Per interposta persona

La classe politica italiana va alle elezioni per interposta persona. A cominciare è stato Grillo il quale ha dichiarato di non candidarsi, ma di candidare gli altri. Costoro sono sottoposti – come i fatti dimostrano – alla sua costante vigilanza, devono accettare di essere etero diretti, di essere il suo braccio armato, i terminali del movimento, la cui testa e anima è quella di Grillo. Come innovazione della politica non c’è male. La formula messa in campo dal leader va ben al di la’ del partito di stampo leninistastaliniano che egli ha creato, in quanto nessuna autonomia viene lasciata ai
suoi membri se non quella di uscire dal movimento. Se cerchiamo una garanzia alla libertà degli appartenenti e degli eletti dello stesso tipo la troviamo solo nelle organizzazioni religiose, le quali non conoscono altra libertà per gli aderenti che quella di recesso e praticano la scomunica, ovvero la messa all’indice, come strumento di governo dell’organizzazione. Dietro questa concezione della politica vi è una logica proprietaria, prova ne sia che non vi è alcuna possibilità di appello contro le insindacabili decisioni del capo.
Viste queste caratteristiche appare quanto meno problematico pensare che la struttura del movimento grillino abbia un qualche contenuto assimilabile alla democrazia diretta. Il ricorso all’utilizzazione della rete, la sua struttura orizzontale non garantiscono in alcun modo la partecipazione libera e paritaria di coloro che la utilizzano, ma anzi questo strumento consente una simulazione dove ad essere oggetto è la partecipazione. Il più consapevole della natura della struttura del movimento sembra essere Gianroberto Casalegno il quale non ha avuto esitazioni nel dichiarare pubblicamente al “The Guardian” il 4 gennaio 2013 “Grillo è come Gesù” e
nel farlo era serio, molto serio!
L’impalpabile mondo della rete ha creato candidati ed elettori, simulando una selezione e delle competenze spesso auto dichiarate e illudendo molti sulla partecipazione a un processo trasparente di selezione in grado di garantire la rigenerazione della politica. Le regole adottate relative al numero limitato di mandati, atte ad impedire il formarsi nel tempo di un ceto politico professionale, sono funzionali più che al superamento della delega e al rinnovamento e rilancio della partecipazione a garantire al capo supremo e al suo stretto entourage il controllo politico del movimento e degli eletti. Né vale osservare che la non presenza diretta di Grillo in Parlamento aiuterà o permetterà la sua estraneità al ceto politico perché a nessuno dei capi delle diverse formazioni politiche è assicurato tanto potere assoluto senza un’esposizione diretta.
Questo potere si riflette sui contenuti politici che il capo carismatico trasmette al movimento: un’accozzaglia di luoghi comuni, di qualunquismo, di pressappochismo e dei più vecchi cascami della critica alla politica, alle istituzioni, ai partiti, ai sindacati, ecc.

