SALDI DI FINE STAGIONE

“Vivere ad alzo zero sull’orizzonte, senza qualche grado di
separazione, non concede alternative prospettiche alla
visione dominante”
(E. Donaggio, Direi di no. Desideri di migliori libertà,
Feltrinelli, 2016, p. 60)

Molti, di quelli che credono di appartenere ad un qualche campo di una sinistra ormai morta e defunta, hanno letto, almeno nella loro gioventù, il testo fondamentale di Thomas Kuhn.[1]
L’hanno letto, forse, ma sicuramente non ne hanno fatto tesoro e così si trovano di fronte ad un dilemma concreto reso ancora più drammatico dall’attitudine pavloviana “antifascista” che li fa incautamente scegliere quello che credono il meno peggio di fronte al presunto “male assoluto”.
Invero cazzata lunare che un Fini in vena di ingresso nei salotti buoni e sionisti pronunciò, in merito al fascismo, di fronte al monumento ai 6 milioni di ebrei morti, tacendo come sempre sui 6 milioni di non ebrei anch’essi (ma giustamente?) eliminati dal fascio-nazismo. Facendo così precipitare una soluzione politica e di classe ben precisa nell’alveo delle categorie morali del bene e del male.
Siccome il riflesso pavloviano aumenta con la dabbenaggine e l’ignoranza, l’elettore ed (ex) militante (anzi militonto) medio del PD (ma anche del PCI post 1975) è la rappresentazione più completa di questa coazione a ripetere priva oggi di ogni significato.
Abituato, o meglio dis-abituato, da almeno 35 anni (ovvero dalla scoperta delle magnifiche sorti e progressive del mercato, prima timidamente poi in maniera eclatante. Invero un mercato con cui in fondo ci si era sempre trovati bene, salvo che era un po’ diverso dall’attuale) a smuovere la propria scarsa materia cerebrale, il beota segue, anche contro i propri reali interessi (non di classe, sia chiaro, ma di plebe qual’è)
qualunque cosa gli dicano dalle parti di quello che più che un partito sembra qualcosa a metà fra una banda di gangster nella Chicago anni 30 e i soliti ignoti di Monicelli.
Anche 26 anni fa i dirigenti in sedicesima di quel partito (ma anche buona parte degli iscritti, sia chiaro) avevano letto male o non letto Kuhn e scambiarono “cambio di paradigma” con “cambio di casacca”.
Non è esattamente la stessa cosa.
Rimase e rimane però, in una realtà che aveva abbracciato “l’arricchitevi” senza neppure passare dalla socialdemocrazia: (e neppure in questo, dunque, i suoi componenti avevano mai saputo qualcosa di Marxismo) il “partito” come misterioso ente da onorare oppure, più prosaicamente, come unico contenitore nel quale stare per non vedere e ammettere la propria definitiva inutilità.
Rimane davvero un mistero antropologico il mito di un partito che si è scientemente distrutto, ma che si “vende” ai militonti come valore di un qualsiasi tipo, non essendo ormai che un covo di serpenti in perenne lotta fra di loro, fatte salve le immagini sorridenti che la stampa italiana, da sempre sotto il livello di guardia, ci propina (e a cui ormai importa più niente nessuno).
Un partito che con le primarie aperte ha distrutto il concetto di iscritto, militante e la validità stessa di qualunque benché minimo concetto di fare politica.
Materia del resto ormai sconosciuta a tutti i leader attuali. Credo che mai il capitalismo abbia vissuto un periodo come quello attuale, nel quale i politici costano e valgono così poco. Giustamente Romiti ricorda con nostalgia i tempi nei quali perlomeno fingeva di scontrarsi con la CGIL di Lama e il PCI di Berlinguer.
Almeno si salvavano le forme.
La banda di beoti che governa questo paese e che comanda quell’accozzaglia inutile (e neppure degna, a dire il vero, di una qualche considerazione “antagonista” o di critica. Non si attacca il nulla) di ministri e sottosegretari però ha bisogno dell’ottusità che caratterizza i dipendenti della “ditta” (come, con definizione estremamente corretta, il “buon” Bersani la chiama da sempre).
E’ bene avere la consapevolezza che in molti casi quella che noi chiamiamo ottusità è in realtà ben chiara conoscenza dei propri interessi. Limitati. Meschini. Ma reali. Del resto gli stessi che questo partito muove con tutte le sue “collegate” e che danno lavoro a qualche migliaia di persone.
