gestione della distribuzione dell’acqua, sia a causa dell’invecchiamento, dove già esiste, della rete di distribuzione, sia della mala gestione delle società pubbliche partecipate, le multinazionali e i privati imprenditori si sono insinuati in questo settore, cercando di assumerne il controllo in nome dell’efficienza e della riduzione dei costi che avrebbe
dovuto avvenire attraverso l’introduzione della concorrenza. Invece i costi sono aumentati e il servizio non è migliorato.
Per garantirsi gli utili e non avendo alcuna intenzione di fare investimenti, i gestori privati hanno imposto un prelievo forzoso dalle bollette mediante i contratti stipulati, in modo da ricavare comunque un utile dalle loro partecipazioni azionarie, indipendente e a prescindere dai risultati di gestione, ottenendo così di far crescere la loro presenza oligopolistica nel settore.

Le lotte per la gestione pubblica dell’acqua

Alcune lotte iniziate in diversi paesi europei hanno avuto una funzione esemplare, come quella condotta nel comune di Parigi che, dopo aver attuato la privatizzazione, ha scelto per iniziativa e grazie alle lotte dei cittadini di ripubblicizzare il servizio, conseguendo ottimi risultati nella sua gestione economica e in efficienza delle prestazioni erogate.
Uno dei paesi nei quali questa lotta ha assunto proporzioni nazionali è l’Italia dove il referendum sulla pubblicizzazione della gestione dell’acqua non solo ha confermato il massiccio consenso dei cittadini per questa scelta, ma, attraverso quesiti più generali sulle modalità di gestione dei beni comuni, ha permesso loro di pronunciarsi contro i processi di privatizzazione, che adottando il principio di sussidiarietà orizzontale,
impongono la presenza del privato nell’erogazione dei servizi pubblici dandogli la possibilità di fare profitto.
In tal modo il referendum sull’acqua ha assunto in Italia una valenza politica più ampia e ha fatto crescere la lotta più generale in difesa dei beni comuni. Inoltre il referendum ha avuto un effetto positivo sulla capacità di mobilitazione e di autorganizzazione della popolazione che ha creato strutture trasversali di base unificate sul terreno degli obiettivi e degli interessi comuni, contribuendo a cambiare il generale atteggiamento
sulla gestione dei problemi sociali e degli investimenti pubblici.
Malgrado tutto ciò le multinazionali dell’acqua e i politici di ogni partito che li sostengono non hanno smesso di cercare di ribaltare il risultato referendario e il Governo Monti ha riproposto nel decreto Salva (rovina) Italia la possibilità di gestione privatistica dell’acqua, nonché il profitto sicuro per il privato imprenditore che ha investito nel settore.

Le azioni legali a difesa del risultato referendario e per la pubblicità dell’acqua

Contro questa scelta si sono mobilitati e si stanno mobilitando nuovamente i cittadini con azioni di lotta, iniziative pubbliche, dibattiti, promuovendo la sensibilizzazione di tutti, ma anche intraprendendo azioni legali in difesa del risultato referendario
Riferiamo di seguito su una di queste vertenze particolarmente significative e importanti. La sentenza del TAR Toscana alla quale ci riferiamo farà certamente giurisprudenza e stimolerà altri pronunciamenti della magistratura nella stessa direzione.
Ma dobbiamo essere coscienti che tutto questo non basta e le azioni legali vanno sostenute non solo dalla mobilitazione collettiva attraverso manifestazioni, presidi di protesta, pressioni sulle amministrazioni locali, ma anche attraverso l’impegno individuale di ognuno a ricorrere in difesa dei propri interessi, sommergendo aziende e amministrazioni comunali sotto valanghe di iniziative anche legali, in modo da imporre
loro il rispetto di quanto deciso dalla stragrande maggioranza della popolazione.
Diviene sempre più chiaro a tutti che non è possibile delegare e senza la piena assunzione di responsabilità e senza il ricorso all’azione diretta i problemi reali di ognuno non trovano una positiva soluzione.

Gianni Cimbalo

Il TAR Toscana con sentenza n. 436/2013, depositata in data odierna, 21 marzo 2013, ha accolto il ricorso presentato dal Forum Toscano dei Movimenti per l’Acqua e da altri 11 utenti del servizio idrico integrato (S.I.I.) del ex Ambito Territoriale Ottimale n. 2 “Basso Valdarno”.
In particolare, con la rilevante pronuncia di oggi, il TAR Toscana ha statuito che la ex Autorità di ambito ha approvato, nel 2011, due delibere (le nn. 12 e 13) successivamente ed in violazione della volontà popolare scaturita dall’esito referendario del giugno 2011, quando la maggioranza del popolo italiano ha dichiarato di volere “escludere la logica del profitto dal governo dell’acqua” (così la Corte Costituzionale nella sentenza di ammissione del quesito referendario).
Il primo commento che i legali del Forum, gli avvocati Massimo Capialbi e Arnaldo Dettori del Foro Firenze, hanno rilasciato a seguito della sentenza, è che essa costituisce, assieme al parere del Consiglio di Stato n. 267/2013 che la ha in buona parte ispirata, un segno importante per l’attenzione che la Magistratura
Amministrativa ha mostrato verso un tema di così elevata valenza sociale, civile, giuridica e soprattutto costituzionale.
Il riferimento dunque corre allo strumento del referendum abrogativo di legge di cui all’art. 75 Cost.: se una norma di legge ordinaria, a seguito del vaglio di ammissibilità della Corte Costituzionale, viene sottoposta a scrutinio popolare, non può ritenersi ammissibile che le Amministrazioni ignorino l’esito del referendum stesso, e che anzi giochino “una partita” contro la volontà dei cittadini.
Nel caso deciso dal TAR Toscana, inoltre, si era di fronte ad una violazione ancora più grave della semplice ignoranza dell’esito referendario.
La ex AATO 2, infatti, aveva approvato le delibere nn. 12 e 13 in palese contrasto con l’esito referendario. Ciò in quanto si faceva nuova applicazione, per gli anni a venire, di un metodo tariffario divenuto illegittimo a seguito dell’abrogazione referendaria del criterio tariffario della “adeguata remunerazione del capitale investito”.
Punto non condivisibile della sentenza è l’affermazione, più incidentale che altro, per la verità, della parziale legittimità di una delle due delibere, la n. 12, nella parte in cui ha disposto la proroga della concessione del servizio all’Ente gestore Acque S.p.a. senza fare ricorso alle procedure ad evidenza pubblica.
Con riferimento a tale profilo il Forum aveva contestato tale meccanismo perché contrario ai principi comunitari e interni sulla trasparenza e imparzialità, anche con riferimento all’intreccio tra tale proroga ritenuta illegittima e la reiterata applicazione del metodo tariffario – questo poi accertato dal TAR Toscana come – illegittimo.
Nonostante tale ultimo profilo, la pronuncia ottenuta dal TAR Toscana è senza dubbio di particolare rilievo e deve essere salutata come una significativa vittoria dei Movimenti per l’Acqua e per i cittadini-utenti.
Adesso occorrerà attivarsi per ottenere l’applicazione degli effetti che tale sentenza è atta a produrre per le tasche degli utenti del S.I.I.

Studio Legale Capialbi-Dettori