Lega: cambiare per sopravvivere

Da qualche mese il partito più monolitico del paese è in crisi. Sono nate le correnti e la Lega sembra dividersi tra bossiani e maroniani e i commentatori si affannano a trovare le ragioni della frattura. Come accade spesso in Italia tutto sembra riconducibile a personalismi e a crisi della leadership di Bossi, sempre più vecchio e malato. Se è certamente vero che intorno al capo storico del partito si è formato quello che viene definito come “cerchio magico” a somiglianza di abitudini che si vorrebbero far risalire ai Celti, se è vero che a furia di vedere la satira di Crozza ed altri il capo ha individuato nel Trota il suo successore, nel tentativo di costruire una dinastia sulla quale vegliano la moglie e l’On. Rosi Mauro, l’impresentabile vice presidente della Camera, c’è dell’altro e di più serio.
Un ciclo dell’economia e della politica in Europa si avvia alla fine e gli echi arrivano anche in Italia.

La Lega alle origini

Il movimento leghista, nato da un intuizione di Gianfranco Miglio, studioso dei sistemi politici, basava la sua ragion d’essere sulla crisi degli Stati nazionali, soprattutto in Europa di fronte al formarsi dell’Unione Europea e al suo interno di alcune macro regioni transazionali che trovavano nell’omogeneità del territorio a livello economico la ragion d’essere di mettere insieme risorse e una comune struttura di governo del territorio.
In questa mappa dell’Europa ridisegnata sembrava esserci spazio per una entità sovranazionale che riuniva la padania (intendendo con ciò, a secondo dei casi, un’area territorialmente incerta) e alcuni territori della Germania del sud e dell’Austria. Da qui l’idea di dar vita a un partito politico che potesse fare da volano a questo progetto: la Lega nord, appunto.
Ma le idee non bastano e occorrono le risorse e allora si è cercato il consenso tra la media e piccola industria del territorio individuato, facendo l’occhiolino alla grande industria e alla grande finanza che in verità ha guardato in modo tiepido al progetto tanto che il nuovo movimento politico stentava a decollare. Tuttavia i voti raccolti e l’amministrazione conquistata di alcune città rendevano questa forza politica appetibile
soprattutto ma non solo per il centro destra. Le oscillazioni politiche della destra sono finite – sostiene il giornalista Mario Calabresi che ha esibito copia del documento – con una malleveria stilata davanti a un notaio a favore della Lega da parte di Berlusconi e destinata a garantire davanti all’amico Geronzi e alla Banca di Roma l’esposizione finanziaria della Lega assicurando una fedeltà che rimane in piedi ancora oggi, malgrado ogni ragionevole motivo.
Si sa, il berlusconismo tritura tutto ciò che incontra, lo trasforma e lo perverte, lo assimila e lo fagocita e così è stato per la Lega. Tuttavia è stato necessario molto tempo per frenare la forza espansiva del movimento perché le sue ragioni erano supportate da elementi strutturali che era difficile contrastare.

La crisi e la Lega

Certo è che oggi il partito leghista appare in crisi di identità e la sua base è insofferente. Dicevamo che Bossi è invecchiato ma non vi è dubbio che intorno a lui, oltre ad un’accozzaglia di servi più o meno sciocchi e impresentabili si è aggregato un certo numero di personaggi come l’attuale Ministro degli Interni o i sindaci di Varese e Verona, che, come nel caso di quest’ultimo sono ex fascisti – e neppure tanto ex – ma certamente riescono a costituire un volto più presentabile del partito e sopratutto hanno fiutato il vento ormai mutato e la crisi delle ragioni strutturali che sostenevano la presenza politica della Lega e perciò si candidano a raccoglierne l’eredità… trasformandola…
La crisi in atto non ha conservato la floridezza economica dell’intera area della cosiddetta padania. Ci sono profonde differenze strutturali tra il tessuto produttivo del Piemonte, della Liguria, della Lombardia e del Veneto, per limitarci alle aree principali; le loro economie viaggiano a velocità diverse e si evolvono in direzioni differenti. In quanto alla secessione, mollare in questo momento aree di mercato in qualche modo
riservate è semplicemente folle. Allora meglio trasformarsi in un partito nazionale, razzista il giusto, xenofobo abbastanza, legato al territorio soprattutto e portatore dei suoi egoismi alla ricerca di un ruolo futuro che nella ristrutturazione del centro destra è quello di coprire lo spazio di un partito cattolico, tradizionalista e sostanzialmente fascista che non c’è. Questo nuovo soggetto politico può attrarre una parte del mondo cattolico in fermento che non si sente più rappresentato dal partito berlusconiano, troppo composito e pieno di ex socialisti, non si fida del neo democristiano Casini e non accetterà mai di riconoscersi in un eventuale partito unificato dei cattolici di tutte le tendenze – forse vagheggiato dalla Chiesa – nel quale avrebbero comunque un
ruolo anche i cattolici oggi allocati nel PD.

Cottura a fuoco lento

Il regicidio è una operazione seria che rischia di travolgere non solo il sovrano e la sua dinastia ma anche lo Stato, tanto più un partito. Pur non volendo stabilire un paragone tra Bossi e Luigi Capeto di Francia destituire Bossi rischia di spaccare il giocattolo leghista. E’ allora viene varata una strategia di logoramento fatta di due passi avanti e uno indietro appena Bossi e il suo cerchio tutt’altro che magico abbaiano. Più tempo
passa e meno mordono.
Candidato a dividersi le spoglie della Lega non c’è solo il PdL o l’ectoplasma che gli succederà, ma anche i partiti della cosiddetta sinistra che operano in questo settore attraverso i loro sindaci, e tra questi primo tra tutti il PD che, ingordo e privo di valori e di identità, vera scatola vuota, si offre ancora una volta come contenitore pronto ad essere riempito.
Fino a quando queste sono le alternative, i Maroni, i Tosi e perfino i Gentilini avranno buon gioco nel tenersi il loro elettorato con il risultato che le concessioni ai leghisti invocati come transfughi snatureranno ancora di più, se possibile, l’offerta politica di una sinistra istituzionale che non riesce ad essere tale.

Noi e loro

Approfittare della crisi vuol dire per la sinistra sociale aprire un dialogo su due fronti: quello delle ragioni e degli interessi economici, facendo comprendere a queste fasce del paese che l’economia neocurtense non ha futuro, è destinata al fallimento. Che l’autosufficienza nell’era della globalizzazione non esiste e che appoggiarsi alla Germania significa destinarsi ad essere il sud di un nord, linguaggio che essi possono capire.
Ma soprattutto significa combattere una battaglia di carattere culturale per spiegare le ragioni della convivenza, dell’integrazione nella diversità, non negando le radici di nessuno, gli usi, i costumi, le abitudini ma stipulando precise regole di convivenza nella tolleranza e nella solidarietà reciproche, nella consapevolezza che il futuro delle popolazioni autoctone e di quelle immigrate è comune e che o le soluzioni sono globali e condivise da tutti o non ci sono soluzioni.
Spiegare insomma che una convivenza è possibile.

Gianni Cimbalo