Concerto di un mito

Ripenso a distanza di qualche mese al concerto di Firenze e ho davanti agli occhi la nitidissima immagine del Boss su quella passerella che dal palco lo porta in mezzo alla folla dei fans, a braccia aperte verso il cielo, che urla “come on” alla pioggia che incessante si scarica su di lui e sul suo pubblico. L’indomani Bruce ha condiviso pioggia insieme ai 44 mila accorsi allo Stadio Franchi per vederlo, saltando su e giù dal palco, correndo avanti e indietro per sentire il contatto con loro, quello vero, dispensando sorrisi, scherzando con tutti, ricevendo regali dalle prime file, cartelli e richieste di brani, tutto in maniera tranquilla e senza la necessità di interventi della security. Dalla mia postazione in tribuna riuscivo a vedere tutto quello che succedeva sotto il palco e vi assicuro che ho visto una sua autentica partecipazione, un entusiasmo impressionante nel riuscire a coinvolgere ma più di ogni altra cosa a concedersi completamente al suo pubblico; Springsteen in ogni suo gesto sprigiona passione e amore, trascina e si lascia trascinare dall’affetto e dalla gioia che sente intorno a lui.
Certo la pioggia poteva rovinare una festa della musica ma questo non è avvenuto, anzi è stato l’elemento che ha reso l’avvenimento epico, ha caricato di magia una fantastica notte di follia. Ma veniamo alla cronaca della serata che non lasciava presagire una simile evoluzione, arrivo allo Stadio intorno alle 19:00 in compagnia della mia amica Nuccia con cui non vedo un concerto dai tempi della new wave – i Cure al Palasport se non ricordo male – siamo pieni di entusiasmo, una birretta, qualche cracker e continui messaggini di amici sparsi per lo stadio. Parte finalmente la musica di “C’era una volta in America” di Ennio Morricone che è la intro di questo Wrecking Ball Tour. I musicisti, vestiti rigorosamente di nero, salgono in fila indiana sul palco accompagnati dai battiti di mano del pubblico fino ad una vera e propria ovazione all’entrata in scena di Bruce con la chitarra imbracciata che, con un italiano stentato, saluta il suo pubblico e parte con un one- two mozzafiato: “Badlands” poi “No Surrender”, due classici. Con la mia solerzia avevo provveduto a stampare la scaletta del concerto di Milano ma capisco
immediatamente che non sarà la stessa, nel frattempo i tre megaschermi affidati ad una regia impeccabile passano, sullo sfondo, bellissime inquadrature dello stadio con le colline e il cielo scuro carico di nuvole; dai coni di luce sul palco si cominciano ad intravedere leggere gocce di pioggia ma sembra non importare a nessuno. Partono due
brani del suo ultimo lavoro, Springsteen da vero mattatore, spalle al pubblico, dirige la sua E street Band salvo poi correre sulla passerella a sentire il calore dei fans contagiati dalla sua grinta e dalla sua energia. E’ chiaro che è impossibile stare seduti, bisogna assolutamente muoversi, ballare, cantare in coro con lui, partecipare attivamente alla festa.
La pioggia continua a cadere leggera ma incessante, i brani scorrono uno dietro l’altro senza pause, l’intesa con i musicisti è profonda, gli sguardi, i richiami evidenziano un legame fraterno che rende la musica calda e forse anche un po’ magica, la voce graffiante e potente fende la scura notte fiorentina, a questo punto viene fuori l’anima
nera di Bruce con “Spirit in the Night”, con “E-Street Shuffle”, con “Shackled and Drawn” e poi con il bellissimo gospel di «My City of Ruins» di Curtis Mayfield; su questo brano presenta la band come la sua famiglia, compresi Clarence Clemmons e Danny Federici volati in cielo, una sezione fiati e 3 vocalist reclutati per questo tour e visto che la moglie non c’è, chiede: <Dov’è Patti? Sarà a casa con i figli! >.
Ma non manca di certo il rock quando in scaletta pesca dal passato “Born in the Usa”, “Born to Run”, “Dancing in the Dark”, come pesca dal passato quando intona ben 5 o 6 cover ”Burning love” di Elvis Presley, “Trapped” di Jimmy Cliff, “Honky tonk women” dei Rolling Stones; la grandezza del Boss sta anche in questo, rendere umilmente omaggio ai grandi nomi che hanno fatto la storia del rock. Non mancano le ballate, la poesia
sofferta di “The river” di “The rising” brani coinvolgenti e suggestivi tanto da far dimenticare che la pioggia è diventata più insistente e martellante. Bruce aggredisce la vita con la sua musica che, a volte, diventa sofferta e disperata e a volte, invece, fa vibrare il cuore e l‘anima ma senza nessuna voglia di arrendersi ai drammi e alla
sofferenza ma che trova nella sua passione la forza del riscatto.
I tempi sono stati molto duri – afferma- quando introduce la toccante “Jack of All Trades” in cui racconta di un disperato che non riesce a trovare lavoro nonostante avesse la capacità di fare tanti lavori, la gente – afferma – ha perso il lavoro e la casa. So che anche qui è stato durissimo e anche il terremoto ha contribuito alla tragedia,
questa è una canzone per tutti quelli che stanno lottando”.
E’ la terza volta che “partecipo” ad un concerto del Boss e ogni volta rimango affascinato dall’energia che riesce a sprigionare la sua musica, la sua personalità ha un potere fortissimo, quello di emozionare, di commuovere ma anche di trasmettere gioia e benessere. Lui è tutto questo, è la vera essenza del rock, l’unione magica tra musica e pubblico. Non credo ci siano altri musicisti capaci di creare una simile sinergia e mi convinco sempre di più che il rock è vivo e Bruce lo incarna non facendosi per niente intimorire dal diluvio che cade impetuoso sullo Stadio Franchi di Firenze, anzi domandolo e facendosi accarezzare da quelle gocce fredde d’acqua e stringendo col
suo pubblico un legame unico in chiusura con una interminabile e travolgente “Twist and Shouty” dei Beatles e “Who’ll stop the rain” dei Creedence Clearwater Revival.
Arrivederci a presto grande Boss.

JankadJstrummer