Il circo berlusconiano

L’agire per interposta persona non ha affascinato solo Grillo ma a tratti solletica tentazioni e umori del cavaliere, il quale deve contemperare il consenso – che la sua persona sembra ancora raccogliere in alcune fasce di elettori – con l’impresentabilità complessiva che lo caratterizza. Ed ecco allora che l’ex capo del Governo, per rappresentare la sua poliedrica personalità e insieme la complessità degli interessi dei quali è portatore, ricorre a un istituto tipico nel rappresentare i soggetti incapaci: l’amministratore di sostegno.
Sono sue creature i Presidenti e gli ex Presidenti di alcune Regioni, soprattutto del centro sud i quali (le quali) dovrebbero poter rappresentare lo strumento di raccolta del voto clientelare, sempre presente in queste aree del paese più che in altre e garantire agli eletti la perpetuazione della immunità politico-parlamentare e la difesa degli interessi dei quali sono portatori, anche allo scopo di riproporre inquisiti e condannati. Ebbene costoro costituiscono un partito per le regioni del sud guidato da Miccichè che raccoglierà inquisiti e padroni delle tessere.
L’alleanza del polo berlusconiano con la Lega, agognata e rifiutata, ma di necessità accettata coprirà invece al Nord quello spazio occupato a Sud dal partito dei Governatori e ciò sta aprendo mille contraddizioni, sputtanando definitivamente un partito politico che sa di dover cedere a ogni ricatto pur di conquistare la Regione Lombardia, il cui controllo è strategico ed essenziale per poter dar vita a una macroregione del Nord Italia che rivendichi il riconoscimento dell’Europa e abbia qualche speranza di attuare il disegno di Miglio di una frammentazione dell’unità nazionale. Questo disegno per realizzarsi ha come sola prospettiva possibile e credibile quell’Europa tanto avversata dai leghisti che nella gestione maroniana hanno reimpostato il loro anti europeismo. L’ alleanza tra Lega e gli altri partiti del polo berlusconiano vi sarà perché se Berlusconi ha bisogno dei voti legisti al Senato i sostenitori della strategia di devolution mediante la creazione di macroregioni hanno bisogno di Berlusconi per prendere la Regione. E ciò malgrado siano consapevoli della
contraddizione che si crea tra il loro progetto e l’alleanza della quale sono chiamati a far parte di necessità.
L’altro gruppo del polo berlusconiano è costituito dai cascami dei vecchi fascisti istituzionali, ben rappresentati dal gigante e dalla bambina (Crosetto-Meloni) affiancati dal navigato avvocato La Russa che ben rappresenta palazzinari e imprenditori meneghini, anche se con un linguaggio e un piglio siculo. Costoro sono destinati a raccogliere i consensi del fascismo in doppio petto, quello istituzionale e per così dire sociale che ambisce all’eredità di Alleanza Nazionale, contendendola a Fini e alla sua piccola banda – da Bocchino a Della Vedova e alla Buongiorno.
Da ultimo ma non per ultimo c’è il gruppo dei fascisti doc di Storace e camerati suoi, i quali rendono completa l’offerta a destra e capace di soddisfare i palati più difficili, al fine di far si che neanche un voto di destra vada perduto pur di sbarrare la strada alla sinistra pur che sia. Il palese sostegno berlusconiano alla candidatura del leader fascista alla Presidenza della Regione Lazio costituisce il palese riconoscimento del suo ruolo e di quello del suo partito quale parte integrante e costitutiva del polo berlusconiano.
A lui stavano per apparentarsi gli opportunisti radicali che sventolano la bandiera del problema carcerario per accreditarsi a svolgere una politica a sostegno dei diritti civili, ma che sono liberisti in economia e sostenitori di un a forte diseguaglianza sociale. Ma questa volta il ricattino morale a qualche “personalità” da inserire in lista per raccattare voti non sembra essergli riuscito, malgrado l’impegno del recordman del digiuno,
l’immarcescibile Marco Pannella . E nessuno li trova più interessanti dopo le giravolte durante l’ultima legislatura, meno i fascisti di Storace che a suo tempo accolsero tra loro l’ex radicale Armando Plebe come oggi Pannella.
C’è poi il gruppo dei pretoriani del cavaliere nel quale è presente uno stuolo di avvocati, di donnine ex ministre, di giovani rampanti, tratti ancora una volta dal personale di Pubblitalia, cresciuti alla greppia diretta del capo e c’è da presumere fedelissimi. Non è escluso infine che a questa galassia si possano aggiungere altri scarti che si federeranno al solo fine di restare a galla.
E’ un errore sottovalutare questa strategia e credere che essa non possa rivitalizzare il blocco berlusconiano perché proprio la parcellizzazione degli interessi garantisce la capacità di un intervento specifico in grado di raccogliere determinate clientele e istanze che, pur avendo tra di loro ben poco in comune e a volte essendo rappresentative di interessi contrapposti, convergono tutte a formare il blocco d’ordine necessario a dare attuazione al disegno politico berlusconiano.
E infine c’è Lui, il venditore di sogni ormai scaduti, ancora in grado di incantare il pubblico come da Santoro, che può permettersi di scambiare la Deutsche Bank con la Bundesbank nell’attribuire l’acquisto/vendita di titoli italiani, senza che nessuno noti la gaffe e affermando che non c’è differenza: sono ambedue banche tedesche! E quando ancora Lui propone la riforma costituzionale per rafforzare l’esecutivo nessuno gli dà sulla voce, perché sono tutti d’accordo nel farlo, a condizione che l’esecutivo sia nelle loro mani.

