La Comune di Parigi: 140 anni e non li dimostra

In tempi di rimozione della memoria storica diffusa ricordare avvenimenti di centoquaranta anni fà e addirittura cercare insegnamenti in quei fatti così lontani, non è proprio consueto. Eppure c’è stato un lungo secolo nel quale della Comune di Parigi si è parlato proprio per l’importanza che ha avuto come esperienza nel processo di opposizione al capitalismo e per la formazione di quell’ideologia comunista per come l’intendeva la Prima Internazionale.
Ma cosa successe a Parigi nel 1871? La popolazione parigina si sollevò non solo in una di quelle che gli epigoni di Marx chiamarono poi “rivolte”, ma espresse con chiarezza un’organizzazione della società alternativa, opposta a quella che il capitalismo stava affermando, innescando il primo tentativo di autentica
autogestione proletaria su vasta scala.
Nella primavera del 1871 la guerra franco-prussiana si era conclusa con la sconfitta della Francia e con durissime condizioni di resa. I parigini avevano resistito per cinque mesi all’assedio della città; molte decine di migliaia di parigini erano membri armati di una milizia cittadina nota come “Guardia Nazionale”, che era stata molto ampliata per aiutare nella difesa della città. I battaglioni dei distretti più poveri avevano eletto i loro
ufficiali e possedevano molti dei cannoni che erano stati piazzati a Parigi e pagati da sottoscrizioni pubbliche.
La Guardia Nazionale, aiutata dai comuni cittadini, fece in modo di portare i cannoni (che consideravano loro proprietà) lontano dai prussiani e di conservarli in distretti “sicuri”. Uno dei principali “parcheggi di cannoni” era sulla cima di Montmartre.
Mentre il Comitato Centrale della Guardia Nazionale adottava una posizione sempre più radicale e conquistava una sempre maggiore autorità, il governo non poteva permettere indefinitamente che questo avesse quattrocento cannoni a sua disposizione. Fu così che, come primo passo, il 18 marzo Thiers ordinò a truppe regolari di prendere i cannoni conservati sulla Buttes Montmartre, ma invece di eseguire gli ordini, i soldati
fraternizzarono con la Guardia Nazionale e i residenti. Altre unità dell’esercito si unirono alla ribellione, che si diffuse così rapidamente che il presidente Thiers ordinò un’immediata evacuazione di Parigi da parte di tutte le forze ancora a lui fedeli, della polizia e degli amministratori e specialisti di ogni tipo. Egli stesso fuggì alla loro testa verso Versailles. La Guardia Nazionale, la sera stessa adotta la decisione di occupare l’Hotel de la Ville; il Comitato Centrale della Guardia Nazionale divenne così l’unico governo effettivo di Parigi; esso abdicò immediatamente la sua autorità e preparò le elezioni per la Comune, che si sarebbero tenute il 26 marzo.
Dalle elezioni esce una maggioranza di rivoluzionari: anarchici, socialisti, blanquisti e repubblicani libertari, che proclamano il 28 marzo la “Comune di Parigi”, che adotta un manifesto che si dà come principio la “Rivoluzione Vittoriosa”. Le basi della sua azione sono il consolidamento della Repubblica e il riconoscimento di istituzioni di Comuni, autonome, che federandosi formeranno la Francia unita. Il riferimento alle idee di Proudhon e Bakunin sono evidenti; in contrapposizione sia al liberismo che al socialismo il comunismo anarchico (già così si definisce negli scritti di Bakunin e poi di Cafiero…) non affida allo stato conquistato dai rivoluzionari la gestione della società futura, ma alla società organizzata dal basso, autogestita dai lavoratori che si daranno strutture apposite e, si diceva già allora, federate.
Come avverrà quasi ottant’anni dopo, nella Spagna liberata dal franchismo che soffoca la Repubblica, il proletariato organizzato garantisce la produzione come e più di prima e il mantenimento dei servizi pubblici essenziali per una città di due milioni di abitanti e inizia un’azione di trasformazione radicale della società. Le numerose organizzazioni ad hoc istituite nei quartieri durante l’assedio, per andare incontro ai bisogni della popolazione (mense, punti di pronto soccorso), continuarono a prosperare e cooperarono con la Comune.
I componenti del Consiglio della Comune non erano “rappresentanti” ma delegati, soggetti all’immediato richiamo da parte dei loro elettori, e contavano sull’espandersi del loro esempio in altre città; così avvenne a Lione, Marsiglia, Tolosa, ma qui la sollevazione fu ben presto repressa.
Il Consiglio pose fine alla coscrizione e sostituì l’esercito con una Guardia Nazionale composta da tutti i cittadini che potevano portare le armi. Tra i progetti legislativi, la separazione di chiesa e stato e l’abolizione dei privilegi degli ecclesiastici, rendeva tutti i beni della Chiesa di proprietà dello Stato, ed escludeva la religione dalla scuola. Alle chiese era permesso di continuare la loro attività religiosa solo a patto che tenessero le loro porte aperte per incontri politici pubblici la sera. Ciò rese le chiese i principali centri di partecipazione politica della Comune. Un altro progetto legislativo aveva a che fare con la riforma che avrebbe reso l’istruzione superiore e l’addestramento tecnico liberamente disponibili per tutti. In materia di diritto civile fu soppressa ogni distinzione fra figli legittimi e figli naturali, tra sposati e conviventi, si avviò un’azione di emancipazione completa delle donne, anche grazie all’azione di rivoluzionarie come l’anarchica Louise Michel.
