OSSERVATORIO ECONOMICO

serie II, n° 46, aprile 2021

Brevetti – Le case farmaceutiche hanno ricevuto grossi finanziamenti statali per le loro ricerche sulla predisposizione dei vaccini anticovid, anche sotto forma di collaborazione con le università. È appena il caso di ricordare che alla ricerca del vaccino della ditta anglo svedese AstraZeneca ha collaborato anche una ditta italiana (Irbm di Pomezia) che si è ritirata per mancanza di finanziamenti statali. Ora le suddette aziende detengono gelosamente il controllo dei brevetti, incuranti delle vite umane che il virus miete. Che esse facciano profitti è scontato, come sempre fanno speculando sulla salite altrui, ma l’entità si questi profitti supera ogni immaginazione: ANDREA FRANCESCHI e MARIGLIA MANGANO, Farmaceutica, per i big anti Covid profitti raddoppiati a 71 miliardi, in Il Sole 24 Ore, domenica 14 marzo 2021, a. 157, n° 71, pp 1 e 3.
Stiamo parlando di un extragettito annuale di 35 miliardi di €. Per fare degli esempi, AstraZeneca aumenta i suoi ricavi tra il 2019 ed il 2020 del 47,8%, Johnson&Johnson del 51,5%, Pfizer del 55,7%, BionTech decuplica all’incirca i suoi ricavi considerando che nel 2019 era in perdita e la piccola Moderna passa da una perdita di 747,2 milioni di $ ad un attivo di 8992,2 con un incremento percentuale spaventoso. Molti invitano i big pharma a mettersi una mano sul cuore, considerando che tra incentivi statali per la ricerca e profitti rapidamente accumulati i loro sforzi sono già stati ampiamente ripagati, ma la loro mano accostandosi al cuore incontra prima il portafoglio. La legge economia del capitale non conosce umanità, ma solo il profitto e questo sarebbe il migliore dei mondi possibili.
Nucleare – Se la produzione di energia elettrica dalla fissione nucleare, costellata da incidenti gravi e incidenti sfiorati, trova sostenitori sempre minori in numero e sempre meno appassionati, non si ferma invece l’enorme investimento per la ricerca dell’energia da fusione nucleare. Per riassumere l’energia nucleare da fusione ricalca il meccanismo che si sviluppa nel Sole ed è sostanzialmente pulita; per di più la sua materia prima e praticamente illimitata ed a portata di tutti, l’idrogeno. C’è solo un “piccolo” problema: il plasma in cui si opera la reazione deve arrivare a temperature pari a milioni di gradi e, come è facile capire, non esiste un recipiente che lo possa contenere; deve quindi restare sospeso nel vuoto grazie all’utilizzo di potenti campi magnetici. Si deve quindi molta energia per far raggiungere al plasma la temperatura
necessaria, facendolo lievitare nel frattempo. Da anni la ricerca va avanti e ad oggi la durata della reazione non ha mai fornito tanta energia quanta ne è stata spesa per innescarla, e il raggiungimento del mitico punto in cui il bilancio tra energia spesa ed energia ottenuta giunga a parità viene rinviato di decennio in decennio nelle previsioni degli “scienziati”.
In articolo (LUCA ORLANDO, L’hi tech di Ansaldo Nucleare scelto per il maxi impianto Iter, in Il Sole 24 Ore, giovedì 24 dicembre 2020, a. 156, n° 356, p. 12) si dà conto della commessa ad un ditta italiana per la fornitura dei sistemi di continuità energetica per l’impianto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) in costruzione in Francia, ma frutto di una collaborazione di 35 stati. Si tratta del reattore più grande del mondo che si prevede verrà ultimato nel 2024 e finalmente nel 2030 “si dovrebbe capire se dal prototipo è possibile passare alla fase di industrializzazione”. Si rileva, en passant, che il costo previsto del “prototipo” si aggira, nelle previsioni, alla modica cifra di 21 miliardi di €.
Saranno soldi spesi bene? Ai posteri l’ardua sentenza.
Rinnovabili – come sempre il titolo fa scandalo: intervista a RENATO MAZZONCINI, “Investimento frenati dai burocrati.
Italia in ritardo sulle rinnovabili, in Il Sole 24 Ore, sabato 5 settembre 2020, a. 156, n° 2252, p. 8. Prendersela con i burocrati è sempre una buona ginnastica, si va sempre sul sicuro e poi raramente si sbaglia. I dati riportati però non avvallano del tutto il titolo: in effetti l’Italia si piazza al tredicesimo posto sui 28 paesi presi in considerazione per la
percentuale del contributo delle fonti energetiche rinnovabili sul totale dei consumi (18%). E dire che la tabella si intitola pretenziosamente: “Il ritardo dell’Italia nella cosa europea”. Per inciso, il lamento viene da aziende che lucrano sulle fonti rinnovabili e che vogliono vedere aumentati i propri profitti (Mazzoncini è amministratore delegato di A2A) e non da movimenti ambientalisti che vorrebbero uno sviluppo delle energie rinnovabili, sì, ma gestite dalla comunità, e non vista come fonte di guadagno. È poi altrettanto chiaro che si sta parlando di consumi elettrici e non dei consumi globali. Ma
veniamo alla tabella. L’Italia è preceduta dalla Svezia (55%), Finlandia (41%) ed altre 11 nazioni, ma è seguita, udite udite, da Spagna (17%), Francia (17%), Germania (16%) ed altri 12 paesi tra cui il Regno Unito (11%). L’intervista è una lettura consigliata se si vuol capire quale afflato “naturalistico” spinga l’intervistato a lanciare il suo grido d’allarme.
Ovviamente è appena il caso do aggiungere, perché non ci siano equivoci che il ricorso alle fonti rinnovabili è sicuramente troppo scarso, sempre che non si profilino tra di esse, come invece viene fatto nell’intervista, l’energia idroelettrica, che certamente è rinnovabile, ma che nella sua gestione dei grossi impianti e delle enormi dighe, altera
localmente il clima e più volte è sta causa di eventi disastrosi.

chiuso l’11 aprile 2021
saverio