La lotta mapuche: un progetto per l’autonomia indigena in America Latina

Intervista a Jose Llanguileo Antileo[1].

Quando comincia a svilupparsi la lotta dei Mapuche?
A partire dagli anni ’90, in corrispondenza dei festeggiamenti per i 500 anni dall’arrivo degli spagnoli, iniziano le prime mobilizzazioni per le rivendicazioni del popolo Mapuche. L’anno 1992 segnò l’inizio del nuovo processo politico; da allora in poi le lotte per il recupero delle terre sarebbero continuate. Di più lunga durata è invece, il processo di resistenza al colonialismo, portato avanti per più di 500 anni.
Dal ’90 in poi, il processo di lotta è stato maggiormente indirizzato soprattutto nell’ottica della costruzione di un percorso politico proprio, utilizzando tutte le specificità che come popolo mapuche avevamo.

Perchè solo dagli anni ’90 cercano di darsi un obiettivo politico?
Prima di allora, il processo politico era poco chiaro in quanto la sinistra monopolizzava le questioni relative agli sfruttati e i diseredati in maniera propagandistica; i Mapuche erano considerati parte della popolazione povera, dei contadini e non veniva accettato il fatto che fossimo un popolo, con tutti i fondamenti ed elementi che ci rendono diversi dai cileni.

Come cominciano le lotte e come si sviluppano?
All’inizio la lotta era nata per risolvere un problema sociale, cioè il livello di povertà prodotto dalla carenza di terra e tuttavia una giusta lettura degli eventi non si ferma a questo; esisteva infatti una problematica di fondo che aveva una radice storica, ovvero una povertà più strutturale che a che fare con la dignità, prodotta dalla perdita del territorio e dell’indipendenza. Per esempio i Mapuche che sono migrati in cerca di lavoro, cambiano il cognome per accedere anche ai lavori più umili; indios di mierda è ancora uno degli insulti popolari più comuni. Noi Mapuche ci siamo trovati frammentati in tutti i nostri aspetti: territoriale, politico, culturale e religioso. Oggigiorno la lotta mapuche si è espansa in tutto il nostro territorio e i processi di lotta e di resistenza si sono massificati. Questi processi di lotta territoriale sono diretti a rivendicare territori che oggi si trovano nelle mani di grandi aziende che lavorano il legno e di alcuni latifondisti, multinazionali; ultimamente è stao scoperto nel fiume che attraversa le nostre terre, lo scandio (terre rare).

Poi?
Intorno al 1996 ha inizio il vero processo di lotta da parte delle comunità mapuche stanziate nelle Ribereñas, presso il lago LLeu Lleu. Anni dopo si aggregarono alla lotta altre comunità della zona. La grave scarsità di terra e il livello di povertà che esisteva nelle comunità furono uno dei detonatori del conflitto territoriale. Quest’ultimo era un problema già esistente che andò aggravandosi negli ultimi anni ’90.
Il popolo Mapuche aveva riposto molte delle sue aspettative nei risultati di una legge indigena con la creazione di un’istituzione indigena promossa dal primo governo dopo la dittatura (Concertaciòn) nei suoi primi anni di esistenza. Tuttavia, l’istituzione è stata solo un meccanismo di inclusione forzata più che una forma di soluzione alla storica problematica Mapuche.
Durante questi 16 anni di lotta Mapuche ci sono state delle vittorie e delle sconfitte. Tra i successi politici è importante sottolineare il livello di coscienza che ha acquisito il nostro popolo rispetto al significato della lotta ed all’individuazione dei suoi principi fondanti. In termini concreti i Mapuche hanno recuperato una gran quantità di terre. Il risultato da noi ottenuto è da considerarsi un fatto storico di notevole importanza per il
raggiungimento del quale il nostro popolo ha dovuto attendere molti anni.

