Ancora una volta la guerra si è combattuta e si combatte nelle steppe del fronte orientale e nelle propaggini estreme dei Balcani, e ancora una volta la Germania si avvia alla sconfitta.
Il sogno politico di Hitler di allargamento dei confini tedeschi ad Est e di assoggettamento dei Balcani, utilizzati come riserva strategica di manodopera e mercato subalterno del cortile di casa, è e rimane l’obiettivo principale della quarta guerra mondiale, combattuta dalla Germania con il denaro invece che con le armi.
Punto di forza della strategia tedesca è la costituzione in Germania di un governo di coalizione che inglobando in un abbraccio mortale i socialdemocratici tedeschi ha finito per neutralizzare l’opposizione socialista
nell’intero continente. E’ come se i socialisti tedeschi avessero votato i crediti di guerra come fecero per permettere l’inizio della prima guerra mondiale o avessero accettato la supremazia del partito nazionalsocialista, come fecero dopo il colpo di Stato del 1933! Manovrando l’euro e le banche il colosso tedesco sta combattendo per acquisire il controllo economico e politico di quello che considera da sempre il suo spazio vitale: l’Europa orientale.
Lo ha fatto in una prima fase con la crisi balcanica, promuovendola e foraggiandola. Ha
riconosciuto per prima la secessione della Croazia e via via quella di tutte le altre Repubbliche nate dal dissolvimento jugoslavo, infeudate prima al marco e poi all’euro. In questi paesi gli investitori tedeschi si sono insediati a farla da padroni. Ancora la Germania, sotto le mentite spoglie dell’Unione Europea, ha effettuato le scelte relative alla nuova configurazione delle loro istituzioni attraverso la Commissione di Venezia e dettando i Criteri di Copenaghen (1993) ai quali i paesi che intendono aderire all’Unione Europea devono adeguarsi.
Una volta consolidate le posizioni su questo fronte ancora una volta la Germania ha aperto le ostilità in Ucraina, ben consapevole di doversi scontrare con la Russia, ma sicura di vincere, forte del proprio potere economico e della debolezza dell’avversario, in crisi grazie ad una congiuntura economica internazionale sfavorevole, caratterizzata dal calo del prezzo dell’energia, principale risorsa strategica della Russia. Per portare
avanti questo progetto ha inglobato nella propria area di influenza un modo strutturale tutti gli altri paesi tessendo una rete di rapporti economico-finanziari ben più forte di qualsiasi trattato di alleanza.
Sul fronte orientale non ha calcolato l’intensità della resistenza dell’avversario e il sentire dei popoli stanziati sul territorio, non considerando che stava spingendosi troppo oltre, fino ad inglobare territori e popolazioni di tradizione slava e russofona, non volendo rendersi conto che l’omogeneizzazione nel sistema produttivo tedesco dei nuovi territori avrebbe comportato una deindustrializzazione massiccia dei territori
orientali dell’Ucraina, integrati e funzionali invece al mercato russo. Così operando ha costruito le ragioni di una scesa in campo di interessi contrari al progetto; da tutte queste ragioni nasce la secessione della Crimea e quella dei territori del Dombas sui quali la Germania sta impegnando tutte le sue forze, riuscendo a coinvolgere gli interessi strategici degli Stati Uniti. Ma, mentre si combatteva questa battaglia, a disperdere le forze in campo contribuiva un altro fronte costituito dalla crisi greca. Solo che questa volta a scatenare la guerra nel paese non è stato l’alleato (Mussolini nella seconda guerra mondiale), ma la stessa Germania, sotto la guida di Frau Merkel.
Spezzeremo le reni alla Grecia
Il presupposto del funzionamento dell’area euro (19 paesi) è la rigorosa applicazione del Trattato sul fiscal compact che, in assenza di una politica fiscale comune, costituisce lo strumento di gestione, sotto la direzione liberista germanocentrica dell’Europa Per farlo rispettare la Germania ha ottenuto da molti paesi vassalli l’introduzione dei principi del pareggio obbligatorio del bilancio in Costituzione, nel tentativo di normalizzare quelle Costituzioni dei paesi del sud Europa nate dopo il 1945 e negli anni successivi, con una impronta antifascista e di interventismo sociale, come frutto delle lotte delle masse proletarie e del socialismo europeo. Per la Germania questo ferreo controllo non può essere spezzato da nessuno, altrimenti potrebbe
scattare un effetto domino per cui al primo paese che prende le distanze ne seguirebbero inevitabilmente altri.
Perciò occorre eliminare l’anomalia greca: un cancro infetto che minaccia di corrodere l’intero edificio che fa da supporto alla politica espansiva tedesca. Ciò è necessario e indifferibile tanto più che la Grecia, strangolata dalla finanza tedesca e dalle banche, si è affidata a un partito di sinistra non socialdemocratico che esce dagli schemi di alleanza costruiti in Germania e che sono alla base del progetto di egemonia tedesca.
