Neoliberismo e macelleria sociale

In questi giorni viene presentato il film “Genova G8 2001” che ricostruisce i fatti del 19-21 luglio 2001 quando un grande movimento di massa contro il neoliberismo e le sue devastanti politiche economiche e sociali venne stroncato militarmente. Il film è stato inutilmente ostacolato, tanto che le forze di polizia in un comunicato hanno raccomandato a tutti i poliziotti di non rilasciare alcuna dichiarazione e al porto di Genova sono state sequestrate le attrezzature della troupe, salvo accorgersi poi che era inutile: il film era stato già girato in Romania.
Il film ricostruisce le violenze della polizia nei confronti dei manifestanti ma è carente sulle loro motivazioni sui quali vogliamo invece soffermare la nostra attenzione.
Il movimento no-global L’atto di nascita di questo movimento può essere identificato nella contestazione della manifestazione contro L’organizzazione Mondiale del Commercio tenutasi a Seattle il 30 novembre 1999, nel corso della quale vi fu una prima aggressione delle forze di polizia contro i manifestanti. Lo stesso copione si ripetè a Davos (Svizzera) il 27 gennaio 2001 in occasione della riunione del Forum Economico Mondiale, dove i manifestanti furono brutalmente caricati dalla polizia; a Napoli il 17-17 maggio 2001, dove scese in piazza un movimento spontaneo di ragazzi e ragazze che avevano voglia di mettersi insieme, di mostrarsi e di manifestare. Forse non avevano idee molto chiare rispetto alla globalizzazione ma capivano che bisognava opporsi alle politiche neoliberiste che avrebbero impoverito il mondo Ed era questa consapevolezza a fare paura come dimostrò la violentissima repressione delle manifestazioni a Göteborg il 15 giugno in occasione del summit europeo sulle politiche economiche. Tre giovani vengono feriti da colpi di arma da fuoco sparati dalla polizia svedese e almeno quaranta sono i feriti. Il capitale ha deciso ceh contro il movimento nascente bisogna usare la repressione militare.

Nasce il nuovo movimento

All’indomani della sconfitta del maggio francese ad opera della maggioranza silenziosa mobilitata da Charles de Gaulle, Daniel Cohn-Bendit, al tempo esponente del gruppo anarchico di Nenterre, nel coso di una intervista rilasciata a chi gli chiedeva una previsione per il futuro ebbe a dire che le rivoluzioni dei giovani hanno un ciclo di quaranta anni perché occorre del tempo per metabolizzare i comportamenti acquisiti nella fase della ribellione, destinati a causa della sconfitta a cristallizzarsi, per poter elaborare nuove metodiche di lotta e nuovi motivazioni ideali condivisi e alimentati da una spontaneità scevra dai ricordi. E dopo quaranta anni il movimento di contestazione, questa volta globale si presentava all’appuntamento, ripetendo alcune tappe di
crescita e sviluppo. Partiva dagli Stati Uniti (Seattle) luogo di sviluppo avanzato del capitalismo e si espandeva a macchia d’olio nel mondo.
Come tutti i movimenti aveva bisogno di tempo per crescere. Le riunioni necessarie a costruire le mobilitazioni, le manifestazioni e i cortei sono da sempre gli strumenti di aggregazione che permettono la trasmissione di messaggi politici, di esperienze esistenziali, disegnano percorsi comuni o almeno convergenti, sedimentano organizzazione e esperienza danno fiducia sulle possibilità di successo delle azioni intraprese; creano insomma coscienza politica, pongono le basi materiali e umane per un possibile ribaltamento dei rapporti di forza tra sfruttatori e sfruttati.
Il capitalismo, i padroni hanno da sempre coscienza di tutto ciò e avevano ben capito ciò che si stava preparando. Del resto non potevano sperare che non vi fosse alcuna opposizione alla politica economica e sociale che la speculazione internazionale e il mercato capitalistico stavano mettendo in atto ai danni delle popolazioni del mondo Bisognava perciò stroncare sul nascere queste possibilità provocando uno scontro di
tipo militare perché in queste occasioni vince sempre so Stato grazie al suo apparato repressivo e di polizia.

