L’EURO: DURERA’ ANCORA PER MOLTO?

La domanda non è peregrina alla luce degli avvenimenti successivi alla crisi finanziaria della Grecia. E ancora una volta può dirsi che il capitalismo è un po’ come il diavolo: fa le pentole ma non riesce a fare i coperchi. In questo caso vediamo perché.
La moneta unica europea doveva iniziare un periodo aureo di stabilità, anche e soprattutto a motivo dei rigidi parametri stabiliti per poterla avere e per rimanere nel suo circuito monetario. Parametri e quant’altro frutto di una fredda e brutale politica monetarista per la quale i dati contabili valgono molto più dei costi sociali, in primo luogo derivanti da una secca perdita di potere di acquisto, ovviamente per i ceti più deboli. Tant’è che per vari popoli europei vale un nuovo detto: è come se i salari fossero pagati ancora nella vecchia moneta, mentre i prezzi sono in euro. È assai probabile che senza la presenza della poderosa economia tedesca unificata e della sua stabile moneta, non si sarebbe mai arrivati alla creazione dell’euro. Onore e gloria alla Germania unita, pilastro di quella che oggi si chiama Unione Europea, e che prima si chiamava Comunità. Comunque sia, unione e comunità sono parole da cui dovrebbe scaturire una sfumatura di solidarietà reciproca fra i membri.
Ma fra gli Stati e le economie capitaliste la solidarietà – quando esiste – è un mero bene strumentale; particolare spesso dimenticato. Difatti la Germania (ma anche la Francia, per esempio) ha dato fino a quando ha avuto la sicurezza della sua convenienza. Oggi, tra la crisi mondiale e le prossime scadenze elettorali, questa
sicurezza si è alquanto incrinata, e lo ha dimostrato propugnando inizialmente la tesi dell’abbandono del popolo greco alle tenere e amorevoli cure di quel Fondo Monetario Internazionale a cui milioni e milioni di poveri del mondo devono l’aggravarsi disumano delle loro condizioni; e opponendosi agli aiuti comunitari alla Grecia.
Quando però si devono aiutare le banche la disponibilità al soccorso è di gran lunga maggiore.
Gli altri partners europei in qualche modo hanno “convinto” il governo tedesco a un ammorbidimento, sia pure non senza condizioni da parte di Berlino, atteso che questo non ha costituito la svolta da molti attesa, cioè che sia la Banca Europea aiutare i membri dell’Unione in difficoltà. E l’FMI non è stato affatto escluso dalla rosa dei “soccorritori”: l’aiuto alla Grecia sarà maggioritariamente europeo, ma l’FMI sarà chiamato a dare un finanziamento “sostanziale”. Si vedrà a che prezzo per i cittadini greci.
Ma l’attenuarsi del rigorismo di Angela Merkel non fa tornare il sereno, giacché pende virtualmente la spada di Damocle del Tribunale Costituzionale di Karlsruhe. Quest’organismo di paludati signori ben pagati non solo si è attestato su un’interpretazione ultrarigorista del Trattato di Maastricht, nel senso che non ammette
gli aiuti di eurolandia ai paesi in difficoltà finanziarie; ma altresì nel 1992 decretò che lo Stato tedesco poteva abbandonare il marco solo per un’altra moneta di stabilità equivalente. Poiché la stessa Merkel ha sostenuto a Bruxelles che la Germania è passata all’euro avendo fede nella stabilità della nuova moneta, certo è che se la
scelta di aiutare la Grecia fosse portata al Tribunale di Karlsruhe, e questo dovesse statuire che detti aiuti dimostrano la non equivalenza di stabilità fra l’euro e il vecchi marco, non sarebbe solo la Merkel ad avere grossi problemi: li avrebbe tutta l’Europa della zona-euro, con i relativi popoli.
Non è azzardato ritenere che se la signora Merkel – dall’ex ministro degli Esteri tedesco ora definita “frau Germania” – dovesse tirare troppo la corda, o essere costretta a farlo, puntando a escludere dal circuito dell’euro i paesi in difficoltà che non riescono a rispettarne i parametri, e magari riuscendoci, allora né l’euro né l’Ue sopravviverebbero a un simile scossone. E anche la Germania ne pagherebbe il prezzo, se si considera che i 2/3 delle sue esportazioni vanno ai pesi dell’euro.
Va anche considerato che recenti studi economici portano a una conclusione indipendente dalle scelte tedesche: per i paesi che non vogliono essere strangolati e ridotti in braghe di tela o dall’FMI o dai partners comunitari l’uscita dall’euro è pur sempre un’opzione da considerare. Siffatta conclusione, tuttavia, è puramente
“tecnica”, e non tiene conto di alcuna conseguenza sociale. Infatti, il paese che scegliesse questa via si troverebbe innanzi tutto con propria moneta (vecchia o nuova che sia) del valore della carta straccia, e se dovesse chiedere un aiuto finanziario finirebbe strangolata dal creditore di turno, chiunque esso sia.
Poiché dietro l’angolo non abbiamo né la rivoluzione né l’uscita dal sistema capitalista internazionale, in teoria ci si dovrebbe aspettare (e dovrebbe essere auspicabile) una seria e massiccia mobilitazione dei lavoratori di eurolandia sui loro governi perché si attivino per una radicale riforma sia del sistema monetario sia del ruolo della Banca Europea sia dell’insieme delle antidemocratiche istituzioni europee. Ma non sembra proprio che tutto questo sia nell’aria. Dovesse avere ragione Umberto Eco quando scrisse che oggi il grosso problema per il proletariato non è perdere le sue catene, bensì l’ultima puntata del “Grande Fratello”? Sta di fatto che se un futuro negativo tutt’altro che oscuro finirà col travolgere chi non si è preparato a tempo a fronteggiarlo; e non solo costoro, ma anche gli altri. E lasciare che siano la Merkel e Sarkozy a preparare questo futuro …

Pier Francesco Zarcone