Bibbia e moschetto leghista perfetto

Mentre l’opinione pubblica è indotta a discutere di appartamenti, lasciti (che sono da sempre la rovina di ogni organizzazione politica), ville, società offshore, c’è in Italia chi la sua politica la fa sul serio e progetta il futuro investendo sulla scuola per produrre una mutazione genetica del modo di pensare e percepire le relazioni sociali.
Intendiamo riferirci a due innovazioni sperimentate non a caso in Veneto e in Lombardia per regionalizzare il sistema scolastico: in Veneto, in accordo tra regione e ministra dell’istruzione si introduce nei programmi la lettura e lo studio della Bibbia nelle scuole medie e in Lombardia si incentivano studenti e studentesse a sperimentare la preparazione militare in alcune settimane di addestramento che consentono di conseguire titoli formativi

Il Veneto: la Bibbia a scuola

A prima vista la lettura e lo studio della Bibbia a scuola sembra costituire un’ennesima violazione della laicità della scuola e dei diritti di libertà religiosa e certamente questo è uno degli aspetti di illegittimità di questa iniziativa. Siamo di fronte alla violazione palese del principio di laicità considerato dalla Corte Costituzionale un principio supremo del nostro ordinamento, addirittura caratterizzante della forma di Stato. Le letture e l’insegnamento della Bibbia vanno ad aggiungersi alla ben 429 ore di insegnamento della religione cattolica effettuate durante tutti i cicli scolastici e senza possibilità di essere esentati posto che tale attività fa parte dei programmi ordinari della scuola.
Ma c’è di più e per capire questa scelta è necessario farsi una ulteriore domanda: perché la Bibbia e non i Vangeli.
La risposta sta nel fatto che la Bibbia, oltre ad essere un testo sacro contiene due messaggi che interessano a chi vuole dare una svolta significativa e caratterizzante alla formazione delle persone.
a) la Bibbia afferma come vera e indiscutibile la teoria creazionista che invano e per più strade si è cercata di introdurre nella scuola e permette quindi di attaccare alla radice la conoscenza scientifica dell’evoluzione.
b) la Bibbia trasmette un messaggio identitario e non universale. Essa racchiude la storia di un popolo eletto, che ha stipulato un’alleanza esclusiva e privilegiata con il proprio Dio e che rende questo popolo diverso da tutti gli altri. Si fa parte di questo popolo non per scelta ma per tradizione in una catena di successione di sangue legata alla tradizione.
Allo stesso modo il “popolo padano” nasce non dall’incontro di diversi popoli ma ha un’origine ancestrale, si distingue dagli altri fin dagli albori della storia, si autoriproduce secondo una catena biologica che non ammette innesti o intromissioni, che non consente altra integrazione che l’assimilazione totale e l’annullamento dell’altro.
Non è un caso che i leghisti riconoscano come loro inno il “Va pensiero” del Nabucco, ode che narra il dolore e la nostalgia per la patria lontana proprio degli ebrei esuli a Babilonia e alla ricerca di un proprio territorio, del territorio che il loro Dio ad essi ha riservato. In questa visione del mondo gli altri popoli sono “gentili”, sono estranei, infedeli e con essi non si può avere alcun contatto.
Una volta tanto i Vangeli non vanno bene perché la religione cristiana della quale costituiscono i libri sacri è una religione universalistica della quale tutti possono essere partecipi a condizione che si convertano e credano nei suoi precetti.
Si costruisce così una “religione civile” che deve fare da supporto alla secessione, deve sostenerla e motivarla, deve fornirle i contenuti “religiosi”, componente essenziale di ogni “rivoluzione” di tipo vandeano.

La Lombardia: la guerra in classe

Per non essere da meno la Regione lombarda prepara gli studenti alla guerra nelle scuole. Insegna a sparare con le carabine ad aria compressa (per ora), a tirare con l’arco cercando di inculcare l’idea che può succedere di doversi difendere e (perché no) aggredire e perciò occorre sapere come fare magari esercitandosi nelle attività di primo soccorso e di quant’altro fa parte della cultura della guerra.
Si inverte, anzi si capovolge, il messaggio fino ad ora trasmesso dalla scuola, caratterizzato dalla cultura della pace, dal rifiuto radicale e assoluto della guerra. Il messaggio di fondo diviene la difesa della propria specificità contro ogni confronto o integrazione, la diffusione della paura del diverso, l’alimentazione della sensazione di assedio da parte di culture e etnie altre. Il futuro riserva la necessità di confrontarsi con i diversi, di contrastarli per impedire che essi mettano in discussione valori e tradizioni, che occupino il territorio. E perciò la scuola deve insegnare a difendersi, deve fornire gli strumenti per poter offendere, se necessario, e contrastare anche fisicamente l’invasione dello spazio vitale.
Si obietterà che la scuola è aperta a tutti e che quindi anche chi non si assimila è destinato ad apprendere queste tecniche con il risultato di “balcanizzare” la società.
Balcanizzazione e difesa dei diritti e della pace                                                       Ritornano in mente i Balcani e le politiche di pulizia etnica in funzione identitaria che hanno visto le popolazioni combattersi per il possesso esclusivo del territorio.
Anche nella ex Jugoslavia introdussero negli anni dal 1980 al 1982 una radicale riforma della scuola che da interetnica, interculturale e interreligiosa divenne nazionale, di una religione ed etnica. Furono create classi per lingua, per appartenenza etnica, per appartenenza religiosa e le diverse comunità presenti nel territorio furono abituate fin dall’infanzia a non conoscersi, a non parlarsi. Quando queste generazioni giunsero alla
maggiore età la propaganda nazionalista e etnica trovò un fertile terreno già arato e pronto a raccogliere il seme dell’odio.
Come già in Jugoslavia il leghismo in Italia prepara il domani!
Il mondo politico continua a baloccarsi tra case e ville, mentre la disoccupazione cresce e i salari accusano una perdita secca di 5.400 euro in sei anni. Aumenta così il disagio sociale e si creano le basi materiali sulle quali possono innestarsi con successo le strategie di secessione del paese.
Si tratta di un progetto lucido e coerente al quale bisogna opporsi con determinazione impostando lotte sociali sui diversi fronti a cominciare da una vertenza complessiva sui salari e il lavoro, ma non trascurando la scuola nella quale bisogna battersi contro la sua clericalizzazione, contro lo stravolgimento dei valori, per un ripensamento del suo ruolo e della sua funzione sociale.
Le pagine che seguono intendono dare un contributo in questa direzione.

La Redazione