Ucraina: chi la fa, l’aspetti!

Con la crisi ucraina vengono al pettine le contraddizioni aperte negli ultimi trent’anni dal processo di dissoluzione dei paesi dell’Est Europa. Ad entrare in crisi è la tenuta di un paese che da sempre ha rappresentato un punto d’incontro tra la storia europea e quello dell’oriente russo. E’ qui che la Russia di oggi ha avuto origine. Nel regno di Rus’ sono nate le istituzioni che si sono poi trasferite a Pietroburgo e a Mosca: gli Zar, la Chiesa ortodossa russa, quella particolare visione tra potere politico, istituzioni pubbliche e istituzioni religiose che eredita la concezione bizantina dello Stato e teorizza un rapporto sinfonico tra i poteri.
Nel momento in cui la Russia vuole ridisegnare il tracciato del gasdotto che dal suo territorio rifornisce i clienti europei deve intervenire nella zona tra Kharkov e Donetsk dirottando il tracciato verso sud fino a giungere sulla costa della Crimea e da qui, superato un breve tratto di mare in Bulgaria, a Varna, immettendosi così nella rete dei gasdotti balcanici. Pochi dicono che la crisi ucraina offre l’occasione di staccare dal paese non solo la Crimea ma il resto dell’ucraina russofona e russofila che va da Kharkov a Nord a Kerson a Sud, passando per Donetsk e Dnepropetrovsk.
Occorre ricordare che in queste grandi città si sono svolte numerose manifestazioni pro-russe; si tratta e non a caso delle province in cui, nel 1991, il referendum per l’indipendenza dell’Ucraina dall’Urss ha raccolto la quota più bassa di sì. L’economia della regione si basa sull’industria mineraria e metallurgica, già controllata da capitali russi tipicamente post-sovietica, facilmente integrabile in quella russa. Acquisire la parte Est dell’Ucraina aumenterebbe le capacità produttive di materie prime della

Federazione Russa. I nuovi gasdotti

Northern Lights e South Stream, con un percorso parzialmente ridisegnato passerebbero sopra e sotto l’Ucraina, privandola di un’arma di ricatto e della riscossione dei diritti di passaggio; in ogni momento Gasprom potrebbe interrompere le vendite di gas e petrolio senza alcuna conseguenza.

L’arma dell’autodeterminazione dei popoli

Per conseguire questo risultato Putin invoca l’applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli utilizzato dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea in occasione della secessione del Kosovo dalla Serbia, avvenuta anche in quel caso attraverso un referendum autonomamente indetto dagli insorti. Perciò il primo passo è la secessione della Crimea dall’Ucraina; probabilmente il secondo è, con analoga procedura, quello della secessione di buona parte delle provincie dell’Est, poste oltre il Dneper, la probabile costituzione di questi territori in repubblica autonoma che chiede successivamente l’ingresso nella Federazione russa. Il terreno è del resto già stato preparato da un voto della Duma, venuta in soccorso delle popolazioni russofone ucraine.
Del resto, come abbiamo rilevato nello scorso numero della Newsletter, l’Ucraina attuale non è quella storica. A causa delle politiche di Stalin, a conclusione della seconda guerra mondiale, la Russia ha incorporato parte del territorio ucraino, spostando ad occidente i confini del paese. Così l’Ucraina ha ceduto circa 200 Km
in profondità del proprio territorio per tutta la frontiera con la Russia e ha inglobato, espandendosi ad occidente, popolazioni di diversa origine come ungheresi, rumeni, polacchi, ruteni. Il risultato è stato che in effetti oggi il paese è diviso in due: una parte è costituito dalla vecchia Rus’ formatasi intorno a Kiev e profondamente asiatica e l’altra, quella ad occidente, certamente europea. Il confine è segnato visibilmente dal fiume Dnepr.
Inoltre si obietta da più parti che la Crimea è stata annessa all’Ucraina in seguito a una decisione di Kruscev, ma faceva parte da tempo del territorio russo e russa è la maggioranza della popolazione.
La difesa dello statu quo, invocata dall’occidente, non regge dunque di fronte all’obiezione di Putin il quale, malgrado ogni possibile ritorsione, sa bene che l’Unione Europea ha bisogno del gas e del petrolio russo e quindi ha tutti gli strumenti per pilotare un graduale ingresso dei territori sopra citati nella sfera politica russa
fino alla piena adesione formale alla Federazione. Resta invece da riflettere sul destino del restante territorio dell’Ucraina.

