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Con i se non si fa la storia, ma il brioso duo Renzi-Padoan con i se producono le leggi di stabilità, quelle che un tempo si chiamavano finanziarie. Il primo se riguarda l’accordo con la Commissione Europea che dovrebbe digerire un ulteriore aumento del deficit per il 2017 di altri tre decimali; qui le possibilità sono buone perché la coppia è abbastanza disciplinata e a Bruxelles si teme che l’esito del referendum istituzionale del 4 dicembre li possa sbalzare di sella. Ma il secondo se è un po’ più problematico: la crescita del Pil, ipotizzata all’1%, contro il parere di tutti gli analisti, è molto dubbia; ma l’imperturbabile ministro dell’economia tira diritto, giurando che ha ragione lui e non tutti gli altri, immemore che nei precedenti due anni non ha mai centrato l’obiettivo di crescita prefissato.
Anche l’austero (per quanto in via di fallimento) quotidiano di Confindustria, Il Sole 24 ore, qua e là, descrivendo la manovra presentata dal governo lunedì 19 ottobre, fa scivolare fievolmente l’opinione che la congerie di provvedimenti enunciati con aria trionfale dall’illusionista valdarnotto siano in realtà una serie di spot preelettorali. “Votate sì, siori, votati sì gente, che il maghetto esaudirà ogni vostro più roseo desiderio!” il
trucco più usato è quello di mettere nelle ormai mitiche slide decine e decine di miliardi, che sono proiezioni nel prossimo triennio e di cui solo una piccola parte sono a disposizione per l’anno in arrivo. Per fare un esempio gli strombazzati incentivi all’innovazione delle imprese,pomposamente chiamati “industria 4,0”, non vedono alcuna spesa prevista per il 2017: superammortamento del 140% per il rinnovo dei macchinari e l’iperammortamento del 250% per l’innovazione digitale valgono per gli acquisti effettuati nel prossimo anno, ma gli oneri derivanti dall’erogazione alle imprese ricadranno nel 2018. un bel modo per fare bella figura ed impegnare le risorse di chi verrà. Ma veniamo ad un’analisi puntuale.
Partiamo dalle spese. Il taglio dell’Ires dal 27,5% al 24% è una replica, perché già approvato e finanziato con 3 miliardi lo scorso anno. Quest’anno con l’abbassamento delle tasse per alcune tipologie di imprese il mancato introito per lo Sato si aggira intorno al miliardo e trecento milioni.
Gli incentivi per l’edilizia (che comprendono il rischio sismico, il risparmio energetico, la ristrutturazione degli alberghi, la ricostruzione della zona colpita dal sisma, etc.) non è quantificata; se la politica di sgravio dei lavori di ristrutturazione ha in realtà portato un aumento delle entrate di 0,3 miliardi dal 1998 al 2016, questo non è ipotizzabile per la fase eccezionale del momento. Anche in virtù dell’elevazione degli sgravi.
Il sostegno alle famiglie costerà 600 milioni, in quanto il piatto forte della revisione dell’Irpef è riservato al 2018, anno guarda caso elettorale.
Neppure la quattordicesima ai pensionati indigenti, l’aumento della quota di reddito dei pensionati sotto i 55mila € annui esente da tasse e l’anticipo pensionasti sociale (quello a carico dello Stato) non hanno ancora trovato una quantificazione certa.
La detassazione dei premi di produttività è un’altra misura ancora priva di un costo certo, ma comunque è un buon incentivo alla contrattazione decentrata, che rende più remunerato che lavora in settori ed aree in buona salute, penalizzando i più deboli; non è un caso che Confindustria plauda.
Il governo insiste sull’alternanza scuola-lavoro, pensando di incentivare le aziende che assumano giovani che hanno fatto l’esperienza lavorativa presso di loro. In realtà quella messa in atto con la “buona scuola” è più un ampliamento dei tempi del tradizionale stage, più che una vera e propria alternanza in grado di fornire una qualificazione utile da spendere in una eventuale assunzione. La misura va a sostituire gli incentivi
all’assunzione a tempo indeterminato, che scadono a dicembre, e la cui inefficacia è ormai chiara anche al governo. Anche questo costo non è quantificato.