Di questo è bene averne sempre coscienza. Sono interessi concreti, di vario livello, che tutto tengono insieme. Altro che “idealità politiche”. Oltretutto la massa di dirigenti ascesi a livelli per loro inimmaginabili (basta vedere i loro curricula per tacer dell’assenza di qualunque lavoro politico di qualche peso) si tiene e si terrà ben stretto il loro status da miracolati.
Però anche l’ottusità gioca un ruolo non secondario. E si vede bene nella falsa e ridicola lotta che la cosiddetta “minoranza” di quel partito sta giocando contro il proprio segretario e la sua corte di scherani.
Sia chiaro che a noi Comunisti Anarchici non ce ne potrebbe fregare di meno di ciò che succede in tale cloaca, e, anzi, il delirio di quella compagine che discende dal più grande partito comunista d’occidente, conferma quello che avevamo sempre sostenuto.
Ci interessa però perché ormai quella struttura si identifica non tanto con il potere politico (che allo stato attuale non esiste più e non ha nessun peso) ma è la rappresentanza amministrativa perfetta dello Stato del capitale nella fase attuale.
Un capitale che si è sostituito ormai alla, una volta, necessaria azione dell’attività politica e che ha fatto diventare lo stesso Stato una frazione importante di sé stesso. Struttura e sovrastruttura si sono ottimizzate con finalità ormai coincidenti.
Lo spirito, insomma del neoliberalismo.
In questo ambientino l’azione della cosiddetta “sinistra” non solo non otterrà nessun “cedimento” di chi il potere ce l’ha (o crede di averlo) e, comunque, se lo tiene ben stretto (non fosse altro che quella è la sua “mission” il cui fallimento comporta il licenziamento).
Non solo, dunque, non otterrà “ripensamenti”, ma, anzi, è azione perfettamente funzionale al mantenimento in vita di questo fasullo baraccone.
Si tratta, per dirla in breve, del combinato disposto di due attitudini storiche della “sinistra” personificate in contemporanea: la convinzione che la riforma costituzionale, e tutto l’apparato divinocristiano dell’azione di questo governo (espressione diretta del capitale finanziario e atlantico) siano questioni da attaccare sul piano dell’”idealità”, della chiacchiere e della difesa dei “valori della resistenza” dimenticando (?) la dura realtà dei rapporti di produzione che sta dietro (dietro?).
La Costituzione del 1948 è morta da mò. Si tratta adesso di certificarne il decesso non certo di difendere qualcosa. E certo una sia pur pallida difesa non passa dall’idealismo parolaio a cui si è ridotta la sinistra (e non solo quella del PD).
L’altro aspetto è dettato dal dogma della “struttura” partito, che invero è morto da 30 anni, distrutto dall’azione combinata dell’adesione acritica ma ben pagata al capitalismo e dal lavorio ai fianchi della stampa borghese illuminata e dal Pannellismo e ovviamente molto altro. Quando si dice: i rapporti di forza.
E’ qui che la lettura di Kuhn (una lettura approfondita e cosciente) avrebbe fatto molto bene a tanti militonti forse, anche se con estrema difficoltà, recuperabili ( non prima di aver passato le forche caudine dell’umiliazione, come l’acquisto di un fancobollo da 5 lire del maestro di Vigevano riammesso nella scuola di classe degli anni ’60).
Era adesso l’ora del cambio di paradigma. Quella in cui le parole “sinistra” e “destra” sono state ampiamente sussunte dal capitale con tutto l’apparato pseudo-libertario a costo zero per la struttura economica (anzi di rinforzo ad essa).
Guardatevi allo specchio: la sinistra è defunta e voi non siete neppure di destra (ormai spianata anch’essa dal capitale schiacciasassi) ma siete solo funzionali.
Il paese reale, che è stato “laicamente” lasciato andare è davvero andato dove lo porta il portafoglio (ma cosa doveva fare? Suicidarsi sull’altare delle cazzate propinate da qualche Vendoliano sfatto?) e non vota più, non partecipa più e sinceramente se ne fotte.
Il renzismo non è il veramente popolare berlusconismo (l’ultimo vero populismo di massa al governo con una qualche autonomia) ma una sua parodia, pericolosa.
In una parola: il renzismo non esiste ma è una rappresentazione mediatica del potere stesso, come Stanislao Moulinsky (per dirla con Alan Ford) in uno dei suoi più riusciti (?) travestimenti.
Ma si muove qualcosa oltre questo mondo di plasticaccia. Ed è il ventre molle ed oscuro, dove sinistra e destra e tutto il resto si confondono.
