Il tramonto del consociativismo olandese di fronte alla globalizzazione

Il risultato delle elezioni olandesi è stato salutato dalla Merkel come una “bella giornata per la democrazia” mentre Hollande ha parlato di “netta vittoria contro l’estremismo”. Junker ha definito il risultato un “voto per l’Europa contro gli estremismi” e Gentiloni si spinge fino a chiamare “all’impegno comune per cambiare e rilanciare l’Unione” approfittando delle celebrazioni romane dei sessant’anni dei trattati di Roma istitutivi della Comunità Europea. Eppure a “vincere” le elezioni. pur perdendo 10 seggi, sono stati i liberali di destra di Rutte mentre i socialisti, alleati di governo del premier, hanno autodistrutto il loro partito passando da 38 a 9 seggi. Sono cresciuti i verdi di sinistra che ne hanno guadagnati dieci mentre è stato “sconfitto” il partito degli xenofobi di Geert Wilders.
Ad uno sguardo superficiale la crisi olandese appare incomprensibile: i fondamentali dell’economia sono in ordine; il Pil cresce oltre il 2 per cento annuo, il debito pubblico supera di poco la soglia del 60 per cento, la disoccupazione è al 5,4 %, mentre era all’8,3 nel 2013. L’Olanda è la 17esima economia del mondo, la decima per reddito pro capite ed è stata valutata con la tripla A delle agenzie di rating. Tutto Bene? No di certo
perché questi risultati sono stati ottenuti precarizzando ulteriormente il mercato del lavoro, continuando a distruggere i ceti medi e sfruttando una immigrazione massiccia che fornisce la forza lavoro a basso costo e a tutele minime per competere a livello mondiale. I processi di finanziarizzazione dell’economia del paese sono molto forti e il fisco offre sufficiente e interessante protezione agli investitori per trasferire la residenza fiscale nel paese.
Eppure il clima sociale non è buono. Cresce la critica verso l’Unione Europea, soprattutto per la politica verso l’immigrazione e una propaganda costante degli ambienti e dei partiti di destra viene condotta verso i paesi del sud dell’Unione, considerati spendaccioni e incapaci di una gestione virtuosa del bilancio e dell’economia. Il partito del premier Rutte è tra i critici principali e anche strumentalmente si fa carico di guidare il malcontento verso le politiche comunitarie. sostenendo la proposta dell’UE a più velocità. Ciò malgrado, guardando ai risultati elettorali si esulta per lo scampato pericolo perché, a detta di molti, poteva andare peggio: dopo il successo di Donald Trump ciò che sembra impossibile può diventare vero e questo perché i cosiddetti partiti di sistema faticano a leggere gli umori profondi delle società occidentali. A fronte della mancanza di proposte credibili e di un programma della sinistra riformista, incapace di difendere i ceti medi e quelli marginali, in assenza di un programma sociale che affronti il problema della sempre più sperequata distribuzione del reddito e della riduzione del welfare, acquista spazio la destra xenofoba e populista, impersonata in Olanda da Geert Wilders. Costui ha fatto dell’anti-islamismo una bandiera che ha comunque dettato l’agenda politica ed elettorale del paese, imponendo i suoi temi e costringendo tutti gli altri candidati a rincorrerlo a destra, tanto che lo stesso Rutte, per arginarlo, ha dovuto spiegare agli immigrati che sono i benvenuti a condizione che condividano i valori olandesi oppure è meglio che se ne vadano. Il gesto plateale del divieto ai politici turchi di fare propaganda in Olanda al referendum istituzionale voluto da Erdogan è stata una operazione propagandistica stante anche il fatto che i turchi costituiscono una componente largamente minoritaria dell’emigrazione.
Il fatto incontestabile è che sono i temi identitari che dominano la politica, in Olanda come altrove. I parametri del benessere e dei successi in economia visti in cifre assolute non garantiscono il consenso.
L’emotività, la pancia, contano più del cervello e della ragione, mentre una massa crescente, composta da tutti coloro che si sono impoveriti a causa della crisi, si rivolge all’estrema destra perché trova a sinistra solo ricette con dosi più o meno massicce di più mercato, più globalizzazione selvaggia e riduzione dello Stato sociale. In questa situazione matura il ribellismo contro le élites.

