Oltre i SI sull’acqua

Il risultato conseguito dai referendum sull’acqua va al di la’ di ogni aspettativa, ma richiede alcune considerazioni per essere spiegato e soprattutto proietta i suoi effetti ben oltre la proprietà e la gestione dell’acqua.
Certamente da ora in poi e almeno per cinque anni i comuni non potranno essere obbligati a vendere le loro quote di proprietà fino al 40 % ai privati e non dovranno comunque garantire loro almeno il 7% di profitto: Dovranno attrezzarsi per gestire direttamente il servizio che si estende fino a quello di smaltimento delle acque
reflue e ai sistemi fognari urbani. Questo non potrà avvenire senza una partecipazione attiva dei cittadini che dovranno incalzare le amministrazioni a investire risorse in queste strutture, dovranno organizzarsi per imporre una diversa gestione del territorio e dei servizi destinati alla generalità dei cittadini.
Considerare l’acqua un bene pubblico, inalienabile, non sottoposto alle logiche e regole di mercato significa contrastare direttamente una scelta strategica del capitalismo che nella sua tendenza onnivora tesa a consumare il pianeta sta cercando di espandere il mercato anche alla gestione dei beni primari e fra questi certamente all’acqua. Il risultato referendario è quindi un segnale a livello nazionale e internazionale di rifiuto
di queste politiche ma può essere il primo passo per reimpostare il problema dell’espansione del regime di sussidiarietà orizzontale alla gestione dei servizi pubblici, di ciò che è bene pubblico, bisogno primario delle popolazioni che vivono sul territorio. Potrebbe sembrare casuale che la questione dell’acqua sia stata affrontata insieme a quella dell’energia ma, nucleare a parte, vi sono legami di connessione molto forti tra i due settori.

Una nuova fase dello sviluppo

La crescita infinita del profitto è l’obiettivo che il capitalismo si è dato fin dalla sua nascita. Esso non ha visto e non vede limiti alla crescita del mercato e, una volta esaurite o quasi le aree geografiche da acquisire alle sue regole, mentre sta realizzando una gigantesca ristrutturazione della divisione internazionale del lavoro, ha
bisogno di trovare nelle aree mature nuove occasioni di profitto e le cerca nella gestione dei servizi alla persona. Da qui l’interesse per l’energia, per l’acqua, per l’aria, per il biologico, per l’istruzione, per la cultura, per le comunicazioni e la diffusione di informazione. In questa strategia il capitale deve fare scomparire il lavoro, deve trasformare la struttura produttiva in qualcosa di fluttuante e il lavoratore in un soggetto precario dal quale acquista il suo tempo vita per la frazione di tempo che gli occorre per produrre, ponendo attenzione a non creare strutture stabili sia perché economicamente pesanti, sia perché potrebbero produrre quello che una volta veniva definito come “sapere operaio”. Nella nuova economia il sapere deve restare appannaggio del
padrone il quale di volta in volta lo mette in campo per produrre profitto e immediatamente dopo distruggere soprattutto l’aggregato professionale e umano che l’ha prodotto.
Nel momento nel quale le popolazioni che vivono sul territorio bloccano questa logica e questa strategia e individuano un nocciolo duro di diritti essenziali nell’accesso a beni a loro volta essenziali si innesca un processo contrario a queste strategie. Partendo da ciò che è avvenuto con l’acqua si potrebbe infatti concludere che il servizio pubblico di istruzione è anch’esso un bene essenziale che va gestito collettivamente dai poteri
pubblici sulla base di regole trasparenti e condivise e comunque non utilizzato per produrre profitto. E da qui potremmo spostare il discorso alla sanità, anch’essa bisognosa di una presenza dei poteri pubblici che nel nostro paese diamo quasi per scontata, anche se in forte decrescita, ma che altrove, soprattutto negli Stati Uniti, è
tutt’altro che accettata.
Il risultato referendario apre una interessante discussione sull’esistenza stessa di servizi pubblici integrati pubblico-privato, rimettendo in discussione le scelte di sostegno alla presenza del privato nei servizi pubblici che da sempre hanno costituito uno dei punti di forza della politica dei partiti della sinistra parlamentare, primo tra tutti il Partito Democratico.

Un’alleanza forzosa

All’indomani del voto vi è stata la tendenza di alcuni ad attribuirsi quote più o meno robuste di merito della vittoria. Con un’eccezione, per la verità: l’Italia dei Valori, la quale, forse proprio per aver partecipato fattivamente alla raccolta delle firme si era resa conto del movimento nato intorno ai quesiti referendari.
Invece l’organizzazione della “società civile” nata intorno ai quesiti referendari va capita e tenuta di conto. Si tratta come sappiamo di una struttura in rete che utilizza una molteplicità di strumenti, vecchi e nuovi.
Sbaglierebbe chi pensasse solamente al web e ai suoi strumenti perché c’è stato il passa parola delle reti di acquisto, delle parrocchie, delle organizzazioni di volontariato, delle organizzazioni ecologiste, dei cittadini sul territorio. Questa rete ha funzionato perché la gran parte delle persone di destra sinistra e centro, quelli che avevano smesso di votare sono stanchi di delegare e non lo vogliono fare né sull’acqua né sull’aria, né sulla spazzatura, né sull’energia.
Stia dunque ben attento l’opportunista Bersani e lo stesso Vendola in Puglia. I progetti di legge predisposti prima del referendum vanno cassati. Le amministrazioni comunali e provinciali nonché quelle regionali sono condannate a diventare virtuose e a imparare a governare con efficienza e efficacia il territorio e le sue risorse. Occorre che i partiti della sinistra per primi ricordino che la novità costituita da questi referendum è costituita dal fatto che non sono state le organizzazioni della società civile a sommarsi ai voti dei
partiti, a “portare acqua” ai politici di partito ma i partiti a dover coadiuvare e sostenere le popolazioni a rischio di essere travolti.
Stiano dunque attenti i partiti della sinistra parlamentare perché essere contro il Caimano può non bastare più per indurre la gente a votarli. Ci si deve confrontare sui programmi accettando vincoli concreti e puntuali, sapendo che se si sbaglia o si tradisce il mandato si verrà sanzionati.

Gianni Cimbalo