Il M5S, dato per morto (ma non siamo ai tempi dell’uomo qualunque. Giannini non sarò riassorbito dai partiti che non esistono: è vero il contrario) decine di volte ormai si è assestato come forza di massa, giovanile, trasversale e popolare.
E anche il potere (vero) lo vede, come vede Hofer in Austria e Le Pen in Francia. E tutti i tentativi di infangare e attaccare, da “posizioni antifasciste” non più credibili, queste realtà davvero popolari (il “popolo” a volte è brutto….) (come con Trump negli USA) hanno l’effetto opposto di rinsaldare una compagine senza ideologia e senza partito (ma anche senza riferimenti, senza appoggi, senza considerazione. Insomma la vera
plebe contemporanea).
Che ciò sia vero oppure no non ha alcuna importanza. Ma il capitale, come sistema, è assai intelligente e in grado di ottimizzare qualsiasi asperità.
Così mentre Bersani, Cuperlo e soci, fanno finta di dibattersi in una lotta senza alcun senso e senza reali effetti, il paradigma è davvero cambiato e quella stessa ideologia “dell’anti-ideologia” e del “partitoleggero” si è materializzata da un’altra parte.
Una parte che non piace ai porta-sfiga di Repubblica e il cui fondatore, a causa dell’aumento dell’età (una delle peggiori conquiste dello sviluppo, del resto oggi giustamente in flessione) continua a pontificare di oligarchie e democrazie dall’alto di una inesistente cattedra di una altrettanto inesistente compagine politica (qualcuno gli dica, prima che se ne vada, che il Partito d’Azione è morto perché non lo votava nessuno).
Un movimento con una militanza atipica (una non-militanza adattissima ai tempi orizzontali e superficiali attuali), con un potenziale eversivo (ma corretto e non armato) assolutamente funzionale, sia chiaro, e senza “astratte idee generali” ha superato il PD quale “partito della nazione”.
Una nazione, del resto, mai realmente esistita, nella quale neppure il fascismo di Mussolini incise veramente (squagliatosi come neve al sole il 25 luglio del 1943 e mai più rinato se non in forme di manovalanza atlantica fino agli anni ’70 e poi scomparso del tutto dal panorama attuale. A meno di non considerare i 4 gatti di Casa Pound come un reale pericolo. Estrema dabbenaggine di un’ampia parte della fu sinistra che vede estremismi laddove vi sono solo coglioni con i quali nessuno vuole avere a che fare davvero.)
e perfettamente incarnata da una compagine e un rimescolamento perennemente incazzato (ma innocuo) che mette insieme davvero di tutto.
E verso il quale la spocchia con cui è stata accolta dalla c.d “sinistra” la dice lunga sulla incapacità, non solo dei militonti del PD, a cambiare paradigma, usando davvero le armi del materialismo e dell’analisi critica.
Il richiamo al fascismo (in assenza di fascismo storico) e ai valori ormai defunti della “resistenza” (senza partigiani) ha impedito di comprendere la nascita di un reale e complesso movimento di massa che confermava l’esistenza di una ampia parte della popolazione ancora disposta a mettersi (seppure ambiguamente, nella totale ambiguità ad esser chiari) di mezzo alle narrazioni dominanti (spesso, partendo da narrazioni altrettanto devastanti).
Ora, è bene dirlo, non risulta che il M5S (ma in realtà neppure la Lega Nord , se è per questo) abbia mai usato l’olio di ricino o i manganelli e, anzi, molte delle loro pratiche (seppur spesso ingenue e primitive), se non fosse stato per il razzismo culturale della sinistra-sinistrata, sono e sarebbero state a pieno titolo in quelle per tanti anni “richiamate” dai movimenti “alternativi”.
Ma non è questo il punto. Il punto è il paradigma. La convinzione della sinistra (defunta) di credere di essere sempre dalla parte giusta della storia, di andare da qualche parte con la storia, anche se ha preso la strada opposta a quella da cui era partita.
E così mentre leggono il libro del secolo scorso recitando la farsa del confronto democratico, il capitalismo sempiterno sta già riflettendo sul prossimo cavallo su cui puntare.
Quasi quasi sarebbe da aderire compiutamente alla fase attuale del capitalismo finanziario che ha dimostrato sicuramente una capacità invidiabile da tutti i punti di vista e, soprattutto, è stato perfettamente in grado di capire quando era giunto il momento di cambiare paradigma.
Meglio l’originale che la triste copia.

1) T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 2009 (ed. or. 1962).

Ottobre 2016, Andrea Bellucci