Quali sono le prospettive e le aspettative del popolo Mapuche?
Le statistiche forniscono dati circa la dimensione della nostra perdita di territorio; oggi possediamo solo 500 mila ettari anticamente wallmapu: l’intero popolo Mapuche possedeva un’estensione di 10 milioni di ettari.
Attualmente le grandi multinazionali forestali possiedono oltre 2 milioni di ettari, circa 4 volte di più dei territori riconquistati. Al di là delle cifre noi Mapuche abbiamo aspirazioni in relazione alla conquista del territorio e dell’autonomia, cioè vogliamo ricostruire la nostra nazione. Questi sono solo i primi passi da compiere affinché un giorno sia possibile riconoscere che noi siamo una nazione che è stata invasa da più
potenze straniere, ultima lo stato cileno.
Quindi la lotta Mapuche non è rivolta solo al recupero della terra.
La lotta Mapuche si propone il recupero della terra e del territorio come un elemento essenziale, non solo perché ci consente la sussistenza, ma anche perché è la connessione del Mapuche con la natura. Mapuche significa “gente della terra” e tutti i nostri elementi specifici sono legati alla saggezza della terra. È per questo motivo che la lotta Mapuche pone l’attenzione sul rispetto di ciò che ci circonda, poichè questo implica un cambio di visione e quindi di struttura socio-economica. Quando viene recuperato uno spazio dalla disponibilità delle aziende forestali e passa nelle mani dei Mapuche, passa da essere uno spazio di produzione capitalistica ad uno spazio dove si ricostruisce uno spazio sociale ed economico (coltivazione della terra) e un recupero della natura. In tal modo l’essere Mapuche, nel suo aspetto integrale (rakiduam, la saggezza), torna ad essere il bosco nativo, nasce di nuovo l’acqua, tornano ad esprimersi i gnen (le forze positive e negative, cioè l’equilibrio) che prima erano spariti perché la terra veniva sfruttata. Quindi la lotta è integrale e non separa i distinti elementi
della natura, dell’ambiente e dell’ecologia.
La lotta per la terra e per il territorio è un elemento che ci permetterà di perpetuare l’esistenza del nostro popolo. Ogni metro di terra che possiamo recuperare diventa anche un mezzo per opporsi all’espansione del capitalismo, che da molti anni sta depredando la natura. Senza dubbio, dal punto di vista politico, il concetto di territorio è più importante della questione della terra poiché il territorio rappresenta lo spazio in cui si svolge e si proietta un collettivo umano che si identifica nel nostro caso, come popolo Mapuche. Non sono solo parole ma è un fatto reale.

Quanto è condivisa la vostra richiesta di autonomia?
L’autonomia è stata proposta da alcuni settori del movimento Mapuche come una delle rivendicazioni del nostro popolo e si è trasformata in uno dei grandi obiettivi. Altri settori del movimento Mapuche pensano all’indipendenza territoriale e politica come all’obiettivo a lungo termine che la nostra popolazione deve porsi, soprattutto perché oggi abbiamo tutte le possibilità per centrare quest’obiettivo perché siamo un popolo forzato all’inclusione da lungo tempo. Bisogna tenere presente che il nostro popolo ha una sua storia lunga 4000 anni.
Vogliamo costringere lo stato cileno a riconoscere l’autonomia Mapuche, attraverso il riconoscimento delle diverse convenzioni sui popoli indigeni, come la convenzione 169 sull’organizzazione internazionale del lavoro (OIT), che è stata approvata sulla carta anche dallo stato cileno ma che in pratica ha comportato solo una autonomia politico amministrativo.

Come pensate di convincere lo stato cileno a darvi l’autonomia?
Non è possibile a nostro giudizio imporre l’autonomia o l’indipendenza nel contesto in cui oggi ci troviamo: possiamo solo cercare di trasformare lo stato, da uno stato uninazionale a plurinazionale. Lo stato cileno potrebbe concederci l’autonomia, dal momento che questo non andrebbe a mettere in pericolo il modello neoliberale. Chi ci garantisce che se lo stato ci concede autonomia regionale o territoriale questo sistema non continuerà ad essere funzionale al grande capitale e agli interessi delle compagnie transnazionali? La concessione dell’autonomia sarebbe solo una finzione, dal momento che, a mio giudizio, l’autonomia o l’indipendenza deve essere un’alternativa rivoluzionaria al sistema neoliberale, deve rompere lo schema dello stato e deve chiudere con il modello economico prevalente a livello mondiale.

Pensate che le vostre lotte siano esportabili nel vostro continente?
La nostra lotta per la liberazione del popolo Mapuche è un contributo alla lotta di tutti i popoli indigeni dell’America Latina, è un’alternativa al modello neoliberale. Senza dubbio in America Latina si stanno vivendo momenti di autonomia indigena, le varie richieste si sono sviluppate come domanda centrale di questi movimenti indigeni. Anche prima c’era questa domanda, c’è sempre stata, dall’epoca della conquista spagnola
o portoghese fino al consolidamento degli stati nazionali in America Latina.