Le ragioni strutturali della crisi sociale olandese

Nessuno sembra domandarsi quali sono le cause profonde della crisi del modello sociale olandese che un tempo si distingueva per il suo “consociativismo positivo”. L’Olanda si riconosceva come società estremamente composita dal punto di vista ideologico, culturale e religioso. A gestire questa diversità di appartenenze era chiamata una necessaria alleanza di forze tra le più diverse, rappresentate da partiti che si vedevano riconosciuta la presenza in Parlamento da un sistema elettorale proporzionale puro che presupponeva la formazione di coalizioni che mediavano un programma comune di gestione della società. Gli equilibri politici erano affidati al mercato, attraverso una contrattazione tra le diverse componenti organizzate della
società (stroming) che insieme costituivano le colonne (zuilen) della struttura sociale del paese. Benché questa struttura formatasi nell’ottocento si sia poi evoluta con il formarsi dei partiti moderni, essa ha conservato una certa consistenza nel paese e si rifletteva sulla struttura territoriale del paese nel fatto che le diverse componenti social-religiose e ideologiche della popolazione si strutturavano in comunità con profonde ripercussioni sia per quanto riguarda il maturare dei processi decisionali che la costruzione del consenso. Il modello poteva reggere fino a quanto poggiava su una base culturale comune, fatta di comunità differenti, anche sul piano religioso, ma accomunate da una identità che si rifaceva ai comuni principi di tolleranza e all’accettazione reciproca
dell’esistenza equilibrata di comunità diverse non totalizzanti, ma caratterizzate da un sufficiente e apprezzabile livello di differenziazione, al punto che si individuavano nel paese ben 17 confessioni religiose ufficialmente riconosciute (1989) e tutelate.
Tutto il sistema dei servizi sociali, della struttura del credito, dell’accesso ai benefici del welfare, compresa la scuola, era costruito tenendo conto di questo modello. tanto che la scuola pubblica gestita dallo Stato era ed è pressoché inesistente, mentre lo Stato finanzia le scuole orientate e confessionali, attraverso un accesso graduato alle risorse calibrato sulla consistenza del gruppo comunitario al quale queste fanno riferimento. Il collante di questo sistema di relazioni era costituito dalla progressiva laicizzazione della società e si caratterizzava per il tentativo di costruire un’etica comune e condivisa, espressione del modo olandese di concepire i rapporti di coppia (apertura del matrimonio come della convivenza registrata), accettazione delle pratiche eutanasiche, delle politiche di genere, ecc.
E tuttavia il sistema sociale del paese, particolarmente aperto alla diversità di appartenenze, ha accolto in dosi sempre più massicce e incontrollate l’emigrazione islamica, tanto che oggi essa ammonta al 6,2 % della popolazione ed è concentrata nelle periferie di alcune grandi città come Amsterdam e Rotterdam, con conseguenti fenomeni di ghettizzazione. Se si guarda all’intero paese si tratta di una percentuale che non dovrebbe costituire un problema, se non fosse che mentre in alcune aree essa ha dato luogo alla formazione di quartieri esclusivamente islamici, controllati dalle rispettive comunità migranti, che costituiscono delle vere e proprie énclaves sul territorio, nelle quali il modo di vita e i valori tipici della società olandese non vengono
