Cosa c’è di nuovo…

La strada tortuosa dell’eguaglianza
Con una recente sentenza la Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Brescia relativa all’affidamento esclusivo del figlio minore alla madre, ex tossicodipendente, la quale aveva deciso di andare a convivere con una delle educatrici che aveva conosciuto in una comunità di recupero. A indurre i giudici ad assumere questa decisione era stato un episodio violento, avvenuto alla presenza del bambino ad opera di suo padre e ai danni della convivente della mamma.
L’uomo aveva fatto ricorso in Cassazione, affermando che la decisione dei giudici bresciani era carente di motivazionale essendo evidente che non sussisteva l’”idoneità sotto il profilo educativo” della famiglia in cui il minore era stato inserito, un quanto “composta da due donne legate da una relazione omosessuale” che non avrebbero potuto “garantire l’equilibrato sviluppo del bambino”, assicurando ad esso di poter fruire del diritto a una “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” di cui all’articolo 29 della Costituzione. Inoltre il padre affermava che il figlio avrebbe dovuto poter godere del diritto fondamentale del minore di essere educato “secondo i principi religiosi di entrambi i genitori”, e quindi di non poter “prescindere dal contesto religioso e culturale del padre, di religione musulmana”.
I giudici della Suprema Corte hanno invece ritenuto motivata la sentenza della Corte d’Appello – confermandola – rilevando che mentre le violenze del padre costituivano un fatto certo le supposizioni del padre non si fondavano su “certezze scientifiche o dati di esperienza”, ma solo sul “mero pregiudizio” presente la dove si riteneva che potesse essere ”dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”. Per i Giudici non si può dare “per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare [quello della madre] per il bambino”.

Gli ululati della Chiesa cattolica

Questi i fatti. Se non che Vescovi e cattolici gridano allo scandalo e parlano di apertura
all’adozione delle coppie omosessuali da parte della magistratura e, per opportunismo, gay e lesbiche si uniscono al coro, sostenendo la svolta epocale e parlando anch’essi di adozione.
Eppure una delle due donne è la madre naturale del bambino e dunque non si può parlare di adozione, ma di affidamento; inoltre il padre si è dimostrato inadatto a svolgere la funzione genitoriale. E, sia detto per inciso, non si può escludere che nel decidere sull’inadeguatezza a svolgere i suoi compiti abbia concorso nella valutazione dei giudici la sua appartenenza religiosa. Pertanto gli illuminati Magistrati hanno operato un bilanciamento tra il ruolo della madre naturale, benché legata da una unione omosessuale, e il pregiudizio religioso per l’appartenenza mussulmana del padre,
aggravato dall’attività violenta del soggetto, e hanno scelto la prima situazione come la più favorevole agli interessi del minore.
Le autorità ecclesiastiche avrebbero invece preferito l’affidamento del bambino a qualche orfanotrofio gestito da suorine e vigilato da qualche attento sacerdote, se non addirittura la privazione della potestà genitoriale a entrambi i genitori del bambino e il suo affidamento in adozione. Oggi c’è la famiglia dei cristiani ossequienti, serbatoio criogenico di valori a dispensare buoni costumi e sana moralità.
La verità è che fanno fatica ad adattarsi alla Costituzione, al mutare dei tempi, e soprattutto non hanno il buon gusto di stare zitti quando si parla di minori, soffocando i loro istinti.
I più ingenui di loro sono rimasti ai tempi di Pio IX che fece rapire a Bologna un bambino di una famiglia ebrea, perché battezzato dalla domestica di religione cristiana – Edgardo Mortara – lo fece allevare dai preti, sottraendolo alla famiglia e ne fece un prete.
Ma erano altri tempi, si rassegnino.