Lo sporco lavoro del Governo del lavoro sporco

E’ opinione comune, e così ci hanno fatto credere, che il Governo Monti sia nato per salvare l’Italia dal baratro e dal fallimento economico e in altre parti di questo numero dimostriamo come ciò non sia assolutamente vero. Ma allora perché il Governo Monti ?
C’era un lavoro sporco da fare nella crisi, o meglio, approfittando della crisi, e non poteva farlo né Berlusconi né i suoi screditati ministri, né le donnine che si portava dietro, spesso travestite da ministre. E allora ecco che bisognava assumere l’uomo in loden, sobrio, per carità, noioso, pio e praticante cattolico, sufficientemente stronzo, per come riesce ad esserlo uno che prima uccide e poi si batte il petto, si pente e viene assolto (il riferimento ai suicidi a causa delle tasse e della povertà non è casuale, ma
voluto), un uomo che ha credito internazionale per essere il membro italiano più eminente del Bilderberg come della Trilateral.
Naturalmente la bella compagnia andava arricchita di personaggi importanti e allo stesso livello come la professoressa Elsa, così severa da bocciare sistematicamente tutti gli studenti lavoratori, sostenendo che per passare la sua materia non era possibile far convivere lavoro (precario, per carità !) e studio. E perciò ecco messa su una bella squadra fatta di killer dediti alla macelleria sociale, come Passera e garanti del
declassamento internazionale della ricerca italiana, gestore del ridimensionamento delle quote di ricerca avanzata dell’Italia nel mondo, per preparare la nuova divisione internazionale del lavoro attraverso l’abbandono di settori di punta della ricerca,
Evidentemente l’elenco non è completo, ma se si ricostruiscono i curricula dei vari ministri non ci vuole molto a collegare i diversi settori agli interessi rappresentati.

I poveri compatibili

Da tempo la sociologia politica di stampo neoliberista teorizza che una società sviluppata ha un tasso di sopportabilità di disagio sociale e di povertà pari al 25-30 % della totalità della popolazione e che le istituzioni parlamentari e rappresentative sono ormai superate a favore di una classe dirigente oligarchica, autoreferenziale, che si presenta come braccio armato, nemmeno poi così nascosto, del potere economico e
finanziario. Si tratta di azzerare tutte le garanzie conquistate in due secoli di lotte sociali per sostituirle con una generale assenza di diritti realizzando l’uguaglianza nella povertà e le pari opportunità portando a zero quelle di tutti, a condizione che si parli del lavoro subordinato, per carità, rigorosamente precario.
Ebbene Monti e il suo governo sono l’esatta immagine, la perfetta rappresentazione di tutto questo e coerentemente si comportano.
Hanno iniziato attaccando i pensionati da almeno due direzioni: il livello delle pensioni e il costo dei servizi sanitari con l’aumento dei ticket e la riduzione delle prestazioni dando attuazione allo slogan “vivere meno, vivere peggio, morire presto”, in ciò supportati dall’autorevole opinione della Banca Mondiale che ha candidamente dichiarato che si vive troppo e che i sistemi sociali dei diversi paesi non possono sostenere il costo della longevità e della solidarietà. Ne consegue che la manovra del taglio delle pensioni non ha l’obiettivo economico prevalente di risanare i conti pubblici ma di disarticolare un sistema di garanzie sociali: quel modello di Stato sociale europeo progettato dalle social democrazie e oggi ritenuto un mero fardello dell’economia dai vari Alesina-Giavazzi-Mentana.
Hanno proseguito – nella stessa logica di cui sopra – con i lavoratori anziani e per mimetizzare l’operazione li hanno definiti esodati (cosa orribile anche nella parola) e poi sono passati alla riforma dei contratti di lavoro fino a prevedere i licenziamenti, prima degli operai, ora degli impiegati. La soppressione dell’art. 18 deve infatti portare con se la licenziabilità anche degli impiegati pubblici.
Contemporaneamente si sono rifiutati di fare una patrimoniale sui grandi patrimoni e hanno varato con l’IMU una patrimoniale di massa che colpisce i più deboli e i risparmi delle famigli; hanno depresso i consumi, come spieghiamo in altra parte di questo numero, e ristretto le opportunità di lavoro al ritmo di uno slogan accattivante “lavorare meno, lavorare pochi”!
Di fronte alla caduta del gettito fiscale inevitabile, a causa della riduzione delle attività produttive, raccomandano razionalizzazioni di spesa per gli altri, ma non per sé, trovando banchieri per ogni incarico, direzione della RAI compresa. A loro e alle loro banche sono stati garantiti finanziamenti, ricapitalizzazioni, liquidazioni d’oro per coloro che lasciano un incarico di potere per ricoprirne un altro.
Avrebbe mai potuto fare tutto questo e l’altro che si prepara un Governo di nani e ballerine, di faccendieri e di ministri scordoni che non si ricordano nemmeno delle case ricevute in regalo? Certamente no! Occorreva utilizzare l’uomo in loden, la creme dei salotti delle Università e dei Club più esclusivi, supportati da un “migliorista” alla Presidenza della Repubblica che già aveva dato buona prova di sé facendosi invitare per primo tra i colleghi del suo partito in USA, quando ancora vigeva l’interdizione del suolo americano per i comunisti.
La verità è che lui comunista non è mai stato, filosovietico certamente si – basta ricordare le sue dichiarazioni a proposito della rivolta ungherese del 1956 – ma comunista mai, anzi liberista in economia come in politica, convinto e ottuso sostenitore del capitalismo, ottuso al punto da sostenere l’introduzione in Costituzione del pareggio di bilancio senza vergognarsi.