Anche se la Comune fu in grado di riunirsi per meno di 60 giorni in tutto, emanò decreti fondamentali per un radicale cambiamento della società che dimostrano la maturità di quel movimento. Tali provvedimenti comprendevano: la restituzione degli affitti per l’intero periodo dell’assedio (durante il quale i prezzi erano stati alzati considerevolmente da molti proprietari); l’abolizione del lavoro notturno in centinaia di panifici parigini; l’abolizione della ghigliottina; la concessione di una pensione alle compagne non sposate di membri della Guardia Nazionale uccisi in servizio, oltre che ai figli; la restituzione, da parte degli uffici prestiti dello stato, di tutti gli strumenti di lavoro dei lavoratori dati in pegno durante l’assedio, poiché il Consiglio era preoccupato
che i lavoratori specializzati erano stati costretti a impegnare i propri strumenti durante la guerra; il rinvio delle scadenze delle cambiali e l’abolizione dell’interesse sul debito; e in un importante allontanamento dai principi strettamente “riformisti”, il diritto dei dipendenti di impossessarsi e condurre un’impresa se questa era stata abbandonata dal proprietario.
Alla fine di maggio, la repressione ad opera di decine di migliaia di soldati comandati dal generale Mac Mahon, fu terribile: fucilazioni di massa, deportazioni e anni di carcere furono solo l’inizio. Poi ci furono le misure “preventive” per evitare episodi simili nel futuro: interventi urbanistici radicali con sventramento dei quartieri popolari dove gli insorti avevano potuto erigere le barricate, strade larghe per rendere difficile la loro
erezione successiva e favorire l’intervento della cavalleria. Misure che furono poi copiate dalla maggioranza delle città europee, per prevenire il contagio e favorire il controllo sociale contro quel morbo che “si aggirava” in Europa e si diffonderà poi, nonostante tutto ciò, nel mondo.
Poco durò la Comune di Parigi, ma quei settanta giorni che hanno segnato il primo tentativo di emanciparsi dalla schiavitù capitalistica sono rimasti nell’immaginario collettivo e hanno ispirato molte altre azioni simili per più di un secolo, in varie parti del mondo.
Bakunin dirà subito: “La sconfitta della Comune di Parigi, pur essendo stata massacrata, soffocata nel sangue […], è diventata ancor più potente nell’immaginazione e nel cuore del proletariato europeo. Parigi dà una base reale al socialismo rivoluzionario”.
Infatti “per Bakunin tutto quanto era avvenuto era naturale, ben inserito nella sua concezione; in un certo senso anche gli errori e la sconfitta della Comune. Non era sorprendente, infatti, che il proletariato sapesse spontaneamente ed efficacemente organizzarsi e neppure, potremmo dire oggi, con le esperienza di altre rivoluzioni che si sono verificate posteriormente, che la marcia della società postrivoluzionaria si incamminasse correttamente verso forme sempre più autogestionarie e in cerca di alleanza federative con altre realtà simili: questa è la strada che con naturalezza viene intrapresa, se teorie distorcenti non incanalano la rivoluzione verso mete che la snaturano (l’assenza di organizzazioni preesistenti e con un proprio progetto permette proprio questo fatto elementare nel caso della Comune). D’altra parte proprio l’assenza di un’avanguardia cosciente (che per i comunisti anarchici deve orientare la rivoluzione, non dirigerla, deve vaccinarla dalle deviazioni, non imporre il proprio credo) ha costituito la debolezza della Comune, impedendone le azioni risolutive e isolandola nel mare di una Francia ormai rassegnata ed in mano alla reazione (la rivoluzione o si allarga e contamina o perisce!)” (Saverio Craparo, Comunisti anarchici una questione di classe).
Ancora oggi il muro dei Federati, dentro il cimitero di Père Lachaise a Parigi, dove furono fucilati centinaia di comunardi, è meta di pellegrinaggi; ricordo l’emozione di aver visto fasci di fiori freschi in un giorno qualsiasi in cui andai in un pellegrinaggio laico, che non poteva non comprendere anche l’omaggio al grande Machno ed altri “padri” del comunismo anarchico.
Se la Comune dette le basi per risolvere il problema dell’organizzazione economica della società non più capitalistica, il suo fallimento porrà ai rivoluzionari interrogativi soprattutto per quanto riguarda la gestione della fase transitoria verso questa nuova società. In varie parti del mondo le due correnti, marxista e comunista anarchiche daranno risposte opposte. Per quest’ultima l’esperienza machnovista durante la rivoluzione russa e la Spagna della rivoluzione sociale, saranno i momenti di maggior sperimentazione e acquisizione di esperienze.

Adriana Dadà