Dizionarietto del “SalvaItalia”

Accise – Questa sì che è un’iniziativa mai tentata da nessuno, davvero spericolata ed innovativa: aumentare il prelievo sulla benzina, già oberata di tasse risalenti ad eventi catastrofici naturali di mezzo secolo fa. Eppure proprio ciò è stato fatto. L’aumento vertiginoso del prezzo dei carburanti non solo rende meno pingue il già magro bilancio delle famiglie italiane, ma riverberandosi sui prezzi dei prodotti, forzati ad una vorticosa
veicolazione dalle dissennate scelte del passato, ridurrà ulteriormente il potere d’acquisto della popolazione.
I tecnici economici si sono accorti, ohimè, a cose fatte, che tutto ciò avrebbe avuto un effetto recessivo.
Meno acquisti, meno mercato, meno tasse, meno introiti per lo Stato e forse occorrerà reintervenire per mettere “in sicurezza” la contabilità nazionale. Non è escluso che ciò verrà fatto aumentando l’Iva al 23%, con un ulteriore “beneficio” per la crescita (vedi).
Contributivo – La prova che il governo non guarda in faccia nessuno: dal primo gennaio siamo tutti nel sistema contributivo, anche coloro che nella riforma Dini del 1994 avevano mantenuto il diritto al trattamento retributivo. La mossa è risibile: coloro che ancora godevano del calcolo retributivo oggi hanno almeno 35 anni di contributi, poiché nel 1994 dovevano averne perlomeno 18, cioè una piccola minoranza; la
maggioranza è già andata in quiescenza ed i restanti vedranno una lieve decurtazione del calcolo sui loro ultimi pochi anni di lavoro. Ma se il risparmio è minimo, l’esecutivo vanta così la propria intransigenza verso i privilegi. La cesura del 1994 tra il sistema contributivo per i giovani ed il retributivo per i più anziani fu una rottura generazionale inaccettabile, che condannò i giovani a non poter più sperare in un trattamento di quiescenza decoroso ed a dover pertanto ricorrere alla previdenza integrativa, sacrificando la liquidazione; il sistema retributivo, tipico sistema a ripartizione, creava un legame tra le generazioni, mentre il contributivo, tipico sistema assicurativo e non previdenziale, giocava a favore delle compagnie private.
Portare ora tutti sul secondo sistema non sana il danno fatto allora e tende a far credere che equiparazione voglia dire assestarsi tutti al livello più basso possibile.
Crescita – Scusate! Riguarda la fase due. O tre? O quattro? … L’economista bocconiano sembra ignorare che la crescita si ottiene solo esclusivamente con gli investimenti, e di questi per ora non c’è traccia. Anzi gli interventi attuali invece di stimolare i consumi e quindi la produzione e quindi gli investimenti e quindi
l’occupazione paiono volti ancora una volta a comprimere il potere d’acquisto (vedi accise).
Equità – Il triplo dell’attuale Presidente del Consiglio, nella sua banalità, era più equo: tagliava linearmente a tutti la stessa quantità di risorse. Lui, il bocconiano, è come la sfiga, ci vede benissimo; e sa dove cogliere.
Lacrime – Non ci sono solo quelle che, unite al sangue, la manovra chiede ai cittadini, ovviamente in particolare a quelli onesti che sono bersagli più facili, ma anche quelle dei ministri (o meglio della ministro) che sono suonate un po’ da scherno. Era così contrita e pentita che successivamente è partita a testa bassa contro l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, con l’incredibile giustificazione che licenziando meglio si può assumere di più. È un ossimoro che fa il paio con quello che sostiene che andando in pensione più tardi si creano più posti di lavoro per i giovani. Basta solo che ci raccontino che dare più soldi ai ricchi serve ad alleviare la povertà. Dimenticavo: ce l’hanno già raccontato e andava sotto il nome pomposo di “suplly side economics”.
Pensioni – L’Europa ce lo chiedeva, l’allungamento dei tempi di vita ce lo imponeva, la messa in sicurezza dei conti della previdenza lo rendeva necessario! È così che il Governo tecnico ha messo in opera la più pesante delle numerose rivisitazioni del sistema pensionistico: queste sono state le motivazioni addotte per l’intervento urgente. Partiamo dal fondo. Tutti sanno, meno ovviamente i professori universitari al governo,
che l’INPS è attualmente in attivo; che paga (con i contributi dei lavoratori, quindi con i soldi di chi paga le tasse) prestazione che nulla hanno a che spartire con la previdenza; che nessuno squilibrio dei conti è attualmente all’orizzonte per almeno un ventennio (e questo ci dice che la speranza di vita più lunga per il momento è solo un fatto positivo e non un problema). Ne discende che non sono i conti del sistema pensionistico che andavano messi in sicurezza, ma che sui contributi del lavoro dipendente bisognava fare cassa. Cosa ci chiedesse l’Europa poi non è chiaro, visto che non c’è altro paese dove l’età per le pensioni di vecchiaia sia per ora stabilita a 66 anni. Ma le pensioni di anzianità, argomentano i tecnici, sono un’anomalia tutta italiana e i tedeschi mal sopportano che i nostri lavoratori vadano in pensione a poco più di 58 anni in media. Li immaginiamo questi germanici che la sera mangiano pane e fiele al solo pensiero di
tale ingiustizia. La realtà è che il dato delle pensioni di anzianità è in calo e godeva ormai di poche finestre (cosiddetta quota novantasei, quindi trentacinque anni di contributi davano accesso alla pensione a 61 anni) ed il governo non ha scelto di alzare la quota; per di più l’età di poco oltre i 58 anni si riferiva alle pensioni con anzianità contributiva di quarant’anni, il che significa che i soggetti lavoravano dall’età di 18 anni,
quando i loro coetanei tedeschi forse erano ancora inseriti nel sistema scolastico.
Scudati – Sono quei capitali che dopo essere espatriati illegalmente sono rientrati legalmente pagando una minima parte (5%) delle tasse a suo tempo evase; un regalo del precedente governo. La manovra Monti, nota per la sua equità, ha chiesto loro un surplus di imposte (1,5%) ed al momento in cui tecnici sono stati richiesti del perché non si adeguava il carico fiscale almeno alla metà delle tasse richieste dagli altri paesi
che hanno messo in opera analoghe iniziative, loro si sono scusati dicendo che con gli evasori dichiarati era stato stretto un patto che lo Stato non poteva rompere. Sorgono spontanee due domande prive di risposta.
Prima: se si richiede solo l’1,5% il patto non viene rotto ugualmente come se venisse richiesto il 15%?
Seconda: sono solo i patti con i delinquenti che vanno rispettati , mentre quelli che riguardano i lavoratori (pensioni, contratti, etc.) possono essere disattesi, visto che loro hanno sempre pagato regolarmente le tasse?

Saverio Craparo