Ancora non basta: il lavoro sporco non è finito

Ma è troppo poco, resta ancora tanto da fare e perciò bisogna affossare definitivamente la scuola introducendo una meritocrazia idiota, a tutto discapito del merito. La conoscenza critica non serve, bisogna saper rispondere ai quiz Invalsi, occorre conseguire un certo numero di voti in un lasso di tempo breve e poi magari andare a studiare all’estero, perché quello che si è imparato nella scuola italiana non serve a un tubo.
Bisogna far deperire, fino a morire, intere filiere di ricerca nel campo scientifico, come in quello umanistico.
Anzi, ora che ci siamo, meglio sopprimere i ricercatori e gli studiosi, privandoli definitivamente di risorse, di stipendi, di posti di lavoro. Meglio mandare a puttane il paese con una discarica là e una qua, in modo che i gestori di questo business para- camorristico abbiano di che alimentare i loro guadagni, bisogna lasciare che i disastri naturali, l’inquinamento, il dissesto idrogeologico distruggano per avere poi la gestione della “ricostruzione”.
E poi soprattutto bisogna utilizzare il rigore fiscale verso i poveracci, utilizzando il braccio armato di Equitalia, cercando di convincere tutti che non è Equitalia che uccide, ma quattro cretini che credono di fare la guerra allo Stato con la polvere pirica e le lettere esplosive. Bisogna che interi settori come quello della chimica, dell’auto, dell’alluminio scompaiano, e che altrettanto avvenga con settori dell’agricoltura o
dell’allevamento: è il caso dell’agricoltura in Sardegna.
Bisogna che i processi di depauperamento del tessuto industriale e produttivo del paese continuino, perché il mercato selezioni geneticamente i più forti, dimenticando il ruolo degli investimenti pubblici.
Bisogna soprattutto lasciare che si sviluppi l’attacco alla gestione pubblica e sociale dei beni comuni, per aprire questo settore agli affari dei privati, annullando i risultati dei referendum sull’acqua, disperdendo il patrimonio pubblico da collocare sul mercato a prezzi stracciati. In questo settore il Governo ha fatto ancora poco e questo è uno dei nodi strategici delle richieste che la finanza internazionale e il padronato si aspettano e nessuno ha mai avuto a disposizione un appoggio parlamentare cosi ampio. Si tratta quindi di un’occasione unica.

Un Parlamento delegittimato che vuole essere costituente

Ma il lavoro principale che si chiede di fare a questo Governo è quello di riformare la Costituzione, utilizzando un Parlamento di nominati, di inquisiti, di politici di professione, la maggioranza dei quali calca i corridoi di Camera e Senato da più di due legislature ed è portatore di interessi consolidati, di filiere di intrallazzo e malaffare. Costoro, distribuiti tra i diversi partiti, sono il vero cemento della maggioranza, la sua base parlamentare.
Le manfrine sul doppio turno, sul presidenzialismo alla francese, sulla riforma-non riforma della legge elettorale sono tutte legate al progetto di ridisegnare la distribuzione dei poteri tra i diversi organi costituzionali.
In particolare si vuole depotenziare i poteri del Parlamento, aumentando quelli dell’esecutivo e in particolare della Presidenza del Consiglio, riprendendo alcune “innovazioni” introdotte dal fascismo. Su questa ipotesi concordano PDL e PD e uno degli alfieri di questa riforma è Luciano Violante.
Di fronte a questo progetto criminale bisogna costruire l’alternativa che è fatta di lotte sociali, di mobilitazioni, di costruzione di spazi di autonomia, di autogestione delle lotte nella consapevolezza delle difficoltà che abbiamo a contrastare il capitale in un momento nel quale distrugge le condizioni di vita e di lavoro, disarticola l’organizzazione delle popolazioni sul territorio, cerca di contrapporre donne e uomini,
vecchi e anziani, scatenando la divisione di classe e di genere. La lotta si fa sempre più difficile per la resa delle grandi organizzazioni di massa, per il venir meno della solidarietà internazionale, per la chiusura verso i migranti e la loro ghettizzazione in un mercato del lavoro separato, utilizzato come esercito di manodopera a bassissimo costo.
Un flebile segnale positivo viene dal lento risvegliarsi della coscienza di classe nei paesi di nuova industrializzazione con la rinascita delle lotte operaie, dal diffondersi anche in Europa di sacche di resistenza e della ricerca di un’alternativa.
Ma non illudiamoci: le soluzioni non vengono né dalle piccole guerre di insurrezionalisti dell’ultima generazione né dai sostenitori del parlamentarismo e della delega, ma dalla ricostruzione di una coscienza di classe individuale e collettiva che insieme alla riscoperta delle radici della nostra capacità di essere classe sappia riproporre noi stessi come soggetti politici di una nuova lotta per la libertà dallo sfruttamento e l’affrancamento dal bisogno.

La Redazione