Poche considerazioni sulle recenti modifiche legislative relative all’assistenza sanitaria negli Stati Uniti d’America.
Alcuni elementi di sfondo, negli USA non è mai avvenuta l’evoluzione che ha operato in Europa intorno al tema della salute, attraverso un corpus di norme che parte dalla legislazione a tutela dell’infanzia abbandonata dell’Inghilterra fine ottocento ed arriva alla impostazione universalista moderna di cui la 833/79 italiana rappresenta una
discreta sintesi. Tutte le costituzioni europee pur non contenendo in modo esplicito il
diritto alla ricerca della felicità, mantengono tuttavia il concetto di diritto alla salute
come bene non disponibile e di pubblico interesse.
Sul piano pratico l’evoluzione della difesa della salute passa per due versanti, quello della tutela della salute comunitaria (igiene delle popolazioni e più recentemente
dell’ambiente, la cui responsabilità in Italia è in capo ai Comuni nella persona del
Sindaco) e la tutela della salute individuale, demandata nei secoli almeno per i poveri al
”buon cuore”, espresso dalle strutture ecclesiastiche di assistenza (nell’Europa del nord
sono più rappresentate anche le comunità di cittadini, la borghesia, sempre a sfondo
religioso a seguito della Riforma). I movimenti dei lavoratori, globalmente intesi, sia con
connotati rivoluzionari che sindacali, hanno sostenuto il tema della necessita di tutelare
il reddito e le cure in caso di malattia promuovendo nel corso della prima metà del
secolo scorso la costituzione delle casse di mutua assistenza poi sfociate nel sistema
delle assicurazioni obbligatorie del secondo dopoguerra.
Il passaggio dell’obbligatorietà concepita inizialmente solo per l’infortunio di origine lavorativa si è estesa alla malattia in generale ed è stata la premessa dell’universalizzazione, che si è associata ad un drenaggio da parte dello Stato delle
quote di reddito devolute a questo fine con l’obiettivo, peraltro raggiunto di razionalizzare la spesa. Storicamente questa razionalizzazione ha comportato una
restrizione del mercato in questo settore, che ha dato origine, negli anni passati, anche a prescrizioni in merito da parte del WTO.
Diversamente da questo percorso europeo, gli Stati Uniti non hanno mai sviluppato
sistemi assistenziali obbligatori, e la forte crescita economica che ha da sempre
caratterizzato la struttura industriale americana, con la conseguente alta mobilità del
lavoro, non ha indotto la formazione di strutture di mutuo appoggio significative. La
perdita di salute è ancora vissuta nella buona tradizione puritana come la punizione
della colpa ed ha fatto della problematica delle cure mediche un fatto sostanziale
privato e quasi scaramantico.
Su questo terreno si è quindi sviluppato un sistema industriale che ha
definitivamente marginalizzato la quote di no-profit provenienti dalla tradizione
ecclesiastico-solidaristica. La conseguenza economica di questa strutturazione è la
tendenza delle lobbies che ruotano intorno alla salute a sviluppare il massimo profitto. I
gruppi rappresentati sono a grandi linee: le imprese farmaceutiche ormai ridotte a
colossi multinazionali – di cui 4-5 americane, un paio europee una giapponese -, che
monopolizzano il mercato mondiale del farmaco, sia esso per uso umano, animale, o
vegetale; le finanziarie che controllano le assicurazioni le quali drenano le quote di
reddito che le famiglie destinano alla “cura delle malattie”; in questo campo valgono
anche le quote che i datori di lavora pagano a specifiche categorie di dipendenti più o
meno professionalizzati come benefits inclusi nel contesto salariale (vale ricordare che le alchimie societarie possono portare i debiti di queste imprese molto lontano ed anche
all’estero); il sistema di imprese medie e medio-piccole caratterizzate da prodotti di
elevatissima tecnologia e limitata diffusione nell’ambito delle quali possiamo buon titolo
far rientrare anche gli ospedali e gli istituti di ricerca.
