A chi l’Ucraina? A noi!

C’era una volta l’URSS e con essa la “guerra fredda”. Obiettivo degli USA negli anni ’60 e ’70, per battere il proprio nemico, era quello di sfilare la cintura protettiva degli Stati satelliti che coronavano il territorio russo.
Il primo approccio fu concentrato sulle repubbliche asiatiche e le regioni intorno al Mar Caspio, di religione musulmana, fomentando l’estremismo islamico in Iran ed Afghanistan, nella speranza di contagiare i territori confinanti. Ciò spiega il disastroso intervento sovietico nel secondo paese e successivamente la guerra cecena.
Ma lo scenario cambia con la dissoluzione dell’impero “comunista”.
Per ciò che riguarda la cintura sud siberiana si è battuta la strada degli accordi, per avere accesso alle materie prime; in particolare con il Kazakhstan che ne è ricchissimo (tra l’altro possiede circa l’11% delle riserve mondiali di uranio, di cui è il secondo detentore al mondo dopo l’Australia). In particolare va sottolineata la grande produzione di petrolio, che però all’epoca veniva esportata attraverso pipeline sotto il controllo russo, il cui territorio attraversavano (l’intervento statunitense in Afghanistan al di là della propaganda della “guerra al terrorismo” doveva preludere ad un condotto diretto a sud che evitasse il problema, progetto evidentemente fallito; tant’è che le esportazioni kazakhe sono ormai dirette all’Europa, Italia in particolare, mentre gli USA nel 2012 hanno cessato ogni importazione); nel frattempo il Kazakhstan ha aperto una comunicazione diretta con la Cina, paese in forte espansione produttiva e, quindi, avido di energia (http://www.eia.gov/countries/cab.cfm?fips=kz).
Per i paesi dell’est europeo la strategia atta a denudare la Federazione Russa della propria cintura di Stati satelliti ha utilizzato l’arma dell’integrazione progressiva nell’Unione Europea. Sono stati sfilati prima gli Stati baltici, poi Cecoslovacchia ed Ungheria ed infine la Polonia. Mancano all’appello Moldavia, Bielorussia e l’Ucraina, quest’ultima la più interessante.
L’Ucraina è infatti ricca di materie prime: petrolio e gas naturale nella zona occidentale, vicino a Leopoli; carbone nell’oriente e minerali ferrosi in Crimea. Il centro del paese è soprattutto a vocazione agricola (le famose “terre nere”, un quarto di quelle del mondo) un tempo granaio dell’Unione Sovietica, ma ora in via di diversificazione della produzione. A parte l’importanza preminente della produzione di carbone (5% di quella globale), di minerali ferrosi e di altri strategici (in particolare mercurio), in Ucraina è molto significativa la produzione industriale, che oltre a prodotti di base come l’acciaio, consiste anche in una significativa presenza di settori strategici, quali l’industria aerospaziale e soprattutto militare (http://www.geopolitica-rivista.org/21851/le-potenzialita-economiche-dellucraina/). Sono queste ultime una parte delle vere poste in gioco nel conflitto in atto. E non è un caso che esse siano tutte poste nella parte
orientale del territorio.
Meno importanza riveste il problema del trasporto dell’energia (gas naturale) dalla Federazione Russa all’Europa. Di fatto il 60% di questo approvvigionamento, vitale per l’economia dei paesi del nord e fondamentale per le esportazioni della Russia, passa dal North Stream e dallo Yamal, che passano al di sopra del territorio ucraino. Il restante 40% viene trasportato in vari gasdotti attraversanti l’Ucraina ed è quello che interessa i paesi mediterranei. Vi è il progetto di costruire il South Stream (o TAP), che ancora una volta escluderebbe il territorio ucraino passando al sud di esso, rendendo definitivamente autonomo il commercio russo di questa fonte energetica. Il progetto sta tuttora mutando fisionomia e recentemente il previsto sbocco a Melendugno in Puglia è stato rivisto a favore di un approdo in territorio austriaco.
Restano da analizzare gli interessi che spingono i vari attori in gioco: UE, USA, Russia e Ucraina.