Il piccolo centro

Al centro dello schieramento politico parlamentare si colloca un’alleanza che si vorrebbe capace di raccogliere tanto consenso, caratterizzata anch’essa da una presenza per interposta persona, quella di Mario Monti. Poco diremo dei due comprimari, Casini e Fini che si nascondono dietro il loden del Professore, in quanto di loro si sa tutto. Traffici con il finanziamento pubblico dei partiti ancora una volta per interposta persona, traffici con il patrimonio edilizio dell’ex Movimento Sociale e quant’altro si può immaginare in quanto a conflitti di interessi e a lobbies consolidate, al punto da concludere che se la formazione politica voluta da dietro le quinte da Mario Monti rappresenta il nuovo, certo due partititi su tre sono quanto più di vecchio vi sia. C’è poi la terza punta del tridente costituita dai cattolici in politica, che spacciandosi per appartenenti alla società civile, hanno utilizzato come uccello da richiamo un altro attore per interposta persona, Montezemolo, per radunare una banda che ambirebbe rappresentare il nuovo, pur essendo nei fatti quanto più di vecchio c’è in giro, in quanto ad arnesi cresciuti sotto le sottane dei preti, a testimoniare l’impegno dei cattolici in politica, in quanto ad appartenenti a partiti proprietari (di Monti/ezemolo).
E’ infatti in questo legame che si trova la saldatura dell’aggregato politico montiano, figli peraltro di solidi rapporti con il Partito Popolare Europeo, con i circoli più autorevoli della finanza internazionale, sostenitore del più ottuso neoliberismo, schiavo delle sue ricette economiche recessive, al punto che il loro alleato più prezioso – la Chiesa – ha ritenuto di dover prendere le distanze da politiche eccessivamente recessive e di ridimensionamento dello Stato sociale. Per la Chiesa lo Stato sociale va infatti privatizzato, soprattutto per quanto riguarda l’erogazione dei servizi, ma non certo ridimensionato, altrimenti si priva l’organizzazione ecclesiastica di un settore d’affari estremamente redditizio.
L’ambizione montiana è quella di continuare a esercitare il ruolo di salvatore della patria, credendosi onnipotente al punto da decidere lui a chi “tagliare” le ali, come se Vendola e Fassina fossero polli! La rivisitazione dell’editto bulgaro di berlusconiana memoria è una tentazione perenne per tutti i potenti come l’abitudine di imperversare senza ritegno in tutti i programmi televisivi, ma batti che ti ribatti il professore sta piegando il PD a un’alleanza al centro che d’altra parte è uno degli elementi della sua identità genetica.
La sua salita/discesa in politica dipende dal fatto che effettuati i dovuti riscontri il senatore a vita si è reso conto dell’estrema improbabilità di essere il successore di Re Giorgio alla Presidenza della Repubblica. La campana a morto di questo suo progetto è suonata quando moltissimi sono stati i prepensionamenti in casa PD di personaggi nobili, oggi alla ricerca di una collocazione di prestigio. Troppi concorrenti insomma per un posto solo. Da qui la salita in politica, come dice Monti, perché come affermava un vecchio statista democristiano “il potere logora solo chi non ce l’ha” e “cummannari è megliu ca’ futtari “.

A sinistra si ode uno squillo

Dopo il bagno di democrazia per scegliere il leader di coalizione e le primarie per gran parte dei candidati, il PD vorrebbe accreditarsi come il partito del rinnovamento e della partecipazione. In particolare la presenza delle quote rosa avrebbe dovuto garantire e rafforzare il rinnovamento. In realtà anche il PD ha scelto di agire per interposta persona e lo ha fatto dove i rampolli giovani di un gruppo di potere subentrano a quelli anziani, portatori di identici interessi. E lo ha fatto ancor di più, simulando, quando le facce nuove sono mogli dei mariti già politici o figlie cadette di un politico di lungo corso. Ma al di la’ dei legami di sangue nulla si è mosso o è cambiato in molte parti del paese nella proposta di personale politico, salvo qualche caso significativo di estromissione per incompatibilità a causa di procedimenti in corso. In ogni caso a contenere il rinnovamento servirà il listino del segretario mediante il quale selezionare la nuova probabile delegazione governativa, riservando a SEL, la funzione di cavalier servente. Il PD dovrebbe poter beneficiare del premio di maggioranza che la legge elettorale prevede per poter truccare i risultati del voto e assicurare la dittatura della maggioranza sulle minoranze, magari elettoralmente più numerose in suffragi ricevuti, conquistando comunque la Camera.
Diverso il discorso al Senato dove il PD non è riuscito ad ottenere la desistenza di Ingroia e dei suoi per il suo smisurato amore per il centro e perché ha cosi sterilizzato Vendola, riducendolo a qualcosa di meno di una foglia di fico, al punto che non lo copre più a sinistra.