Il revanscismo e il neonazismo nell’Est Europa

Nell’analizzare la situazione dell’Ucraina bisogna attentamente riflettere non solo sulla composizione della sua restante popolazione ma sulla situazione politica complessiva dell’Est Europa. La crisi economica e il profondo disagio sociale seguito al crollo delle democrazie socialiste dell’Est hanno trascinato quelle popolazioni in una situazione di profonda prostrazione. Intanto una componente rilevante della popolazione, la
parte più dinamica e pronta a rischiare, è emigrata ad ovest impoverendo quei paesi. Non sempre la popolazione emigrata ha mantenuto il riferimento al paese d’origine, prova ne sia il ridursi delle rimesse degli emigranti, complice anche la crisi economica. Inoltre non si è creata una emigrazione di ritorno capace di andare ad alimentare il mercato interno e l’iniziativa economica; il decentramento produttivo messo in atto dai paesi occidentali, spesso, dopo una prima fase di sviluppo a livello locale, desertifica il territorio e emigra verso luoghi nei quali presume di trovare una manodopera a costi ancora minori. Si è così diffuso un senso di frustrazione a livello sociale che si scarica spesso verso le minoranze, soprattutto i rom.
La punta dell’iceberg di questo fenomeno è costituita dall’Ungheria la quale ha tradotto questi orientamenti xenofobi e razzisti in una nuova costituzione e ha rischiato la sospensione dall’Unione Europea a causa di leggi e provvedimenti ai limiti di compatibilità con le istituzioni comunitarie. L’Ucraina occidentale non è estranea a questi fenomeni, prova ne sia la composizione del nuovo governo dopo i moti di piazza che hanno portato alla fuga del Presidente eletto Yanukovich. In questa situazione l’Unione Europea rischia di trovarsi tra le mani un territorio economico ormai povero, privo di quelle risorse economiche potenziali fino ad ora possedute e localizzate ad oriente.
A guardare comunque con interesse alla situazione è la Polonia, non a caso molto attiva in questa crisi, i quali non hanno dimenticato la passata appartenenza al loro paese dei territori intorno a Leopoli, la Germania ben consapevole degli antichi insediamenti, risalenti ai tempi della Riforma, di popolazioni di origine tedesca,
nonché tutte quelle forze che sostengono una politica di riscoperta delle nazionalità e di valorizzazione delle etnie. Questo fenomeno politico può saldarsi con il crescente peso dell’estrema destra nei paesi occidentali e la crisi economica e istituzionale in atto può produrre quell’amalgama necessario a far prevalere in Europa la nuova destra.
Per questi motivi la crisi ucraina rappresenta un grave pericolo per gli equilibri politici complessivi dell’Europa e deve attirare le nostre preoccupazioni che non risiedono in un improbabile conflitto armato con la Federazione Russa ma piuttosto in una ulteriore grave involuzione sul piano politico e sociale delle libertà per l’intero continente.

Nazionalità e nazione nella visione dell’anarchismo di classe

A livello di analisi storico-politica dei problemi del continente europeo l’anarchismo è stato certamente quella teoria politica che più si è occupata della questione slava e quindi delle aree centro meridionali dell’est del continente europeo e del rapporto complesso che esse hanno con il mondo russo. Utile qui ricordare il saggio di Bakunin sulla questione slava e successivamente lo sforzo di inserire la lotta di classe presente in questi paesi in quella più generale di emancipazione sviluppatasi in tutta Europa. Esperienze politiche esemplari sono state quelle della Maknovicina in Ucraina (Petr Arshinov, La rivoluzione russa in Ucraina, Milano 1976), del movimento cooperativo bulgaro di orientamento profondamente libertario e della Federazione Comunista
Anarchica Bulgara (G. Balkansky, Storia del movimento libertaio in Bulgaria, 1982), esperienze stroncate militarmente dal bolscevismo e soffocate nel sangue. Da conoscitori delle problematiche sociali e politiche di quelle popolazioni che si sono sedimentate nei secoli, i comunisti anarchici rivendicano una politica di superamento delle differenze e delle contrapposizioni etniche, religiose, culturali, tradizionali, attraverso una rete di strutture autonome territoriali che tengano ben conto di queste differenze, le coltivino e non le sottovalutino, promuovendo la convivenza e la collaborazione.
Per fare ciò occorre riscoprire il valore epico della lotta di classe in quelle aree d’Europa, coglierne i contenuti di solidarietà sociale e l’esempio del funzionamento di strutture federative a livello economico, sociale e politico, contrapponendo una organizzazione del territorio su obiettivi di solidarietà e di classe all’idea dello Stato-nazione, dell’unità su base etnica o religiosa, proponendo il superamento della “sinfonia” tra Stato e religione, di origine bizantina e ortodossa attraverso la riscoperta della cultura della collaborazione tra gli abitanti del territorio.
Solo proponendo un reale esercizio dei diritti di libertà e di superamento dello sfruttamento e di soddisfazione del bisogno per tutti coloro che si trovano sul territorio, solo proponendo la creazione di strutture politiche unitarie dal basso si possono trovare gli strumenti per costruire il futuro.
In una prima fase dovremo dare tutto il nostro sostegno per evitare la guerra e per ostacolare la formazione di regimi fascisti, pericolo questo tutt’altro che irrealistico nella situazione attuale.
Contemporaneamente dovremo sforzarci di ricostruire la memoria storica delle lotte, superando il buio fatto calare dall’egemonia politica e militare bolscevica, frutto di un comunismo degenerato, cercando di riscoprire le radici genuine e originali di una teoria politica, di un programma politico capace di contemperare eguaglianza e giustizia sociale da coniugare con la libertà delle istituzioni politiche e sociali e dell’individuo che è effettivamente realizzato quando si libera dal bisogno.

Gianni Cimbalo