La misura relativa all’abolizione dei famigerati studi di settore, per i quali i lavoratori autonomi erano tenuti a pagare in base ai redditi presunti, per evitare accertamenti, prevede un fisco meno impositivo che accompagnerà i contribuenti guidandoli ad una dichiarazione realistica, ma non prefissata, costerà, ma non si sa quanto. Lo stesso vale per le agevolazioni fiscali alle startup e la detassazione del guadagno da capitale se esso vien reinvestito nell’azienda.
Costerà invece 2 miliardi in più la spesa sanitaria, in particolare uno di essi riguarderà le nuove assunzioni. Mentre 1,9 miliardi vanno al pubblico impiego per contratti, stabilizzazione di precari della sanità e stipendi delle forze dell’ordine (500 milioni); per i contratti resta circa un miliardo, cioè quasi 400 € l’anno per dipendente, che su base mensile netta sono circa 25 €, con contratti scaduti da sette anni.
Sono poi previste borse di studio per gli studenti meritevoli, 500 € ai comuni per ogni migrante accolto ed altri incentivi non quantificati. Come si vede la spesa non è ancora quantificata e si aspetta che il provvedimento arrivi alle camere con le tabelle di accompagnamento, un adempimento un po’ meno aleatorio delle chiacchiere fatte a suon di improbabili slide.
Se le spese sono incerte, ancor più lo sono le coperture. Il loro piatto forte sono i condoni, i cui gettiti sono una tantum e quanto mai sfuggenti alle previsioni. La “voluntary disclosure”, ovverosia il rientro dei capitali illecitamente esportati all’estero che beneficiano per questo di un regime fiscale agevolato, viene esteso al 2015 e il governo prevede di incassare altri 2 miliardi e questo è certo un azzardo.
Ancora più azzardato è il calcolo derivante dalla chiusura di Equitalia. Gli esattori non sono mai stati popolari, ma Equitalia si è comportata come un rullo compressore, quindi la sua soppressione è un ottimo colpo propagandistico. I problemi che restano sono due. Le tasse e le sanzioni non pagate saranno comunque riscosse, forse meno brutalmente, ma comunque le funzioni passeranno ad un’apposita agenzia presso l’Agenzia delle Entrate. Il governo prevede di “rottamare” (i termini ricorrono) le vecchie cartelle esattoriale, il che non significa che esse non dovranno essere pagate, soltanto saranno depurate da balzelli ulteriori, limitandosi all’importo non pagato maggiorato dagli interessi. Questo secondo i nostri eroi dovrebbe portare un gettito aggiuntivo di 4,3 miliardi, non è dato capire secondo quali calcoli.
Altri fantastici 3,3 miliardi dovrebbero provenire da un’ulteriore centralizzazione degli acquisti della pubblica amministrazione, “secondo il modello Consip”. In effetti lo scorso anno il gettito è stato di 2,6 miliardi, ma la spesa compressa lo scorso anno non è ulteriormente comprimibile e quindi occorre trovare ulteriori e pi remunerativa voci di spesa da ridurre. In più, la Consip spesso, impedendo di trovare fornitori locali più a buon mercato, non sempre ha prodotto risparmi; tant’è che, a suo tempo introdotta da Tremonti, poi è andata lentamente in disuso.
Il grosso delle coperture, quindi, viene dagli oltre 10 miliardi di disavanzo previsto, cioè da un aumento di spesa che ingrosserà il debito pubblico. Due considerazioni. Sul debito lo Stato paga gli interessi e se in tempi di deflazione questo non è un grosso problema, lo diverrà nel momento in cui l’inflazione dovesse tornare a crescere. Ma la considerazione politica è un’altra. Solo gli ottusi monetaristi europei ritengono che il problema su cui concentrare la loro spasmodica attenzione sia il debito pubblico; da altri punti di vista economici l’aumento del debito può non essere pernicioso se esso va a supportare l’economia reale, per esempio in investimenti pubblici che riavviino effettivamente il ciclo economico; il problema è che questo governo continua a spendere in mille rivoli che i riversano nelle tasche di alcuni cittadini o direttamente alle imprese, nella convinzione che ciò riattivi i consumi o incentivi gli investimenti. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e l’inefficacia che queste misure hanno impietosamente mostrato negli ultimi anni non ha costituito un ammaestramento.

Saverio Craparo