OSSERVATORIO ECONOMICO

serie II, n° 31, febbraio 2016

Giappone – Mentre sono in recessione le esportazioni italiane verso molte aree tradizionali (Russia. Cina, etc.) e gli Stati Uniti segnano una battuta di arresto (e nel 2015 hanno rappresentato lo sbocco privilegiato delle merci Nazionali), quelle verso il Giappone segnano una lieve flessione complessiva (-0,93%), con luci (lavori in pelle e cuoio, autoveicoli e prodotti chimici) ed ombre (prodotti farmaceutici, calzature e bevande) (dati da Il sole 24 ore, a. 152, n° 46, 24 febbraio 2016, p.14). Se si considera il permanere delle sanzioni verso la Russia, il rallentamento cinese, le scarse performace statunitensi e la minor liquidità dei paesi arabi dovuta al calo del prezzo del petrolio, le prospettive per il 2016 non sono rosee.
Petrolio – Il gioco al massacro dell’Arabia Saudita sul prezzo del greggio sembra volgere al termine. Il restringimento dei margini di profitto sta finendo per incidere sulle capacità di spesa del paese ed anche delle sue possibilità di investimento. Quest’ultimo fatto non ha certo avuto un ruolo secondario nel rallentamento dell’economia globale, finendo per far rivedere al ribasso tutte le previsioni di crescita formulate in precedenza.
L’accordo stipulato con la Russia (Il sole 24 ore, a. 152, n° 47, 17 febbraio 2016, pp. 1-3) volto a limitare la produzione di petrolio dei paesi del Golfo e della Russia stessa sta sortendo i primi effetti e la caduta libera del prezzo al barile si è arrestata. Questa prospettiva accomuna tutti i paesi aderenti all’OPEC, primo fra tutti il Venezuela, la cui turbolenza politica non può che derivare da un forte calo degli introiti provenienti dall’esportazione energetica. L’unica incognita è rappresentata dall’Iran, che dopo decenni di embargo, scalpita per rientrare a pieno titolo tra i maggiori paesi esportatori. Attualmente Teheran fa la faccia dura (Il sole 24 ore, a. 152, n° 54, 24 febbraio 2016, p. 5), ma primo o poi dovrà farsene una ragione, se vuole fare una raccolta decente di valuta pregiata, perché vendere meno ad un costo unitario maggiore finirò per risultare, a conti fatti, più conveniente.
Occupazione – “+764.000 nuovi contratti a tempo indeterminato”, compare nei manifesti del PD per celebrare il secondo compleanno del Governo Renzi. Molto c’è da dire in proposito. Prima di tutto i nuovi contratti fintamente stabili non sono “a tempo indeterminato”, ma “a tutele crescenti”, che come ben si sa è abbastanza diverso. Il vero problema è che il numero tiene conto anche delle trasformazioni da contratti precari ad assunzioni stabili (?); sarebbe comunque un dato positivo se non fosse stato aboliti l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori ed i nuovi assunti possono essere licenziati in qualsiasi momento senza addurre alcun valido motivo. Ancora una volta il tema è più complesso. La sostanza viene rivelata dai dati mensili: “A dicembre il
doppio delle assunzione di novembre”, sottotitola Il Sole 24 Ore ( a. 152, n° 47, 17 febbraio 2016, p. 6). Il trucco sta nel fatto che a gennaio scadevano i termini per l’esonero contributivo “pieno”, per cui i datori di lavoro si sono affrettati ad assumere a contratto i loro precari, riuscendo così a realizzare un risparmio, che a gennaio sarebbe stato decisamente inferiore: si spende meno e si può interrompere egualemente il rapporto di lavoro. Al netto delle stabilizzazioni i nuovi posti si riducono a 186,048 (molti meno secondo i dati ISTAT) e considerando che per realizzare questo mirabolante obiettivo lo Stato ha speso circa 12 miliardi, ogni nuovo posto è venuto a costare 65.000 €; che di per sé rappresenterebbe un buon stipendio. Resta da accennare alla
diatriba tra i dati INPS e quelli ISTAT: i primi registrano i contratti accesi e cessati, i secondi considerano i posti di lavoro. È ovvio che le sirene governative amplificano i primi a loro più favorevoli, perché se un lavoratore sottoscrive due contratti part time viene computato due volte; per di più l’INPS non conta i lavoratori autonomi e quindi fornisce una fotografia imprecisa dello stato del mercato del lavoro.
Produzione – Ecco come l’Italia “è ripartita”. Mentre è interessante la risalita degli ordinativi (+5,2%), il fatturato segna il passo (Il sole 24 ore, a. 152, n° 55, 25 febbraio 2016, pp. 11): un magro +0,2% su base annua.
Ancora una volta è l’export che tira (+1,2%), mentre il mercato interno ristagna (-0,2%). Il peggio però è che le stime fino a novembre lasciavano ben sperare, ma il mese di dicembre è stato un vero disastro (-1,6%) su base mensile; ciò getta una lunga ombre inquietante sul 2016. è il settore dell’energia che fa registrare complessivamente il dato più negativo e che trascina al ribasso l’intero apparato produttivo.
Banche – “Il sistema bancario italiano è solido”, ripetono come un mantra gli ottimisti per scommessa. Ancora una volta i dati smentiscono i pinocchietti del governo. Se si guarda la percentuale dei crediti deteriorati sul totale dei credi in essere nel sistema bancario, si scopre che il paese non è messo per nulla bene. L’Italia vanta un poco invidiabile primato con il 16,7%, a fronte del 7,1% della Spagna, il 4,3% della Francia, il 3,4% della Germania, il 2,9% della Gran Bretagna e l’1,1% della Svezia (Il sole 24 ore, a. 152, n° 51, 21 febbraio 2016, pp. 2-3). La verità è che gli altri paesi, Germania in primis, hanno usato denaro pubblico per ripulire le loro banche inizialmente più esposte delle nostre, mentre i nostri eroi hanno atteso l’entrata in vigore del bail-in per fari ricadere il peso dei salvataggi sui risparmiatori.

chiuso il 29 febbraio 2016
saverio

per “Cosa vuol dire”
Bail.in
In Italiano salvataggio interno, cioè se una banca fallisce lo Stato non può più intervenire a tutela dei risparmiatori, ma il risanamento avviene a spese degli azionisti (e fin qui poco male), degli obbligazionisti (anche quelli non subordinati) e dei correntisti che abbiano un conto corrente superiore ai 100.000 €.