La guerra preventiva di Genova

Il 19- 21 luglio si tiene il G 8 a Genova e il movimento internazionale di lotta al neoliberismo mette in campo tutte le sue forze: lavoratori in sciopero, la Rete Lilliput, organizzazioni cattoliche ddi vario tipo e gruppi ecclesiali, Legambiente, le associazioni di donne sotto la sigla Marcia Mondiale delle Donne, i Cobas, gli appartenenti al network per i Diritti Globali, le Tute Bianche legate ai Centri sociali del Nord Est, gli
appartenenti a Globalise Resistance Attac-France, Arci, Rifondazione Comunista, Fiom-CGL, Fim-CISL, UDU, Greenpeace e tanti altri gruppi e organizzazioni che formavano un universo vario e sfaccettato Era troppo!
Era necessario far capire che non c’era spazio per la crescita di una protesta senza scatenare la reazione violenta e militare dello Stato. Occorreva che ognuno rientrasse in casa e abbandonasse le piazze.
Ecco le motivazioni vere della repressione: anche se non vi fosse stato il lancio di un solo sampietrino, anche senza una vetrina rotta la violenza poliziesca si sarebbe abbattuta lo stesso sui manifestanti. Era un’azione che doveva essere fatta per stroncare sul nascere l’impegno di una generazione, il suo tentativo di riscoprire
l’impegno sociale dopo gli anni dell’yuppismo, dell’abbandono della politica.
Il resto, la violenza pura e gratuita, l’assalto a freddo alla Diaz e alla Pascoli, sotto la direzione dei politici della destra al governo presenti nelle sale operative della polizia, il lager di Bolzaneto sono ormai cronaca, storia e dimostrazione evidente di un progetto criminale, sanzionato anche da alcune sentenze della magistratura.
L’utilizzazione strumentale dei Black Blok fa parte dell’armamentario per giustificare una operazione decisa tavolino, freddamente eseguita, studiata e perfezionata nei suoi particolari in modo da poter applicare la stessa tecnica ogni volta che è necessario come di recente a Roma a piazza San Giovanni il 15 ottobre 2011.

La morsa neoliberista

Eppure la crisi morde e le condizioni di vita e di lavoro peggiorano. La Banca Mondiale ci dice che nel mondo occidentale si vive troppo e ciò manda in crisi i sistemi sanitari e di welfare. Bisogna dunque riscoprire l’eugenetica, eliminare i pensionati, magari stabilendo un tetto di vita o praticando la selezione attraverso la fame, l’indigenza, la mancanza di cure, l’abbandono. Una strada già percorsa dal capitalismo con successo
come dimostra il recente libro di Marco Paolini, Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute, Einaudi,Torino 2112 Bisogna, dunque, condurre una vita parca ma breve, sapendo che non c’è futuro. Bisogna rassegnarsi a vivere nell’indigenza attraverso standard di vita compatibili con il bilancio dello Stato, del Comune, della ASL di riferimento. Addio politiche di uguaglianza, addio diritti, anche perché la società nella quale viviamo e i moderni mezzi di controllo sociale, la forza dell’apparato poliziesco, consentono ad ogni Stato di sopportare intorno al 35 % di poveri strutturali, o sarebbe meglio dire indigenti, una classe media fortemente ridimensionata nei livelli di vita, mentre la ricchezza è sempre più concentrata nell’1 % – 2 % della popolazione.
Contro questo progetto si muovono già le forze di un movimento di contestazione globale, ancora non sconfitto. Sono di quest’ultimo anno le lotte portate avanti da Occupy Wal Steet e diffusesi in tutto il mondo intorno ad una piattaforma di contrasto al neoliberismo che ovunque sta mettendo in crisi le basi stesse delle possibilità di vita delle popolazioni.

La soluzione cinese

La soluzione non può essere quella cinese raccomandata da Cesare Romiti, Presidente della Fondazione Italia-Cina che nel suo recente libro Storia segreta del capitalismo italiano, propone un mixer di dittatura e libero mercato, magari targato Partito Comunista cinese. E questo non perché siamo affezionati o difensori della democrazia occidentale tutta forma e poca sostanza ma perché non possiamo barattare la libertà e la tendenza all’uguaglianza sostanziale e nelle relazioni umane che da sempre costituisce la nostra aspirazione con un tasso costante di crescita del Pil e l’abbassamento dello spead.
Da qui la necessità di battersi da subito contro l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, dato ormai per esistente, prima che si sia compiuto l’iter di approvazione, …perché è l’Europa che ce lo chiede, difendere salario e occupazione, contrastare in ogni modo il Governo Napolitano-Monti sia per la sua politica economica che per quella sociale, per il depauperamento di scuola e ricerca continuato con pervicacia, per le
politiche sociali fortemente punitive nei confronti dei più deboli e indifesi.
Non commetteremo l’errore di qualche giornalista alla ricerca dell’”ideona” della formula magica capace di risolvere tutto ma diciamo che ogni lotta su ogni singolo problema è importante per condurre la battaglia a difesa delle condizioni di vita, di lavoro di libertà. E guardate che quando parliamo di vita lo facciamo nel senso letterale del termine perché non vogliamo dover morire prima perché i servizi sanitari sono in crisi.
Perciò lotta alle risposte individuali, no ai suicidi che soddisfano soltanto la sete di sangue degli speculatori e dei Governi ma lotta contro la devastazione del territorio e gli sprechi come nel caso della TAV, lotta degli operai, degli impiegati, dei contadini per la difesa di occupazione e salario, lotta dei pensionati per pensioni dignitose, lotte per i servizi sanitari e di istruzione, sostegno ad ogni strumento atto a contrastare il degrado
nella gestione di questi settori imposto dallo Stato e da un governo di tecnici che più politico non potrebbe essere.

Gianni Cimbalo