La Grecia, la cui economia è stata devastata dalle scorrerie delle banche tedesche e francesi, alleate con l’oligarchia nazionale, sottoposta alla cura neoliberista, si è impoverita al punto da precipitare una parte rilevante della sua popolazione nell’indigenza più assoluta. E’ saltato il sistema sanitario, l’erogazione dei
servizi essenziali di acqua luce e gas. Le pensioni sociali sono ridotte al minimo e spesso inesistenti, i salari sono stati ridotti ed è cresciuta oltre misura la disoccupazione, soprattutto giovanile, mentre gli armatori sono – in base a quanto stabilito dalla Costruzione – esentati dal pagamento delle imposte sui profitti, anche se in cambio devono assicurare le comunicazioni con tutte le isole greche. L’evasione fiscale è totale e incontrollata, la burocrazia la fa da padrona, la corruzione anche, mentre la Chiesa Ortodossa è il più grande proprietario immobiliare del Paese e non paga le tasse sui propri beni.
In questa situazione la Troika inviata dall’Europa impone la privatizzazione di quel che rimane dei beni dello Stato e un recupero di risorse fatte attraversi i licenziamenti dall’amministrazione pubblica, di eliminazione dei diritti sul lavoro, di riduzione ulteriore delle pensioni, di mantenimento della tassazione sulla vendita dei farmaci. L’obiettivo degli ultimi cinque anni è quello di sacrifici finalizzati a pagare gli interessi sul debito e sostenere le banche che avevano acquistato titoli greci. E allora il popolo si ribella e
sceglie un governo che sia in grado di contrapporsi a tutto questo.
In verità, in valore assoluto, le dimensioni del debito greco e i fabbisogni immediati del Paese sono relativamente modesti, ma accedere alla richiesta greca di rinegoziazione del debito, di nuovi prestiti e di abbandono delle politiche neoliberiste, costituirebbe un pericoloso precedente che rischia di infettare altri Paese parte dell’Unione e sotto tutela tedesca che invece hanno adottato politiche antisociali feroci e allora occorre rispondere con un no e cercare di creare le condizioni per la resa del governo anomalo. Syriza se ne deve andare prima possibile.
I cattivi pagatori
Il debito dei greci è la conseguenza diretta del fatto che i suoi governi hanno truccato i conti al momento dell’ingresso nell’Unione Europea. Ma a dare lezione di correttezza nel pagare i debiti sono proprio i tedeschi che non hanno pagato parte del debito di guerra del primo conflitto mondiale né quello della seconda guerra mondiale e che devono la loro ripresa economica proprio all’azzeramento di quel debito. Ma tant’è: ora occorre che la Grecia venga punita.
Ciò che non era stato previsto è che un governo greco non si sarebbe piegato e avrebbe rilanciato, ricorrendo al popolo e chiamandolo a esprimersi. Così si è assistito alla scesa in campo contro un governo di sinistra del Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz, politico social democratico, sempre sconfitto in Germania, che tentava di andare a vincere una competizione referendaria in Grecia! Un imbecille che ha meritato una sonora sconfitta, come e più degli altri servi del padrone e della stessa Merkel, che non è riuscita attraverso i suoi alleati interni, a spaventare i greci. Ancora una volta l’avanzata tedesca viene fermata sul fronte russo e i tedeschi si impantanano in Grecia, grazie alla Resistenza.
Il ripetersi degli eventi pone inevitabilmente almeno una domanda: ma non sarà che c’è qualche ragione strutturale per la quale tutto questo succede ?
I fattori che influenzano lo sviluppo degli eventi non sono tutti riconducibili a questioni economiche, che certo sono alla base delle scelte di fondo. Ci sono fattori di natura sovrastrutturale come la tradizione, la lingua, la cultura, l’appartenenza religiosa che, calandosi nella storia, divengono condizionanti e capaci di influire sulle ragioni economiche e sugli interessi. Se la questione Ucraina si caratterizza per il fatto che, anche economicamente, la Crimea e le regioni orientali del paese hanno un interesse economico a far parte della Russia, vi è anche il fattore dell’appartenenza linguistica, etnica, delle tradizioni e della religione a spingere verso quella direzione.
Così in Grecia: se è vero che essa fa parte della cultura e della storia d’Europa e anzi ne è all’origine, è anche vero che il paese è di tradizione e religione ortodossa, che i legami con la Russia ortodossa sono anche forti. E non solo: la prospettiva dei greci di riscuotere i diritti di transito del Gasdotto Trans-Adriatico che attraverso la Turchia e i Balcani (TAP) deve portare in gas russo in Italia e in Europa, aggirando l’Ucraina, è una occasione da non perdere per alimentare le casse esangui della finanza statale. Non solo, ma la prospettiva di disporre di porti nel Mediterraneo per la Russia è così
allettante che Putin si è precipitato a offrire il suo sostegno economico alla Grecia, malgrado le sue attuali difficoltà economiche interne.