praticati, la crescente distribuzione nel resto del territorio di queste presenze – resa necessaria dalle esigenze dell’economia – provoca allarme e genera fenomeni di rigetto.
Del resto, stante la struttura organizzata per comunità tendenzialmente a base tradizional-religiosa della popolazione anche indigena era inevitabile che i nuovi venuti si adeguassero al sistema. Perciò a partire dalla fine del secolo scorso si è assistito alla presenza sempre più organizzata della componente islamica nel paese che rivendica proprie strutture identitarie ambendo ad inserirsi come una componente organizzata nel sistema.
E’ nata perciò una rete di scuole confessionali islamiche finanziate dallo Stato, proprio grazie alla particolare struttura privatistica a carattere religioso della scuola, che fa si che verso questo tipo di istituti vadano maggiori finanziamenti pubblici.
Il sistema scolastico del paese veniva finanziato sulla base di parametri oggettivi quali il numero degli alunni della scuola, il carico di lavoro degli insegnanti, la preparazione di base dei genitori che se alta agevolava l’apprendimento quindi facilitava il lavoro di insegnamento e rendeva necessari incentivi per le situazioni, ad esempio, di una diversa appartenenza linguistica delle famiglie, ecc. Ebbene se si considera l’alta
natalità presente nella componente islamica della popolazione si assiste al fenomeno che mentre le scuole dei diversi culti chiudono o sono costrette ad accorparsi per mancanza di alunni, quelle islamiche proliferano, drenando legittimamente maggiori finanziamenti pubblici. Gli stipendi degli insegnanti delle scuole gestite dalle comunità islamiche verranno pagati di più per il maggior carico di lavoro derivante dall’istruzione delle famiglie e dalla diversità linguistica di esse. La dotazione complessiva delle risorse di tali scuole a carico della fiscalità generale sarà maggiore a quelle scuole appartenenti a altre componenti della società. Questi fatti non potranno che ingenerare risentimento sociale e rinforzare il senso di frustrazione e abbandono della popolazione
autoctona.
La presenza sempre più organizzata di una minoranza musulmana incide dunque sulla struttura sociale, proprio a causa del sistema consociativo che caratterizza l’ordinamento, in quanto i gruppi organizzati hanno modo di portare istituzionalmente le loro istanze in tutti i campi della vita sociale, anche nelle istituzioni. Se questa pressione finisce per perdersi in parte nelle grandi città, dando anche luogo a fenomeni di integrazione di fasce di cittadini, tanto che il sindaco di Rotterdam è un musulmano, non così accade nel nord del paese dove la distribuzione rurale della popolazione e una minore presenza e quindi una minor forza della comunità musulmana fa paradossalmente sentire in forma molto più forte il problema dell’integrazione, della convivenza.
E’ qui infatti che si concentrano i voti del partito xenofobo, dove la popolazione autoctona olandese si sente minacciata.

