2. I nodi al pettine

Nell’analisi della fase economica del 2004 veniva riassunta la fase trascorsa e quella ipotizzabile per lo sviluppo capitalistico con lo schema sotto riportato.
È opportuno richiamare alcune voci, spiegarne la valenza e l’origine, e comprendere anche la credibilità che veniva loro attribuita. La prima riga è stata analizzata nel capitolo I. L’area in cui si è mossa l’economia sotto il regime monetarista è rappresentata dalla seconda riga. La terza riga individua le correzioni in corso
d’opera all’inizio del millennio, originate in gran parte del punto interrogativo posto nell’ultima colonna della seconda riga; ovverosia dalla consapevolezza che l’assenza di un meccanismo di controllo sull’intero sistema economico mondiale non era ulteriormente procrastinabile. Infine, la quarta riga rappresentava l’ipotesi sulla quale il sistema capitalistico poteva ipotizzare la propria sopravvivenza dovute alle fasi incompiute della svolta.
Ad esempio, il tentativo di attribuire capacità di controllo del ciclo economico ad authority internazionali (FMI, WTO, etc.) era già concepito come intrinsecamente debole. Veniva detto infatti: “è l’epoca delle Authority, che restano comunque un sistema di controllo lasco ed inefficiente, come i recenti scandali hanno fatto chiaramente emergere.”
Ora che la crisi è esplosa, occorre capire cosa non ha funzionato nel progetto e perché. D’altronde già nel 2004 che l’ipotesi fosse aleatoria appariva chiaro all’analisi svolta, tant’è che il documento si chiudeva in questo modo: “le previsioni che il capitale individua nella quarta riga della tabella sono solo aspirazione imperialistiche, tutte da verificare.”

2.1. L’illusione della mano invisibile
L’idea illusoria che il mercato si regolasse autonomamente, senza bisogno di alcun intervento esterno, la cosiddetta “mano invisibile”, era franata con la grande depressione del 1866. Da allora la teoria economica ha sempre cercato di controllare il mercato, a partire dai marginalisti che introdussero pesantemente nell’analisi economica l’uso di strumenti matematici, che nel tempo divennero sempre più sofisticati. Questa idea, a suo tempo sconfitta dai fatti ed emarginata dai teorici, ha avuto una sua rinascita inaspettata negli ultimi quaranta anni ed ha prodotto i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
A partire dall’avvento in Gran Bretagna del Primo Ministro Thatcher si è fatta potentemente strada l’idea che la cosa massimamente auspicabile nel sistema economico mondiale era quella di dare libero corso allo sviluppo del mercato, visto come rimedio taumaturgico di ogni male. Ne sono discese una serie di conseguenza:

Periodo Tecnologia Produzione Mercato Struttura Controllo
2.1. Fino agli anni ‘70  elettromeccanica fordismo oligopoli stato-nazione moneta
2.2. Dagli anni ‘80 sei tecnologie ciclo frammentato competizione per segmenti
reticolo di aziende
aree omogenee  ?
2.3. Nuovo secolo  finanza ciclo frammentato concentrazione
oligopolistica
sviluppo
neuronale
authority
2.4. Prossimo decennio finanza parziale
ricomposizione
monopoli di settore sviluppo
neuronale
moneta?

l’abbattimento delle frontiere economiche, la privatizzazione dei servizi, la concorrenza planetaria; in sintesi una sorta di darwinismo economico, in cui solo i più robusti potessero sopravvivere, recidendo automaticamente i “rami secchi”, considerati dannosi per lo “sviluppo”.
In realtà è stato il capitale finanziario a riappropriarsi del controllo del ciclo produttivo tramite l’appropriazione degli strumenti di regolazione internazionale usciti dagli accordi di Bretton Woods nel secondo dopoguerra. In particolare il FMI ha imposto frontiere aperte e politiche di bilancio restrittive anche ai paesi terzi, se essi volevano accedere ai crediti. La lobby tecnocratica monetarista ha occupato i gangli vitali della
programmazione economica, imponendo logiche deregolanti a tutti e sponsorizzando bilanci statali virtuosi, quale condizione indispensabile per partecipare alla cornucopia della ripresa economica, perennemente dietro l’angolo, ma mai verificatasi. In questo clima hanno acquisito una importanza spropositata le agenzie di rating, a loro volta potenti finanziarie, che hanno goduto della facoltà di indirizzare gli investimenti dove meglio credevano opportuno, e quindi dove anch’esse potevano acquisire i loro profitti.
Nel 2008 il gioco è finito per l’ovvio motivo che il mercato, lungi dal regolare il ciclo economico, lo porta inevitabilmente allo squilibrio, auspice anche il fatto che le politiche restrittive sul bilancio statale lo hanno ridotto ad un impraticabile collo di bottiglia.