I resti di quello che fu…

A sinistra dell’alleanza PD-SEL giacciono i resti di quella che fu l’opposizione di sinistra
parlamentare (compresi i resti del dipietrismo, partito non propriamente di sinistra). Si tratta di un aggregato informe, egemonizzato oggi dalla figura di Ingroia, che ha assunto come simbolo il rigoroso rispetto della Costituzione e vorrebbe rappresentare un argine alla deriva di rafforzamento degli esecutivi sostenuta sia dalla destra che promette nel suo programma di voler modificare la Costituzione, sia dal PD che da tempo sostiene la stessa tesi, vagheggiando il ritorno ad un progetto mussoliniano sul ruolo degli esecutivi, come dimostrano le elucubrazione di Violante. D’altra parte è tipico dei partiti che conquistano il potere voler avere le mani libere per “fare”, mal sopportando il controllo dell’opposizione e delle aule parlamentari!
C’è da chiedersi fino a che punto e con quali programmi questa formazione politica nata in funzione soltanto di cartello elettorale saprà farsi carico di iniziative riguardanti l’occupazione, il lavoro, la sanità, i servizi sociali e le mille emergenze del paese.

Le elezioni e noi

Dalle considerazioni che abbiamo fatto emerge in tutta evidenza che da queste elezioni non ci aspettiamo nulla di buono e nulla di nuovo, piuttosto qualcosa di molto dannoso se si procederà alla riforma della Costituzione.
Si, non c’è dubbio, avremo forse occasione di liberarci dall’omino di plastica, tutto protesi e sorrisi tirati dal lifting e dalle sue donnine costruite in laboratorio; non è detto che ci libereremo comunque dei cascami del berlusconismo e di quel personale politico da lui selezionato, portatore di un progetto politico regressivo delle libertà democratiche proprie di uno Stato borghese. Forse riusciremo a ridimensionare il fenomeno leghista, ma ancora i tempi non sembrano essere maturi per liquidare le ragioni economiche e strutturali che sottendono il progetto politico del quale questo movimento si fa portatore.
Siamo invece sicuri che l’influenza politica delle gerarchie ecclesiastiche continuerà a farsi sentire sia sul piano etico e dei diritti civili che ben di più sul piano economico. L’aggregato sociale rappresentato dalla Chiesa cattolica è ormai divenuto una minoranza qualificata (dal punto di vista numerico) che se perde sul terreno dell’appartenenza – vedi i matrimoni religiosi in caduta libera, per fare un esempio – cresce in capacità di aggregazione d’interessi e si richiude in un compound a difesa di valori improponibili a livello globale. In questa situazione diviene sempre più pericolosa poiché si offre da stampella a quei progetti e a quelle maggioranze di governo dalle quali può ottenere maggiori vantaggi.
Da questo punto di vista il governo di “sinistra” prossimo venturo sembra essere l’alleato ideale del centro e quindi il pericolo in prospettiva non è tanto un governo Monti bis, ma un governo clerico – PD che rappresenta una opzione disastrosa per il paese.
Sola alternativa il ritorno alla lotta sociale, allo scontro di classe quanto mai necessario, a fronte dell’impoverimento sempre maggiore delle classi subalterne, a una riduzione crescente dell’occupazione. In questa prospettiva trovano sempre più spazio quelle teorie economiche che sostengono che una compagine sociale può sopportare senza esplodere in aperta ribellione un tasso di povertà del 20-25% di povertà assoluta, la presenza di classi intermedie anche a reddito contenuto e un numero ristretto al 2-5 % di ricchi, a condizione di essere pronta a sopprimere in tutto o in parte le libertà civili. Ciò che rischiamo insomma è la decrescita pilotata delle nostre condizioni di vita, di lavoro, di tenuta sociale.
E’ il rischio concreto che dovremo affrontare se non sapremo sviluppare iniziative politiche e di lotta aggregando sui bisogni gli sfruttati.

La Redazione