Incominciamo con gli ispiratori e organizzatori degli eventi che hanno sconvolto il paese a partire dalla fine del 2013. Gli USA non hanno interessi diretti in Ucraina, ma solo indiretti: isolare la Federazione Russa dal resto della comunità internazionale, non tanto per la sua potenza commerciale, anche se ragguardevoli sono le materie prime in possesso dei rivali, quanto per limitarne il peso politico e militare; anche se gli Stati Uniti
hanno costruito un’alleanza di ferro con l’Arabia Saudita e mantengono nell’area del medio oriente il baluardo israeliano, la totale subordinazione della regione passa ancora per un accordo con la Russia che rimane un membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il medio oriente è tuttora un tassello importante dell’approvvigionamento energetico ed il settore è sottoposto ad una instabilità politica (Iran, jiahdisti in Iraq, Siria, Libano, etc.), che i recenti interventi militari sono riusciti soltanto ad accentuare; per cui la presenza russa rappresenta una complicazione da smorzare. Nuove preoccupazione per l’Amministrazione statunitense si profilano dal recente accordo energetico tra Russia e Cina.
L’Unione Europea è interessata alle risorse economiche presenti sul territorio ucraino ed al possibile futuro dischiudersi di un nuovo mercato di 50 milioni di abitanti. La speranza di firmare un accordo con l’allora Presidente Yanukovich, senza entrare in conflitto con la Federazione Russa sembrava arridere, ma i calcoli erano errati, e, fallita la manovra forse l’establishment europea avrebbe preferito che gli eventi non accelerassero tanto rapidamente e che lo scontro con Putin fosse meno violento, almeno tale da non compromettere gli enormi interessi economici che legano Russia e Unione Europea, e in modo particolare la Germania.
Gli interessi russi sono più che evidenti. Da sempre abituati a considerare l’Ucraina come una regione russa (come anche la Bielorussia), dai tempi dell’URSS i russi hanno investito moltissimo nell’industrializzazione di quel paese: grazie alla presenza di immensi giacimenti carboniferi nelle regioni dell’est sono state insediate molte industrie, alcune delle quali ad alta tecnologia e di interesse strategico necessarie all’approvvigionamento bellico. La Crimea in particolare ospita da sempre la base navale russa nel Mar Nero.
L’Ucraina si trova nel mezzo degli opposti interessi e settori diversi della società (diversi per ragioni storiche, per collocazione nel ciclo produttivo, per tradizioni religiose e linguistiche) la tirano in direzioni divergenti. Da una parte le popolazioni galiziane, che vogliono spostare verso occidente il baricentro finora posto ad oriente dai popoli di origine russa. Ad essa sono alleate le forze politiche di estrema destra, a volte
dichiaratamente naziste, che da oltre un secolo agognano l’indipendenza dell’Ucraina e che con i nazisti si allearono all’inizio della seconda guerra mondiale. Del fronte fanno infine parte un gruppo di oligarchi attratti dai presunti ricchi affari da poter intrecciare con l’occidente industrializzato, come il fantomatico sfruttamento degli scisti bituminosi: è stato fatto credere da Stati Uniti e Gran Bretagna che gli immensi giacimenti di scisti
presenti nel paese potevano essere sfruttati con tecnologie innovative per produrre gas e rendere così l’Ucraina indipendente energeticamente e fruttare lucrosi profitti ai potenti locali, ma ciò era semplicemente una bufala.
Dall’altra parte ci sono i lavoratori dei distretti industriali, consapevoli che gran parte della loro produzione è compatibile e succedanea con quella russa, mentre mal si coniugherebbe con quella dell’Europa occidentale ed un passaggio nell’orbita di quest’ultima comporterebbe nel breve periodo la perdita del posto di lavoro. Ad essi sono alleate le popolazioni integralmente russe (circa il 30%), che temono di vedersi negato il diritto a mantenere la propria lingua.
Vi è un ultimo problema. L’Ucraina dipende energeticamente dal gas russo per il 60% dei propri fabbisogni, pari a 50 miliardi di metri cubi. Fino ad ora la Federazione Russa ha garantito il gas necessario ad un prezzo inferiore a quelli di mercato di circa il 30% ed ora essa pretende dalla ribelle un prezzo ben superiore a quello praticato ad altri clienti; l’Ucraina ha iniziato a pagare le forniture arretrate di febbraio e marzo e sta
cercando di strappare nei negoziati un prezzo “equo” e per ottemperare ai debiti pregressi con consistenti aiuti dall’Unione Europea, ma è chiaro che la situazione non può continuare all’infinito (Il Sole 24 ore, a.149, n° 147, 31 maggio 2014, p.14) . Questo problema, coniugato agli sbocchi necessari alla produzione industriale di
cui si è detto sopra, rischia di portare il paese alla bancarotta economica o a divenire per un periodo consistente un peso per le finanze europee. Mentre gli Stati Uniti stanno raggiungendo i propri scopi, l’UE, si è incuneata in una situazione da cui non sarà facile uscire indenni.