6. Miopia e presbiopia

Ambizione di una qualsiasi teoria economica dovrebbe essere quella di progettare il futuro, incanalare le risorse verso obiettivi di crescita consolidabili, riposizionare il movimento operaio e degli sfruttati in una prospettiva di miglioramento delle proprie condizioni di vita e di lavoro. Non si tratta di rispolverare i vetusti piani quinquennali, o le politiche di piano, ma la ricerca del profitto col minor rischio e nel minor tempo possibile risulta essere una metodologia destrutturante il sistema economico nel suo complesso. E’ invece interesse del movimento operaio, dei lavoratori subordinati nel loro complesso, di tutti quei lavoratori che sono stati costretti a individualizzare il loro rapporto di lavoro nelle mille forme del lavoro precario e destrutturato ricostruire il sistema di garanzie sociali. Non si tratta solo di un interesse e di un bisogno economico perché, mentre il depauperamento delle condizioni di vita affievolisce i diritti individuali e soprattutto collettivi, migliori condizioni di vita consentono di allargare i diritti, consolidano e migliorano i rapporti di classe a vantaggio degli sfruttati.

6.1. L’oggi che non costruisce il domani
All’avvio della crisi tutti hanno individuato nella finanza il male oscuro dell’economia mondiale.
Importanti istituti di credito sono falliti. I loro massimi dirigenti sono finiti sotto processo. Da tutte le parti si invocava un cambiamento delle regole che governano la finanza internazionale, affinché ciò che è successo non si potesse più ripetere. Molti stati hanno rotto il tabù monetarista, che vieta l’intervento statale in economia, ed hanno versato nel sistema industriale ed anche in quello bancario ingenti capitali per far ripartire i motori della produzione. Ma dopo tre anni la crisi sta dispiegando ancora i suoi effetti, anzi si sta approfondendo.
Tutto ciò deriva dal fatto che i finanzieri controllano ancora le leve dell’economia globale; nuove regole non ne sono state messe e non si capisce nemmeno come ciò sarebbe potuto avvenire[20]. È il paradigma economico che deve cambiare e non esiste ancora una teoria di riferimento per uscire dalla crisi, come lo fu la teoria di Keynes per quella del 1929. Il fatto è che, come detto, la finanza tende ad investire laddove i profitti si presentano come rapidi da conseguire (speculazione, interscambi, giro vorticoso della proprietà delle partite delle merci, speculazione valutaria, etc.), e quindi raramente si fanno investimenti che gettino le basi di un reddito stabile, anche se più lontano nel tempo. Così si naviga a vista, per di più nella nebbia, la base produttiva si restringe ed il mercato collassa.

6.2. Il medio termine è già un lontano futuro
Non è solo la prospettiva a lungo termine che non fa parte dell’ottica del capitale finanziario, ma anche il medio termine prevede una lungimiranza che gli è ignota. È recente la notizia che il colosso farmaceutico della Pfizer, in vista della scadenza di molti suoi brevetti e di un conseguente calo delle vendite, sta pensando a dismettere il proprio centro di ricerche, forte di oltre duemila ricercatori. Ora è evidente che tagliare i fondi sulla ricerca significa sbarrare la strada per futuri proventi. La scelta operata decenni fa dalla stessa casa farmaceutica fu quella di investire massicciamente nella ricerca per garantirsi con i brevetti profitti a lunga scadenza. Quella strada ha portato oggi la Pfizer ad essere un’azienda in forte attivo. Il giudizio avanzato ora è tutto interno alla logica capitalistica, o a quella che dovrebbe essere una logica capitalistica, a prescindere dalla valutazione morale dei brevetti sui farmaci; è palese, infatti, che dovrebbe essere la società ad investire sulla ricerca farmacologia, affinché i successi su questo fronte fossero un beneficio per tutti e non una leva per il profitto privato; profitto che così è in grado di poter cinicamente negare le cure necessarie alla sopravvivenza dei diseredati del mondo.
Ma astraendo da queste considerazioni politiche e morali, resta il fatto che quello che oggi intende intraprendere l’azienda farmaceutica comporta a breve una riduzione dei costi che può far fronte ad un calo delle vendite e salvaguardare i conti societari; però nello stesso tempo nega una futura ripresa anche dei profitti, in quanto non ci saranno nuovi prodotti con cui poter riconquistare nuove quote e zone di mercato in
sostituzione di quelle che andranno perdute.

6.3. Il tramonto dell’industria
Con queste premesse è retrospettivamente scontato che gli anni ottanta dello scorso secolo siano stati gli anni della deindustrializzazione; negli USA enormi complessi industriali sono stati smantellati, sezionati, dismessi, riconvertiti. Sono esistiti manager la cui attività è stata quella di licenziare i dipendenti e ricavare da ogni spezzone della casa madre il massimo profitto, ma mai recuperandola ad una produzione, seppure
riconvertita. E così quel paese è divenuto, da esportatore qual era, importatore e la bilancia commerciale è scesa in un rosso profondo da cui non si è più risollevata. Da allora gli Stati Uniti sono divenuti importatori anche di capitali, attirati dalla redditività finanziaria e dalla moneta forte, ma si costruiva sull’argilla. Il giro vorticoso degli investimenti su beni irreali, su crediti inesigibili, è salito sempre più in alto su di una scala a chiocciola e quando il terreno è franato alla base, la caduta è stata rovinosa. La moneta ha dovuto prima o poi deprezzarsi per il mancato sostegno dell’economia reale.
Ma l’affievolirsi della base produttiva ha danneggiato anche quelli che erano considerati i settori di punta e strategici su cui mantenere il primato indiscusso (elettronica, telecomunicazioni software, armamenti, biotecnologie) ed in essi la concorrenza inizia a farsi minacciosa. Ma l’innovazione tecnologica è ancora nei fatti la via salvifica da battere?

[20] Addirittura recentemente sono stati ripristinate le ricche prebende per i super manager degli istituti bancari: Cfr. Il Sole 24 Ore, a. 147, n° 34, 6 febbraio 2011, pp 1 e 7.