2.2. La finanza deregolata
La causa scatenante della crisi appare essere stata quella dei mutui sul mercato immobiliare statunitense; per questo molti parlano di crisi finanziaria. Ma anche la crisi del 1929 esplose per il  collasso del sistema bancario USA, nel momento in cui i risparmiatori si accorsero che la liquidità disponibile era ben inferiore ai loro crediti; fu subito chiaro che al di sotto dell’evento scatenante c’era una vasta crisi di sovrapproduzione. Ed ora? Apparentemente la colpa è di quelli che vengono definiti “titoli tossici”. Ma non è così.
Prima di tutto cosa sono i titoli tossici? La finanza, priva di regole e sostanzialmente miope, ha immesso sul mercato statunitense ed internazionale dei titoli di investimento basati sui crediti che le banche possedevano.
Il problema risiedeva nel fatto che questi crediti non erano tutti garantiti ed esigibili. Infatti per lucrare su di una spirale affaristica che si reputava essere una spirale ascendente infinita, era stato fatto credito anche per soggetti inaffidabili; tanto anche i loro debiti potevano, nella logica suddetta, creare profitto, in quanto potevano essere
collocati sul mercato finanziario come valori pressoché disponibili. Di più finanziando un mutuo casa anche per persone prive di garanzie (subprime), avrebbe girato anche il mercato immobiliare e con esso lavoro e produzione e profitti. È arrivato il momento in cui i debitori a rischio sono diventati insolventi ed il castello di carte è crollato in un attimo, mettendo in crisi il sistema bancario statunitense.
Sarebbe sbagliato ritenere che questa causa scatenate sia stata la vera origine della crisi. La realtà è che da anni negli USA il sistema produttivo era in sofferenza: i grandi centri industriali (ad esempio, Detroit, centro della metalmeccanica) erano divenuti dei deserti; sempre di più gli statunitensi consumavano merci prodotte altrove; i posti di lavoro stabile erano diminuiti (l’ultimo decennio del secolo scorso va ricordato come l’epoca dei “tagliatori di teste”, manager industriali che venivano assunti allo scopo di ridurre drasticamente le maestranze e che passavano da un’industria all’altra); l’occupazione ricresceva su posti di lavoro precari e malpagati, soprattutto nei servizi. Con queste premesse era evidente che presto il mercato sempre più ridotto
sarebbe collassato, creando, nonostante la forte deindustrializzaione subita nel ventennio precedente, una crisi di sovrapproduzione; i piazzali delle industrie automobilistiche erano, infatti, invasi da vetture invendute.
La crisi si è propagata velocemente nei paesi occidentali per due ovvi motivi. Il primo, il più appariscente, era la forte esposizione delle banche verso i titoli tossici di provenienza USA. Il secondo, quello sostanziale, è che gli Stati Uniti erano divenuti il luogo privilegiato delle esportazioni dei paesi industrializzati. Tant’è che l’Italia, paese esportatore con importanti sbocchi di mercato negli USA, non ha avuto contraccolpi rilevanti nel sistema bancario, ma sta subendo una crisi profonda dell’apparato produttivo.

2.3. Vendere i crediti
Quella di vendere i crediti, spesso inesigibili, non è stata una grande trovata, né innovativa, né geniale. Il meccanismo è lo stesso delle famose “catene di Sant’Antonio”. Finché si trova un compratore tutto funziona, ma quando qualcuno capisce che dietro non esiste alcuna sicurezza, la ruota non gira più. Il problema è che chi ha acceso il cerino è poi fallito, lasciandolo nelle mani dei malaccorti che si erano fidati. Per questo gli Stati sono dovuti intervenire a sostegno delle banche pencolanti, operando, per la prima volta da oltre trenta anni, fuori dal contesto della teoria neoliberista. Di fatto alcuni istituti bancari sono stati nazionalizzati, in controtendenza con il dogma delle liberalizzazioni (Gran Bretagna, Stati Uniti, etc.).
Un altro mito che crolla con questa crisi è quello della ricchezza derivante dalla produzione immateriale.
Così, per esempio, l’Irlanda, che ha costruito negli anni novanta del secolo scorso la propria immagine di paese moderno ed in sviluppo rapido e costante, ha basato il proprio successo sull’afflusso di capitali esteri attirati da basse tassazioni. Per anni ci siamo sentiti incitati a seguire il suo esempio, liberando la finanza da “lacci e laccioli” che ingessavano l’economia. A distanza di poco tempo si sono visti gli effetti; nel momento in cui i capitali hanno cominciato a girare molto meno, l’economia irlandese è entrata in un gorgo profondo, che ha rivelato tutta la sua fragilità. La sua economia era basata sul giro vorticoso dei capitali e non possedeva le basi strutturali produttive, uniche in grado di dare tono al ciclo declinante.