Master & Servant

“Poi è arrivato il 2010: L’anno in cui il finanzcapitalismo ha disvelato il suo ultimo capolavoro: rappresentare il crescente debito pubblico degli Stati non come l’effetto di lungo periodo delle sue proprie sregolatezze e dei suoi vizi strutturali, lungamente
sostenuti ed incentivati dalla politica, bensì come l’effetto di concezione di lavoro e di uno stato sociale eccessivamente generoso”.
L. Gallino, Finanzcapitalismo,

D1 – > D2 denaro attraverso il denaro.

“Quando viene data alle maggioranze parlamentari la possibilità di scaricare la propria responsabilità sul potere esecutivo, queste prima o poi lo faranno”. H. A. Winkler, La Repubblica di Weimar.

Siamo tornati ai “ricchi” e “poveri”. Fuori dai nostri supermercati persone piene di “buon cuore” si agitano coi loro sacchettini affinché partecipiamo anche noi alla “colletta alimentare”, un’elemosina per i “poveri”. Da più parti si grida ai privilegi “dei ricchi” che devono dare di più rispetto ai “poveri” che hanno meno!!!
Mi guardo intorno, non siamo nell’Inghilterra del 1843 e non vedo mr. Scroodge in giro. Siamo in un paese del (post?) capitalismo avanzato, si presuppone, composto da classi sociali (si presuppone, ancora) in conflitto fra di loro.
Eppure, persino Alfano, l’ex ministro parente stretto di Marty Feldmann (che Dio l’abbia in gloria, Marty Feldmann, ovviamente) si richiama all’equità!! Facile, eh? Chi non è d’accordo sui ricchi che devono dare di più e dei poveri che devono dare meno? Persino i ricchi, lo sono.
Dati questi toni del dibattito permetteteci di essere un po’ preoccupati. Io non so, a questo punto, se, al di là dei discorsi di questo tipo, qualcuno non si sia andato a vedere le cifre della crisi finanziaria in corso e di cosa stiamo parlando.
Eppure Luciano Gallino, nel suo ultimo lavoro[1], porta dei dati che dovrebbero di per sé creare il panico: fatto 100 il PIL, se nel 1980 gli attivi della finanza ammontavano a 100 nel 2007 (e quindi alla data odierna sarà anche peggio) erano diventati 440. In poche parole siamo seduti su una montagna di numeri.
Questa non è una situazione “difficile”, una “congiuntura”, ma è semplicemente una situazione dalla quale non si può uscire.
Non se ne esce certo con le “manovre” o “manovrine” quelle sono o specchietti per le allodole (ma non si sa bene chi siano poi le allodole, considerato che chi ci “chiede i sacrifici” sono gli stessi che ci hanno portato fin qua) o, come sempre accade in questi casi, l’occasione per continuare nella resa dei conti del disfacimento di quel poco che resta dei nostri diritti.
Vogliamo dirlo? Siamo in piena recessione e il prossimo anno andrà peggio, molto peggio. Si pensa forse che mandare una persona in pensione a 80 anni, lasciare i negozi aperti 24 ore (ma per chi?), aumentare l’Iva, servirà a qualcosa? Aumenterà la recessione, punto. Sarebbe come curare un alcolizzato prescrivendogli una bottiglia di vodka al giorno. Stiamo certi che costui morirà. E, a pensarci, bene, non è detto che non sia questo uno degli obiettivi.
Il problema, film del resto già visto, è che la gran massa delle persone non potrà mai comprendere (oltretutto, se nessuno glielo spiega) le complesse dinamiche delle crisi del capitale (per di più quello finanziario). In situazioni come queste (vedi ad es. la Lega che si sta già attrezzando), nella confusione, nella paura per il domani, la benzina è già pronta, basta accendere il cerino.
Richiami all’ordine, proclami contro il capitalismo e il complotto pluto et…etc… funzionano (hanno funzionato nel passato e quindi sono sempre lì, disponibili). Da una parte quindi abbiamo demagoghi pronti a sollevare il “popolo” contro i “banchieri” (golem inconoscibile in un’ottica non di classe, non materialistica. Ma il terreno in tal senso è stato ampiamente dissodato in questo trentennio), dall’altra una classe dirigente che si ricompatta intorno alla “patria”, al “liberismo”, al “mercato” (triade pericolosissima).
E’ necessario quindi ritornare a praticare un’analisi seria dello scontro sociale e di classe (e quindi “NON” siamo per niente tutti sulla stessa barca).
Questo vuol dire entrare anche nel merito del “golem” “mercato” per comprendere che il delirio degli ultimi 30 anni è stato un fallimento per il capitalismo stesso (chi potrà mai ripagare un debito di 4,4 volte il PIL mondiale?) e che basterebbero anche pochi interventi sul sistema finanziario[2] per poter ridare speranza non al “socialismo” ma a quella società “liberale” della quale tutti si riempiono la bocca.
Ma io credo che sia davvero troppo tardi e che, oltretutto, chi ci ha portato al disastro non ha alcuna intenzione di correggere il tiro, anche perché, la famosa classe dell’1% ci guadagna in ogni caso[3].
Non vorrei che dopo il professore ci toccasse l’omino coi baffi.

[1] L. Gallino, Finanzcapitalismo, Einaudi, 2011.                                                                 [2] Vedi le ricette semplici e di effetto immediato che propone lo stesso Gallino alla fine del volume citato.
[3] Non per fare il demagogo ma un Guarguaglini che, dopo aver affossato Finmeccanica, se ne esce con 5 milioni di buonuscita è un esempio lampante.

Andrea Bellucci