Divisi non si vince

A Brescia sei immigrati di varie nazionalità sono saliti su una gru a oltre 35 metri di altezza e ci vivono al freddo, all’umido da quasi quindici giorni. Altri 5 ragazzi immigrati stanno sulla Torre ex Carlo Erba di via Imbonati a Milano dal 5 novembre in solidarietà con i compagni immigrati di Brescia. Giovani ragazzi provenienti da altre parti del mondo, lavoratori in una delle aree che meglio tiene rispetto alla crisi economica, ma sottoposti a ricatti costanti da parte dei datori di lavoro che, con l’attuale legislazione sul lavoro e sui flussi migratori, hanno mano libera per lavoro a nero, sottopagato, costantemente ricattabile.
Fatti così drammatici confermano per prima cosa l’esasperazione prodotta da leggi sbagliate e disumane sull’immigrazione e da gravi comportamenti delle questure e delle prefetture sui permessi di soggiorno. Infatti oltre 100.000 sono le domande di sanatoria respinte nel corso del 2010, da cui la maggioranza è rimasta esclusa, dopo una spesa di migliaia di euro, per motivi pretestuosi e spesso a causa dell’inganno dei datori di lavoro che prima sfruttano il lavoro migrante con la promessa di una regolarizzazione, poi li abbandonano al loro destino: clandestinità, CIE, Centri di detenzione anticostituzionali, espulsioni. Le richieste minime dei lavoratori migranti sono: 1. permesso di soggiorno per chi ha partecipato alla sanatoria “truffa”, 2. prolungamento del permesso di soggiorno per chi perde il lavoro e per chi denuncia il datore di lavoro in nero, 3. una legge per il diritto di asilo, 4. la cittadinanza per chi nasce e cresce in Italia, 5. diritto di voto per chi vive in Italia da almeno 5 anni.
Richieste veramente minime, visto come sono trattati e sfruttati da una parte consistente della società italiana e che dovrebbero essere velocemnete appoggiate dai lavoratori in una comunanza di interessi materiali e di prospettiva di cambiamento che stenta a decollare.
Le risposte che finora hanno avuto sono troppo poche e soprattutto preoccupa la risposta criminalizzatrice da parte di prefetture e polizia; i filmati passati in televisione testimoniano le violente cariche della polizia senza apparente motivo contro chi manifestava a Brescia in sostegno della lotta dei sei lavoratori.
Ora si cerca anche di bloccare l’accesso all’area dove si trovano questi lavoratori con la scusa di motivi di sicurezza.
Pochi si muovono per impedire tutto questo, perchè?
A parte padronato e forze governative, anche da parte dei lavoratori la risposta è tiepida; due decenni e passa di politica “dei sacrifici”, di strumentalizzazione dei migranti per battere le richieste di uguaglianza da parte di settori della classe operaia stanno dando i loro frutti. Dobbiamo denunciare tutto ciò, battere anche le “false coscienze” di molti lavoratori passati a Lega e cose simili, controbattendo alla propaganda dei migranti come “sfruttatori” della società italiana in tutte le sedi, con dati inoppugnabili, oltre che con il richiamo al senso di umanità minima, di accoglienza, di rispetto degli altri che purtroppo si è persa in tanti strati sociali e in tante aree del paese.
Questi lavoratori hanno messo il dito su una piaga del lavoro nero e della clandestinità che è più grande di quanto si voglia dire; svelarlo può servire a muovere un po’ le coscienze addormentate?
Quante entrate “illegali” si stanno ottenendo con la sanatoria, visto che quando non viene concessa non si restituiscono le centinaia di euro versati, che ogni rinnovo di permesso di soggiorno comporta spese sostanziose per chi lo richiede? Ma queste sono quisquillie a fronte di un dato ben più importante: i migranti sono una parte cospicua della forza lavoro proprio nelle aree più importanti del paese dal punto di vista
produttivo e residenziale. Sui quasi 5.000.000 presenti a vario titolo sul suolo italiano; la Lombardia, leghista e bacchettona ne ha a disposizione ben 982.225, seguita da Lazio con 497.000 e dal Veneto, autonomo e razzista con 480.616, l’Emilia Romagna con 461.321 e la Toscana con 338.746 (dati Dossier Caritas 2010).
Nessuno dice che i lavoratori “stranieri” sono meno del 9% della popolazione, ma contribuiscono per l’11% alla produzione del Prodotto Interno Lordo, secondo le stime di Unioncamere per il 2008. Le spese che a vario titolo la società italiana sostiene per questo gruppo di cittadini / non cittadini è nettamente inferiore anche alle sole entrate.
I dati su questo squilibrio sono di un ente non certo rivoluzionario, della Caritas, che meglio conosce la realtà del mondo migrante (visto che ne gestisce a pagamento e come opera di carità, forse, i flussi maggiori) e ci dà ogni anno dati sul mondo dell’emigrazione, dati fra i più attendibili proprio perché comprendono anche il
sommerso, la clandestinità.
Può bastare questo: “Si tratta di quasi 11 miliardi di contributi previdenziali e prelievi fiscali l’anno che hanno contribuito al risanamento del bilancio dell’Inps, trattandosi di lavoratori giovani e, perciò, ancora lontani dall’età pensionabile. Essi inoltre dichiarano al fisco oltre 33 miliardi l’anno.” ( Dossier Caritas 2010).
Allora, diciamo chiaramente che i migranti che stanno sulle gru in questo momento sono una parte del proletariato che sul suolo italiano è stato messo in ginocchio dal punto di vista economico, ma soprattutto che ha subito, come i migranti, un forte attacco ai livelli minimi dei diritti di uguaglianza, reddito e sicurezza sul lavoro.
Riconoscere nei volti, nelle richieste di questi migranti le nostre stesse tragedie, i nostri stessi problemi può essere il primo passo per riprendere la lotta contro il capitale, che, ieri come oggi, dalla divisione fra lavoratori indigeni e lavoratori migranti ha saputo trarre energie per sopravvivere alle varie crisi.
L’unione fa la forza, si diceva nel secolo passato, ma anche nel 2000 non c’è altra prospettiva se vogliamo battere questo mondo basato sullo sfruttamento, la divisione del proletariato a livello internazionale e nelle singole aree produttrici.

Adriana Dadà