Ripensando a……l’ultima piazza

Piazza, bella piazza
ci passò una lepre pazza:
il pollice la vide,
l’indice l’uccise,
il medio la scorticò,
l’anulare la cucinò,
e il mignolino se la mangiò.
Filastrocca popolare

La manifestazione dello scorso 25 ottobre, indetta invero fuori tempo massimo, rappresenta un episodio complesso e drammatico.
Innanzitutto, la partecipazione è stata davvero enorme e ragguardevole, al di là di ogni possibile interpretazione. Arrivati alle 11,00 c.a in Piazza San Giovanni, superando in corsa uno dei cortei (quello partito da Piramide) ed era già colma. Mezz’ora dopo non ci sarebbe più entrato uno spillo. Alle 13,00 vi erano ancora cortei bloccati che non sarebbero mai entrati in piazza. Dal punto di vista numerico, quindi, la manifestazione è
stata un successo.
Tirava però una strana aria, all’interno di quei gruppi, perché, eccetto qualche corteo politicamente preparato (come la FIOM di Genova, ad esempio, tanto per dire che, alla fine, sempre lì si torna) vi era una presa di coscienza tardiva (non so però fino a che punto davvero radicale) che nello stesso tempo assomigliava ad un lutto.
Molti dei manifestanti (probabilmente la maggioranza) hanno votato o sono stati elettori del PD.
Verrebbe da dire “ben gli sta”. Ma, tolte le nebbie della soddisfazione (invero misera) di averci visto bene, non da ora, ma dal 1990 in avanti (ma anche prima), questo “popolo” (si sarebbe detto una volta) cosa rappresenta, oggi? Credo che la favola dei dirigenti cattivi e del popolo buono non abbia mai funzionato. Era una favola, appunto. Ovviamente non funzionava neppure l’altra, prettamente leninista, del popolo bue e dei dirigenti illuminati.
Quel popolo è quello stesso che 20 anni fa seguì pedissequamente la sciagurata stagione della bolognina[1] liberandosi di tutti quelli che ritenevano orpelli inutili. Da quella stagione nacque un partito, a vocazione minoritaria e già sconfitto prima di partire, come Rifondazione Comunista, il quale, invece di raccogliere la sfida del rilancio di un progetto comunista, si dilettò nel ricordare i “bei tempi andati”.
L’altro partito, il grosso, il PDS insomma, già da allora cominciò i suoi arroganti e spesso vani tentativi di scalata al potere. Anche se, a livello regionale, godeva da tempo di un potere economico e politico di tutto rispetto. Quella che sarà la base del nascente regime attuale.
Tuttavia la “gioiosa macchina da guerra” (par preistoria) di Occhetto fallì miseramente, portando alla ribalta “ex-nihilo” un partito nato lì per lì, Forza Italia. Un partito che includeva dentro di sé il ventre reazionario, clericale, il nuovo rampante dell’Italia che era stata da bere fino a qualche tempo prima, una parte di ex-pci convertiti da tempo e molti ex-socialisti.
Da lì iniziò la presa di coscienza che se l’obiettivo era vincere le elezioni (e il PDS era un partito nato SOLO per vincere le elezioni, non più un partito di massa) quella era la base da conquistare. Ritornava, così, in dodicesimi la doppiezza togliattiana, ma non più fra “rivoluzione” alla base e democrazia borghese al vertice.
Tutto si stava spostando al centro.
I passaggi che hanno portato alla nascita del PDS, poi dei DS e alla fine del PD non sono stati lineari step di un percorso ben chiaro (anche se, alla fine, l’obiettivo era stato delineato) ma sono sembrate convulsioni di un animale strano, che da una parte non voleva abbandonare il numero dei propri tesserati e dall’altro, sinceramente, non vedeva l’ora di levarseli dai coglioni.
Alla fine la quadratura del cerchio, proprio come fece il nonno pelato (sì proprio lui, Mussolini) la trovò un giovanottone mai stato di sinistra. Il quale si fece due conti e proprio come il Duce di Predappio (che, bontà sua almeno socialista e rivoluzionario lo era stato) pensò che sarebbe stato necessario trovare il danè con ben altri sistemi che non l’elemosina del tesseramento (non che altri non ci avessero pensato o che non l’avessero fatto, ma a lui è riuscito meglio).
Una volta fatto questo, il resto era roba facile, Spianare un partito di cartone e convincere un elettorato ormai assuefatto a tutto era cosa di poco conto. Non era l’elettorato il problema.
E’ vero, alla prima mandata delle primarie Renzi perse, poi però normalizzando la macchina (della serie, trombare Bersani, non votare per prodi, accordarsi con D’Alema e anche NON votare PD alle elezioni politiche) e facendo quindi fare la figura dei coglioni alla “vecchia guardia” e, soprattutto, con una grancassa mediatica mai vista dai tempi del congresso di Norimberga del NSDAP, capovolse completamente la  situazione. Il più era fatto.
Però, c’è sempre un però. E’ vero che in politica gli spazi vuoti si riempiono. Ma in quegli spazi non ci sta solo la politica (intesa come pura spartizione del potere) ci stanno le persone.