L’azione combinata e tendenzialmente sinergica di queste tre componenti ha portato il sistema di cure americano ad incidere per oltre il 15% del PIL sull’economia globale, “minacciando” le quote di risorse destinate ad altri settori nevralgici della spesa
dello stato. A fronte di una spesa media europea dei sistemi universalistici di circa 2.900 dollari anno procapite la spesa statunitense raggiungerebbe 7.400 dollari anno
procapite.
Questo è probabilmente il primo problema cui ha tentato di rispondere il progetto
Obama. Il secondo problema più di carattere sociale è che una quota tendenzialmente in aumento (stimata in 57 milioni di persone nel 2015) sarebbe rimasta, soprattutto in
condizioni di crisi, priva di copertura assistenziale; almeno formalmente, in quanto
esistono tuttora livelli di assistenza minimi garantiti dai pronto soccorso e dall’assistenza sociale.
Globalmente il sistema sanitario americano dal punto di vista dell’eccellenza è
sicuramente quello che nel mondo è in grado di fornire uno dei migliori standard di
prestazioni, tuttavia è di gran lunga il più costoso, per unità di prodotto. Questo si sposa
bene con il potenziamento sinergico delle tre grandi lobbies che abbiamo definito sopra.
Molto del gioco politico fra repubblicani e democratici che ruota intorno alla legge
di riforma verte su queste questioni.
Il costo totale ufficiale stimato è di circa 1000 miliardi di $ in 10 anni e viene indicato come al di là dei limiti accettabili di sistema dai repubblicani e da parte dei democratici sia pure attribuendone quote diverse direttamente in carico al Tesoro. La spesa per quanto evidentemente importante è tuttavia paragonabile a quella sostenuta
per la guerra in Iraq o in Afganistan.
Dal punto di vista strettamente tecnico, l’impianto della nuova legge è complesso
perché tende a inglobare tutte le sfaccettature del sistema in essere come frutto del
compromesso generato dal dibattito molto interno ai democratici, in quanto i
repubblicani hanno scelto la via della prova di forza mantenendo un compatto no a tutto
il pacchetto. Il terreno del contendere al di là delle manfrine su aborto e questioni di
principio è su chi dovrà pagare la quota mancante per raggiungere nell’arco di 5-6 anni
la copertura del tanto sbandierato 95% della popolazione (inferiore a 65 anni),
consentendo al contempo di rendere operativi i meccanismi di calmierazione del
mercato sanitario tesi a ridurre la spesa storica e senza contemporaneamente
aumentare il debito del tesoro.
L’alchimia non appare facile ed allora si chiede di dividere l’onere fra:
a) le compagnie assicuratrici, che hanno da una parte l’obbligo di non scaricare gli
assicurati “costosi”, si accollano i figli fino a 26 anni ed in cambio riscuotono il
principio di obbligatorietà dell’assicurazione per chiunque abbia un reddito anche
minimo, pena una multa in misura fissa di 750 $ per i redditi familiari inferiori al
400% della soglia di povertà (29.000$ /anno /nucleo familiare) e del 2% sul reddito
per i redditi superiori;
b) una tassa specifica sulla fascia alta del ceto medio per i redditi superiori a 250,000
$ /anno con extra quota del 3,5% sugli investimenti per i redditi familiari superiori
ai 500.000$ /anno (globalmente consiste in un aumento dello 0,9% rispetto alla
precedente tassazione); questa è ovviamente la parte più debole del provvedimento in campo democratico, con un discreto numero di Rappresentanti della Camera che non vede di buon occhio un aumento delle tasse sul ceto medio;
c) Il fondo Medicare dedicato alla popolazione anziana che cederebbe quote al
Medicaid, l’attuale fondo per l’assistenza ai poveri. Si associa un provvedimento
per erogare un checkup annuale gratuito per gli ultrasessantacinquenni (che
probabilmente hanno però necessità di controlli più frequenti se affetti da
patologie croniche, e non è definito come possano accedere alle ulteriori cure).