I rimedi strutturali alla crisi olandese

Il fenomeno, come abbiamo cercato di spiegare, ha dunque carattere e radici profonde ed è destinato a crescere a meno che non si intervenga sia a livello strutturale che sovrastrutturale. La soluzione offerta da Rutte attraverso la condivisione dell’agenda politica degli xenofobi non costituisce certo una soluzione anzi in prospettiva aggrava il problema, contribuendo a veicolare una posizione di frammentazione sociale. Occorrono misure che vadano verso una redistribuzione del reddito più equa e solidale, il che si traduce nella necessità di interventi sul mercato del lavoro attraverso la riduzione della flessibilità dei rapporti di lavoro, l’introduzione di maggiori garanzie e una contrattualizzazione delle relazioni tra capitale e lavoro. Il primo obiettivo non può che essere l’eliminazione del mercato parallelo del lavoro per la popolazione immigrata, introducendo il principio di eguaglianza e eguale tutela, Soprattutto occorre una revisione profonda delle relazioni sociali e un intervento deciso sui servizi alla persona che garantisce l’accesso a tutti anche tutelando le fasce più deboli della popolazione.
A nostro avviso andrebbe profondamente ripensata la scuola, dando vita finalmente a una vera scuola pubblica, diffusa su tutto il territorio, intesa come luogo di coabitazione “forzata” delle diverse componenti sociali del paese, offrendo a tutti, senza affidarsi al censo degli utenti o all’appartenenza di essi ad un gruppo etnico e/o religioso, la stessa formazione, una scuola capace di inglobare e contenere la diversità, attraverso lo
strumento della tolleranza reciproca, cosa che una scuola confessionale di qualunque tendenza non potrà mai fare. Le politiche di integrazione presuppongono il necessario abbandono delle strutture di comunità e la scelta di mettersi in gioco nel confronto con gli altri; è quello che manca a quella parte della società olandese legata al modello di relazioni tradizionali tra i culti e di fatto impreparata ad affrontare il mercato moderno delle appartenenze religiose.
Ancora: la scuola è il luogo nel quale le pratiche di libertà e di autogestione della persona umana che caratterizzano le scelte etiche della società olandese possono trovare spazio. Ci riferiamo all’apertura del matrimonio alle norme in materia di fine vita, al rispetto della libertà individuale e personale, alle politiche di genere, alla liberalizzazione dei rapporti intrafamiliari. Se questi capisaldi del modo di vivere olandese, ovvero di una società largamente secolarizzata e laicizzata non vengono veicolati dalle strutture di formazione sociale come la scuola o nel concreto dispiegarsi delle attività sociali comuni come sui può pretendere che il modello di valori sociali elaborati dal popolo olandese possa conquistare il cuore e la mente dei nuovi venuti?
Il confronto con l’islam da parte degli olandesi è un’occasione per la popolazione autoctona del paese per guardarsi dentro e capire che è giunto il tempo di superare quella visione coloniale che pure lo ha caratterizzato, di considerare le popolazioni delle colonie e ora gli immigrati come soggetti da sfruttare per estrarre le risorse necessarie all’Olanda per garantire il benessere della popolazione autoctona. Guardando la realtà è tempo che gli olandesi si accorgano che sono pochi, pochissimi a beneficiare di questa selvaggia estrazione di plusvalore e che essi sono, al pari degli immigrati, parte integrante di un esercito industriale di riserva, costantemente tosato e del quale non si fanno prigionieri. I tempi dell’isola felice del capitalismo sono finiti e le relazioni internazionali, le leggi di mercato, le ragioni dell’economia, ma anche quelli dell’etica e
dell’identità culturali, impongono scelte coraggiose.

Rimettersi in gioco

Dire quindi, come fa Rutte che gli immigrati sono “i benvenuti a condizione che condividano i valori olandesi oppure è meglio che se ne vadano” è l’affermazione di un incapace le cui azioni non potranno che combinare guai e far crescere i problemi portando il pese verso il disastro. La verità è che i leader europei diversi partiti piuttosto che affrontare i problemi preferiscono nasconderli e aspettare che si risolvano da soli.
La destra sovranista è l’unica ad avere una proposta folle e non condivisibile ma chiara: chiusura totale delle frontiere e recupero della sovranità nazionale nell’illusione di mantenere una identità della quale sono i primi loro a dubitare. La prova sta nella loro paura di affrontare il confronto e ciò dipende dal fatto che sono portatori di una identità debole.
Le forze cosiddette di sinistra sono in perenne difficoltà a causa della loro incapacità di progettare il futuro, di disegnare nuovi rapporti sociali, di affrontare il problema di una riorganizzazione produttiva che sia capace di coniugare insieme innovazione tecnologica, automazione, riduzione dell’orario di lavoro, nuova e diversa distribuzione del tempo vita, accesso ai diritti e al lavoro. Sicurezza sociale valori condivisi, società
solidale.
Su questo terreno si misurerà anche la nostra capacità di dare una risposta positiva ai problemi dei rapporti di classe oggi nei paesi dell’occidente sviluppato.

Gianni Cimbalo