Questo interesse strategico russo ha fatto scendere in campo un altro attore, gli Stati Uniti, i quali – informati dai greci di quali fossero le loro alternative possibili – interessati a non lasciare spazio ai russi e mossi da ragioni di controllo della stabilità dei mercati finanziari, sono intervenuti all’interno del Fondo Monetario Internazionale, del quale sono uno dei controllori, per prospettare la rinegoziazione del debito greco. Così
ancora una volta la Germania viene fermata da una scesa in campo degli Stati Uniti.
Povera Merkel! Certo la cancelliera combatterà. ma quel che è chiaro è che ora non ha contro solo la piccola Grecia, ma uno scacchiere internazionale, una situazione geopolitica con la quale arrogantemente non aveva fatto i conti. E in queste condizioni alla Grecia può convenire essere buttata fuori e quindi non pagare i debiti e investire gli aiuti che raccoglie per ristrutturare il proprio apparato produttivo, per dotarsi di infrastrutture, per rilanciare l’economia. Ciò costituirebbe certamente un esempio che potrebbe essere contagioso.
Non solo la Germania non è il solo attore nei Balcani, c’è anche la Turchia, la quale cerca di rinsaldare i rapporti con tutte le comunità musulmane della penisola. Una collaborazione con la Grecia potrebbe saldare il fronte tra musulmani e ortodossi, nell’ambito di un disegno geopolitico che vede in prospettiva una collaborazione con la Russia ortodossa. Vecchi fantasmi, si dirà, ma il nazionalismo tedesco è ben più pericoloso. Certo è che i disegni egemonici tedeschi hanno sempre contribuito a creare alleanze inedite che sono risultate alla lunga vincenti.
Ridateci Varoufakis
La questione greca fa emergere alcuni elementi che contribuiranno comunque a cambiare la storia futura dell’Europa.
L’ignoranza dei fondamentali della storia del Continente relega periodicamente la Germania in una posizione perdente. Stante la dimensione continentale dei mercati e il gigantismo dei soggetti attivi nel panorama geopolitico internazionale la Germania non integrata in Europa non ha futuro ma questo può avvenire solo con una rifondazione dell’Unione politica del continente che va costruita dal basso, includendo in questo
progetto le popolazioni residenti sul territorio e non solo i cittadini. Ciò vuol dire in concreto tenere conto della diversità linguistica, etnica, religiosa, laica, di cittadini autoctoni e migranti, da unire nel sostegno alla costruzione di un modello sociale e solidaristico di convivenza, fondato su valori comuni. Si tratta di un processo non semplice, lungo e difficile, che richiede la capacità di cercare e trovare compromessi, richiede tempo, ma che ha in un parterre di diritti valido per tutti il vero elemento unificante.
L’unione economica non basta, tanto più quanto avvantaggia solo alcune aree a discapito di altre. Serve coesione sociale che va costruita dal basso, all’interno dei diversi popoli e comunità, come la sola reale alternativa possibile alla dissoluzione. Solo un’Europa unita può affrontare le sfide globali che emergono dalle aree diffuse di conflitto in tutto il mondo, a cominciare dalla guerra che dilania le diverse componenti del mondo islamico e che coinvolge direttamente l’occidente.
Non vogliamo soffermarci in questa sede sulle responsabilità, che sono tante e sulle cause complesse e note di questa situazione, ma è tempo di metterci mano e per farlo serve, è essenziale, una sinistra nuova e consapevole, dotata di un progetto politico, di una visione di società, di un’insieme di valori. Guai se la ricerca dell’alternativa si fermasse alla costruzione di nuovi partiti, magari con personale politico onesto, o ideologicamente motivato verso una dimensione sociale della società. Ciò che serve è incidere sui valori dello stare insieme, della convivenza, della partecipazione, promuovendo un gigantesco coinvolgimento di massa capace di scompaginare i giochi e rinnovare la politica e le istituzioni.
La crisi evidente dei regimi parlamentari occidentali, delle cosiddette democrazie liberali, delle loro politiche sociali (o sarebbe meglio dire asociali), di un’economia dagli effetti devastanti e distruttivi, caratterizzata da profonde diseguaglianze sociali, impone un ripensamento delle istituzioni di gestione e di governo, una rimeditazione degli strumenti di partecipazione, una diversa distribuzione dei livelli decisionali collettivi, a livello di territorio e generali che costituiscono la vera sfida e la sola soluzione degli attuali problemi.
Per fare tutto ciò bisogna scommettere, forse mettendo in campo la teoria dei giochi, attraverso delle azioni a segno positivo, in modo da poter vincere la sfida. Bisogna muoversi con spregiudicatezza tra le contraddizioni dell’avversario di classe, dei potentati economici, del capitale finanziario, delle banche.
Perciò che uno, cento, mille, Varoufakis fioriscano, con l’umiltà di farsi da parte quando hanno esaurito il loro mandato e quando la loro coscienza e/o l’interesse collettivo lo richiedono.
In fondo la politica ha anche una dimensione etica!
Gianni Cimbalo