Nel delicato equilibrio di compromessi che esce dalla discussione del Senato:
scompare l’estensione alla fascia di età 55-65 del pacchetto Medicare; viene
sostanzialmente neutralizzata l’opzione pubblica potenzialmente concorrenziale con le
assicurazioni private e principale strumento di calmierazione inizialmente previsto,
demandando ai singoli stati l’onere di integrazione delle polizze per i meno abbienti
attraverso un sistema di trasferimenti dallo stato federale (solo in assenza di questo
passaggio potrebbe essere recuperata l’opzione pubblica). L’introduzione poi della tassa sulle polizze Cadillac (quelle ad alto costo con copertura molto elevata) ha trovato
avversari nel mondo produttivo segnatamente fra i sindacati di categoria ed i datori di
lavoro in relazione alla connotazione di benefit contrattuale dei quali spesso godono, e di sgravio fiscale delle aziende, che ne hanno così ottenuto uno scorporo per l’immediato ed una dilazione negli anni a venire.
L’obbligo di fornire una polizza assicurativa ai propri dipendenti per tutte le aziende con più di 50 dipendenti è un’arma spuntata in quanto la sanzione, ancorché prevista, scatta dal 30° dipendente in su, e non coinvolge i contratti anomali; inoltre il Senato avrebbe approvato l’articolo senza lo specifico dell’obbligatorietà che sarebbe
demandato a successivi provvedimenti attuativi.
Sorprendentemente la riforma non sembra prendere in considerazione una fonte di
spesa importante rappresentata dalle ditte farmaceutiche (13% dell’intera spesa). Negli
USA il costo medio dei farmaci brevettati risulta molto più alto dei farmaci a brevetto
scaduto con un trend inverso rispetto a quello europeo, dove i servizi sanitari nazionali
impongono bene o male alle aziende farmaceutiche prezzi più contenuti.
In alcuni commenti (giacché il testo integrale non è ancora disponibile) viene riportato un provvedimento di prolungamento a 12 anni del periodo di validità dei brevetti esclusivi, viene previsto uno sconto a carico dello Stato per i redditi più bassi e
per gli anziani (>65) con patologie croniche (i maligni sospettano che non sia estraneo
alla decisione il cospicuo contributo fornito dalla lobby farmaceutica alla campagna
elettorale di Obama).
Al momento la stima reale dei costi sia per la popolazione che per le casse federali
è oggetto di una feroce campagna politica fra repubblicani e democratici, con il risultato
di una sostanziale disinformazione sull’argomento. Di fatto la mancanza di stime del CBO sull’evoluzione dei costi di sistema oltre il 2020, non consente una valutazione
attendibile delle cifre che rimbalzano attualmente fra i commentatori. Tuttavia la borsa
ha risposto immediatamente in modo fortemente positivo per i titoli farmaceutici, ed in
parte anche per i titoli assicurativi suggerendo che la percezione degli economisti è
orientata su un sostanziale vantaggio sul breve termine. In termini economici quindi la
domanda fondamentale di riduzione della quota di PIL assorbita dalla sanità non
sembrerebbe essere stata evasa dal provvedimento in approvazione.
L’anomalia americana dell’esorbitante quota di profitto per unità di investimento
della sanità U.S.A. se da una parte può avere un effetto trascinante sull’economia,
dall’altra tende sempre più a distorcere un mercato con una intrinseca e spiccata
propensione speculativa. In condizioni di domanda di prestazioni stabilizzata o
tendenzialmente in riduzione a fronte della crisi in atto, quello che continua a mantenere alta la tensione speculativa è quindi il sostanziale monopolio dei tre grandi attori: le farmaceutiche, le assicurazioni che sono organizzate su base territoriale (per cui ogni stato dell’Unione è sostanzialmente territorio di caccia di una o due compagnie
assicurative assolutamente preminenti e sono a questo proposito probabilmente
importanti i rapporti politici con i governatori locali), la classe sanitaria (medici, ma
anche personale paramedico) che ha mantenuto uno strettissimo controllo sul numero
massimo di operatori disponibili (circa la metà di quelli attivi in Europa ad esempio)
attraverso rigidissime barriere formative poste molto spesso oltre il termine del
completamento degli studi.
La riforma per come emerge dal frammentario insieme di provvedimenti al momento resi pubblici non sembra sul breve periodo in grado di intaccare l’architettura base del sistema assistenziale americano.
Marco Paganini