Come siete organizzati nelle comunità occupanti?
Le lotte di resistenza e di emancipazione dei popoli indigeni sono state permeate dalle rivendicazioni di autonomia, non sono sempre state chiamate con questo nome ma hanno sempre avuto lo stesso obiettivo. Siamo diventati popolo a pieno diritto, con territorio, risorse naturali, forme proprie di organizzazione e di rappresentanza politica, conservazione e diritto alla nostra cultura. Abbiamo la possibilità di esercitare la giustizia interna a partire dal nostro diritto, possiamo elaborare ed eseguire nella pratica i nostri piani di sviluppo per rispondere alle domande che oggi pongono anche gli altri popoli indigeni.
Per quanto riguarda la rappresentanza politica ci piace sottolineare che utilizziamo una forma di gestione delle comunità detta circolare risalente a prima dell’invasione spagnola. Ossia l’assemblea della comunità individua a maggioranza una persona deputata alla gestione; questa responsabilità è a rotazione e il mandato è revocabile
in ogni momento dall’assemblea.

Sappiamo che avete dei compagni in carcere: come è la loro situazione?
Sono venuto in Italia, a ritirare un premio a nome di una nostra compagna, ora libera, che deve firmare il registro in questura tutti i giorni: io stesso sono stato prigioniero per 5 anni per il solo motivo di essere il portavoce dei mapuche. Attualmente è ancora in vigore la legge antiterrorismo varata da Pinochet. Questa è la legge che permette le incarcerazioni di tutti noi Mapuche: attualmente 14 compagni sono ancora in carcere.

Come vi rapportate o vi paragonate ai vari movimenti tipo zapatisti o sin terra?
Noi condividiamo in toto la lotta dei fratelli zapatisti; la loro proposta di autonomia è molto valida; pur non conoscendo bene la loro situazione ci sembra di capire che la loro è più una lotta di classe; una lotta che cerca di coinvolgere la società messicana tutta. Le nostre lotte sono più mirate alla costruzione di una nazione indigena a cominciare da quella Mapuche. D’altronde tutti i popoli hanno il diritto di scegliersi gli obiettivi e i
metodi di lotta legati al contesto in cui si trovano, sia all’interno che all’esterno della sinistra istituzionale.
Senz’altro oggi noi popoli indigeni siamo un’alternativa al modello neoliberale, pertanto dobbiamo costruire un solo cammino affinché si compiano le nostre aspirazioni. Non è possibile raggiungere dei grandi obiettivi senza l’unità dei popoli indigeni, la nostra lotta è contro il capitalismo che sta depredando tutte le nostre risorse naturali e che mette in pericolo la nostra esistenza come popoli.
L’insieme delle comunità indigene costituiscono un’alternativa al modello economico predominante, e posseggono tutti quegli elementi necessari per costruire un cammino che ci permetterà di trionfare davanti al capitalismo.
Noi popoli indigeni d’America Latina siamo stati invasi dagli stati nazionali. La nostra condizione di popoli originari è precedente alla costruzione degli stati nazionali. I nostri popoli hanno diritti che per anni sono stati loro negati, però oggi per la nostra America è il momento di svegliarsi. Perché i popoli indigeni intendono porsi alla guida di tutti i processi di resistenza contro il capitalismo.

Marrichiweu/ İVenceremos! / Vinceremo!

1) Il Comune di Ferrara ha consegnato nell’ottobre scorso il Riconoscimento per la Pace 2011 a Patricia Troncoso Robles “per il profondo impegno a favore del riconoscimento dei diritti del popolo Mapuche e la salvaguardia del territorio. C’è chi crede che la terra gli appartenga… noi sappiamo di appartenere alla terra”. E’ questo il testo della motivazione del premio all’attivista cilena Patricia Troncoso Robles, da anni impegnata nella difesa dei diritti umani dei Mapuche, la popolazione di amerindi originari del Cile e dell’Argentina che rivendicano la restituzione delle terre degli antenati necessaria alla loro stessa sopravvivenza.
Alla cerimonia Patricia Troncoso Robles, dal 2002 detenuta per motivi politici, è stata rappresentata dal compagno di lotte Josè Belisario Llanquileo Antileo, che abbiamo incontrato a Firenze nella nostra sede.

Intervista condotta da Enrico Paganini e Christian Duarte, traduzione di Christian.