La guerra di Silvio

“Ninetta mia, morire di maggio….”

Letizia l’algida avrebbe dovuto capirlo da subito: peccato che Silvio ci fosse. Vincendo ne avrebbe assunto il merito, ma della sconfitta lei sarebbe stata il capro espiatorio: candidato debole, amministratrice pasticciata, scarsa comunicativa e via contumeliando. Anche l’infelice uscita sui pregressi guai giudiziari di Pisapia è ora sotto accusa, quando i giorni successivi era stata salutata dall’ala militare dei popolarlibertini
con l’esultanza di chi vede finalmente scorrere il sangue.
Ma se il fuoco di fila per proteggere il capo (“è andata male, ma se non ci fosse stato Lui sarebbe andata peggio”… forse poteva anche piovere) è già iniziato, non significa che la scossa di questo fine settimana sia senza conseguenze; per tutti! Partiamo dal governo e dal partito di maggioranza relativa.
Da tre anni la propaganda berlusconiana ripete come un mantra che la maggioranza uscita dalle lezioni del 2008 ha la legittimità del voto popolare, che ha il consenso della parte più consistente degli italiani e che ciò è dimostrato dall’inanellarsi dei successi successivi senza soluzione di continuità: europee del 2009 e regionali del 2010. Dati alla mano è già stato dimostrato che il consistente vantaggio di cui Pdl e Lega godono
nell’attuale legislatura risale ad un risultato molto meno esaltante, il 35,67% degli aventi diritto, poco più di un terzo. Ma se questo è già stato detto, quello che un’opposizione flaccida continua a tacere è che da allora, turno elettorale dopo turno elettorale, i consensi del Pdl sono andati sempre calando, sia nel 2009 che nel 2010.
L’onda lunga del successo del 2008 ha teso a mascherare l’effetto, ma esso è inequivocabile. È vero che parte dei voti persi dal partito del Capo sono andati al partito nordista, ma solo parte e la coalizione ha subito costanti arretramenti.
L’effetto 2011 non concede più velature e la crisi è esplosa in tutta la sua virulenza. Non è difficile prevedere che i contraccolpi dentro il partito non si faranno attendere. Prima di tutto l’ala più dialogante presenterà il conto a coloro che hanno spinto per una campagna senza prigionieri ed alcune stelle (si fa per dire) di prima grandezza ne rimarranno offuscate. Esiste poi anche un’ala ancora più moderata, cosiddetta solo
perché esclusa dai centri di potere, di cui è portavoce un signore ligure convinto che un grande appartamento vista Colosseo potesse costare quanto un trilocale ad Anagnina; se sono fuori dai giochi ora, cosa potrà succedere loro se in un futuro non troppo remoto un Capo ormai vecchio e stanco, uso a ripetere ossessivamente le stesse insulse battute, dovesse perdere le elezioni? Che ne sarà dei loro posti in Parlamento?
Chi garantirà ai Responsabili (certo che ne hanno di responsabilità, ovviamente di questa situazione maleodorante) la loro rielezione e le loro poltrone ottenute col sacrificio dei propri “ideali”? Quando la nave affonda… Sì, ma dove scappare?
Il sedicente “Terzo Polo” stenta a decollare e per farlo deve marcare la propria distanza dal Pd, che caparbiamente (D’Alema) lo insegue. Fli, in particolare, si sta sgretolando ed il corteggiamento del Pd agevola questo dissolvimento. Ai ballottaggi i centristi dichiarano di non schierarsi e non possono fare diversamente, ma sarebbe insensato far mancare oggi i voti per affossare Berlusconi, vocazione originaria dei finiani, che si
trovano di fronte alla loro ultima possibilità.
Se Berlusconi non può certo ridere, i leader del Pd hanno di che riflettere, ammesso che la parola non sia per loro eccessivamente impegnativa. Ciò che emerge da questa tornata elettorale è che i candidati più caratterizzati a sinistra, emersi dalle primarie, arrivano dove non era prevedibile, come è successo a Milano ed a Cagliari, confermando che il fenomeno Vendola in Puglia non è un fatto isolato ed isolabile. Se Torino conferma un forte insediamento del partito, nonostante le infauste prese di posizione pro Fiat, la vittoria di Bologna merita un discorso a parte, che concerne più direttamente la Lega Nord, su cui sarà opportuno tornare dopo. Politicamente è ormai lampante (almeno dovrebbe esserlo anche per i recidivi alla Veltroni) che la convergenza al centro non paga; a Grosseto un sindaco a suo tempo vincente al primo turno ha fatto l’alleanza con l’Udc ed è finito al ballottaggio. Le alleanze di sinistra sono vincenti e Napoli rappresenta l’errore più clamoroso che il Pd potesse fare: dopo la farsa delle primarie, affidarsi ad un candidato incolore per paura di mostrare troppo carattere è stato perdente.
