Potere e ricerca

Su “Panorana” dell’altra settimana c’è una pagina intera dedicata a un professore universitario, Aldo Schiavone, ex direttore dell’Istituto Gramsci, ora plurindagato per “uso leggero” di denaro pubblico, per concorsi supertruccati (faceva parte della commissione che lo ha chiamato a Firenze, ma garantisce che è uscito dalla stanza quando si votava il suo nome!).
Le accuse nello specifico, riprese da Panorama sembrano “leggerezze”, un uso un po’ esagerato della carta di credito di un istituto universitario che dirige, che gli ha permesso di comprare bottiglie di champagne a gogò, libri di tutti i tipi, anche letture rilassanti e guide turistiche, alloggi nei migliori alberghi del mondo, cene ecc..
Valutando da che parte sta il giornale si potrebbe pensare a una battaglia di piccolo cabotaggio in vista delle elezioni per screditare la controparte(?!?), in fin dei conti così fan tutti….
E’ bene dire che il nostro dirige un centro di eccellenza universitario, nato come tanti altri (anche di quello di Tremonti si è parlato a lungo) dopo la riforma Zecchino (che faceva come nome reale Luigi Berlinguer), una riforma che ha aperto la strada alla peggiore deriva dell’Università italiana, senz’altro con lo zampino poi dei destrorsi alla Gelmini. La Gelmini quando concluse l’iter parlamentare della sua riforma disse una cosa giusta ”con questo atto abbiamo chiuso definitivamente con la peggiore scuola [intendeva scuola ed università, ma sull’Università aveva avuto meno da fare] uscita dal Sessantotto e le sue idee di egualitarismo”.
I centri di ricerca di eccellenza sono stati una buona carta per aprire quella strada che ha portato anche scuola e Università alla peggiore deriva, dove l’individualismo impera.
In particolare quello che è stato introdotto con i centri di eccellenza è stato il principio di una vecchia canzone “e qui comando io”. In pratica nel sistema scolastico ed universitario vigeva, come risultato legislativo delle lotte degli anni Settanta, un sistema di democrazia rappresentativa abbastanza aperto. Nell’università a legge 28 e il DP 382 del 1980 aveva allargato la rappresentanza negli organi di gestione dell’Università a tutti i componenti almeno del corpo docente, anche alle fasce più basse. I “baroni” o “ex baroni (?!?) si erano trovati da un giorno all’altro a dover costantemente decidere sulla ricerca, sulla didattica, su mille questioni con centinaia di aventi diritto al voto non proprio allineati ai sistemi di potere. Non che fosse tutto rose e fiori, ma qualche spina per chi voleva un sistema più gerarchizzato c’era, perciò c’erano mugugni, sia da destra che da sinistra, avanzavano sistemi di normalizzazione attraverso quelli di reclutamento e concorsuali che iniziavano a selezionare non solo sul merito, ma sulla disponibilità a regole di funzionamento un po’ più gerarchiche.
E quindi con la legge Berlinguer- Zecchino i più potenti ebbero a disposizione un sistema di funzionamento di strutture di ricerca dove le regole democratiche erano del tutto eluse, come del resto stava avvenendo ai vari livelli della società italiana (liste elettorali bloccate, sindaci, altri amministratori della cosa pubblica come podestà dell’era fascista, scuole con dirigenti uguali ad amministratori unici delegati di società).
Era il mercato che avanzava e abbiamo ben visto ci avrebbe salvato dalle nefandezze del decennio di follie 1967-77!
E’ chiaro quindi che quello scandalo di cui parlavamo all’inizio è ora la punta di un iceberg, è materia di scontro fra lobbies per il controllo di fette di soldi che mancano sempre più agli istituti universitari regolari e vanno verso i centri di eccellenza, i gruppi di potere reali della ricerca, perché lì c’è la libertà di decidere…in pochi, che si sa …..funziona meglio. Il mercato è ed è stata la parola d’ordine per sganciare da quelle poche regole di democraticità, di gestione della cosa pubblica possibilmente a fini di bene comune che c’erano ancora nella realtà italiana.
Oggi, a pochi giorni dall’approvazione del decreto sulla riforma del lavoro anche quei segnali assumono una luce diversa.
Con l’avvento dell’ex rettore del Politecnico di Torino non si poteva pensare a un sia pur parziale mutamento di rotta. Con molta chiarezza al momento dell’assunzione dell’incarico costui ebbe a dichiarare che il suo principale obiettivo era quello di dare attuazione alla legge Gelmini. E’ stato di parola e lo ha fatto. Ha cominciato con l’introduzione di un meccanismo decentrato di selezione dei progetti di ricerca, quotizzando gli atenei e stabilendo un tetto ai progetti che potevano presentare.
E’ come dire, ricercate ma non troppo. Il motivo è semplice, tanto è inutile.
Una prova: si tagliano i fondi con la spending review al gruppo di ricerca che ha scoperto il bosone di Higgs.
Ricercatori siete avvisati: chi produce muore!

Adriana Dadà