E le persone, quando l’economia va (qualche volta) un po’ meglio, dimenticano che esse fanno parte di classi sociali che non sono tutte sulla stessa barca. Finché si arriva a fine mese si naviga sul proprio gommone e non si vede lo Yacht che ti passa accanto. Ma quando lo Yacht travolge la misera imbarcazione e tutti gli occupanti, inizia a diventare più probabile farsi due conti.
Farli con Berlusconi poteva essere più facile (era il “nemico” per eccellenza, la stampa “perbene” quella che ora si sbraca in maniera vergognosa con Renzi, lo schifava) ma farli con al governo quel partito che si dice nato (per partenogenesi?) dalle spoglie del PCI, per una massa abituata da decenni a pensare poco e a seguire il “rosso” (sempre più sbiadito) della bandiera non è facile.
Tuttavia, spesso, quello che non riesce ai proclami e alle parole d’ordine (che ormai non bucano più nessuno schermo) lo produce la situazione reale.
E così si sono ritrovate in piazza un milione di persone. Molte imbarazzate, ma anche tristemente incazzate. Forse neppure chi è andato a Roma pensava di raggiungere quel numero. E, inconsciamente (?) non lo sperava nemmeno.
E ora? Ora che la spaccatura fra una presa di posizione da parte dell’aspirante satrapo fiorentino (così chiara che solo un demente potrebbe scambiare quella cosa che è il PD per un progetto neppure lontanamente social-democratico) e una amplissima componente del paese che vorrebbe andare davvero da un’altra parte, cosa succede?
Si dice che quella piazza dovrebbe aver bisogno di una rappresentanza. Forse, sarebbe il caso di pensare che quella piazza potrebbe essere la rappresentanza. Perché quello strano meccanismo post-moderno dei voti in libertà, “della laicità” del comportamento elettorale a volte può avere anche risultati paradossali. Non si tratta di essere ottimisti. Si tratta di essere realisti. Ed essere realisti vuol dire che l’avversario che abbiamo di fronte ora è nudo. Si tratta di destra, populista, reazionaria e liberista (con 20 anni di ritardo).
Potrebbe avere come bandiera anche il Che Guevara su sfondo rosso. Resta quel che è. Qualcuno ha contrapposto Firenze e Roma. Ebbene, Firenze non esiste. Non è un luogo. É la mera rappresentazione del potere. E’ il raduno delle SS. E’ pura rappresentazione. 10000 persone in 3 giorni sono meno di quanti visitatori fa l’Ikea[2] in un giorno. Non lasciamoci ingannare dalle riprese dall’alto per non mostrare una Leopolda semivuota, oppure dagli applausi scorcianti teleguidati da un signore che si sbraccia dietro le quinte[3] inquadratura sfuggita al disgraziato di turno che sarà stato prontamente licenziato….senza art. 18). La Leopolda non esiste.
Siamo pessimisti e non crediamo affatto che quel milione di persone, tutto intero, prenderà coscienza della situazione reale, del fatto di aver dato fiducia alla peggiore classe dirigente dall’Unità d’Italia (al confronto anche Brunetta pare uno statista).
Crediamo, speriamo, però che le situazioni davvero conflittuali, alla fine facciano emergere un barlume di “spirito” di classe, che accendano una lampadina.
Del resto le manganellate agli operai di Roma sottolineano l’urgenza di rilanciare la lotta e aumentare il conflitto sociale. La CGIL ora si trova a gestire qualcosa che smentisce completamente la linea inaugurata sciaguratamente con la concertazione, una linea tranciata dal vero aspirante dittatore di turno.
Nel 1977 la CGIL di Lama perse il contatto con parte del proprio popolo, non essendo in grado (anche allora) di capire le drammatiche trasformazioni del capitalismo e subì una contestazione inusitata. Oggi, che non c’è neppure un barlume di quel senso si sacralità che circondava la CGIL, basterebbe davvero poco per accendere una miccia da due parti.
Noi ringraziamo quindi Renzi per questa chiarezza, la stessa che ora dovrebbe avere il sindacato. Le sfide vanno raccolte non mitigate.
Perché la storia ha ripreso a correre e questo potrebbe essere l’inizio di una nuova e difficile stagione, oppure rappresentare l’ultima piazza, prima di un ventennio di regime.

[1] Sulle cui origini autoritarie e verticistiche è da leggere il libro dell’antipaticissimo L. Telese, Qualcuno era comunista. Dalla caduta del Muro alla fine del PCI: come i comunisti italiani sono diventati ex e post, Sperling & Kupfer, 2009. Il libro è scritto
male, con una scarsa affidabilità delle fonti. Ma presente al suo interno una interessante documentazione fotografica dove si vede un giovane Veltroni con in mano la bandiera di quello che sarà il futuro PDS. Bandiera e nome già scelti, quindi, prima di ogni
discussione.

[2] http://iltirreno.gelocal.it/pisa/cronaca/2014/01/11/news/apertura-di-ikea-previsti-15mila-visitatori-al-giorno-1.8450297

[3] http://www.tzetze.it/redazione/2014/10/gli_applausi_pilotati_della_leopolda/

Andrea