Un altro segno inequivocabile è l’emersione dei “grillini”. Ora ribadiscono non solo la propria estraneità agli apparati dei vecchi partiti, ma anche alle ideologie: “non siamo né di destra, né di sinistra”! Sicuramente è un voto di protesta, che ha oggi un suo richiamo di fronte ad una destra impresentabile ed ad una sinistra che non è per niente di sinistra (ma non è neppure opposizione) ma ha anche le gambe corte, sia perché la
democrazia del web è una visione tutta da discutere e molto elitaria. La scelta di ventenni come candidati sindaci ha poi mostrato il suo fondo demagogico, tant’è che le liste sono andate meglio dove i candidati erano un po’ più attempati e nei casi di estrema giovinezza le liste hanno preso più voti dei candidati. Non è detto che
ai ballottaggi le scelte degli elettori si mostreranno così equidistanti come Grillo vorrebbe.
Se c’è un partito veramente sconfitto in questa tornata elettorale è quello del Nord. Nell’ultimo decennio la Lega aveva conosciuto un trend di consensi costantemente crescente, spesso a spese del proprio alleato, altrettanto spesso della sinistra. Il massimo dei voti l’ha raggiunto nelle regionali dello scorso anno: stavolta è andata incontro ad un brusco calo. L’agognata discesa verso sud con la conquista di Bologna, dove aveva imposto al Pdl un proprio candidato, è fallito, e per di più ha ridato fiato ad una sinistra sfiancata dal naufragio della precedente giunta. Il tentativo di presentarsi autonomamente per conquistare una spazio indipendente è risultato rovinoso: basti pensare a Gallarate. E qui sta il punto di riflessione. La Lega Nord ha fondato il proprio
successo nel risveglio degli istinti più bassi e profondi, cavalcando la paura della perdita dei posti di lavoro a causa della concorrenza dei migranti e l’asocialità degli arricchiti di fresco che si rifiutano di contribuire al benessere collettivo (“Roma ladrona”). Ora a Roma i suoi esponenti sono al governo e votano ignominiose leggi e fanno finta di credere a palesi panzane; giustificano tutto ciò ai loro elettori presentando Berlusconi
come la gallina dalle uova d’oro che è in grado di elargire il federalismo. Ma gli effetti di questo “successo” leghista ancora non si vedono (e quando dispiegherà le conseguenze reali sulla tassazioni locali sarà ancora peggio) e Berlusconi non è stato mai ben accetto alla base “padana”. I leader del carroccio tuonano spesso roboanti proclami, ma poi si piegano al ricatto di “riforme” che verranno e gli elettori più radicali da tempo scalpitano ed oggi presentano il conto alla loro classe dirigente, colpevole di troppa condiscendenza e scarsezza di risultati. I duri e puri della secessione hanno perso la pazienza.
Lunedì 30 maggio sera sapremo il risultato dei ballottaggi nelle due città simbolo di queste elezioni, ma la strada del centrodestra si presenta tutta in forte salita e con risultati orami molto probabili l’avventura berlusconiana è destinata ad avviarsi al tramonto, lungo forse, pieno di contraccolpi certo, ma inevitabile. Una nuova strategia mediatica, infatti, non si inventa e si rende convincente in dieci giorni; e la strada dell’allarme sull’avvento dell’estremismo sembra già non aver pagato al primo turno. Il lungo incubo della politica-vetrina volge al termine, un periodo in cui destra e sinistra erano parole senza senso, perché oscurate dalla presenza ingombrante dell’imputato di Arcore. Forse potremo tornare a distinguerle anche nelle compagini che oggi appaiono immeritatamente di opposizione.

Saverio Craparo