Storie di ieri

Ma mio padre è un ragazzo tranquillo
la mattina legge molti giornali
è convinto di avere delle idee
Francesco De Gregori – Fabrizio De André, Le storie di ieri

La storia non è mai scritta e non si sa mai cosa può accadere nel corso di una vita, un gruppo, una società o un partito. E’ vero però che le scelte che si fanno sono bivi, una volta intrapresa una strada, indietro non si torna. E anche se volessimo tornare indietro, non potremmo certo tornare al punto “0”, al bivio. Il tempo non si riavvolge. Per cui possiamo dire che il sipario che calerà da lunedì 9 dicembre in poi sul centro-sinistra (o quello che c’era rimasto) è l’ultima replica di uno spettacolo cominciato ormai tanti anni fa, neppure nel 1992, neppure nel 1989, ma molto più indietro.
E, a guardare bene (noi che possiamo riavvolgere il nastro, ma solo da spettatori) fa impressione la lucida, ostinata, indefessa, serie di azioni sempre più stringenti, la scelta di strade sempre più anguste, la volontà granitica di bruciare ogni ponte dietro le proprie spalle di quello che era il PCI. Se volessimo giudicare con sguardo religioso, ma anche letterario, parrebbe quasi che il percorso che ha portato dal PCI-PDS-DS-PD, sia stato un lungo ininterrotto auto da fé. Come il protagonista dell’omonimo romanzo di Elias Canetti, che muore nel rogo della propria libreria. Non a caso il titolo tedesco
del romanzo è “Die Blendung” (L’accecamento).
Il Renzismo che ci aspetta, degno erede dei 20 anni di Berlusconismo, è in realtà molto più pericoloso perché il populismo-demagogico vede questa volta le proprie radici e i propri rami composti da una buona fetta di quello che era il popolo del “centro-sinistra”, del quale conosciamo molto bene l’arroganza, il fideismo, e la sete di potere (là dove, nel centro destra, molto più prosaicamente, vi era un fenomeno che legava interessi, enormi, e una voglia di proseguire sine die con gli anni ’80). Ma questo fenomeno non era obbligato da una qualche metafisica della storia, è il risultato di scelte consapevoli (o meno), di prese di posizione.
L’aver gettato alle ortiche lo stesso pensiero del conflitto sociale, l’aver sposato, con l’integralismo dei neofiti, il “mercato” (senza neppure essere in grado di declinarne il senso) in tutte le sue salse, aver spostato la partecipazione (vera) alla farsa delle urne, accompagnata da un delirante discorso autoreferenziale sulle “regole del gioco” (è meglio il proporzionale o il maggioritario? A nessuno che sia venuto in mente che meglio, molto meglio, sarebbe stato fare politica).
Aver completamente rinnegato ogni ideale di cambiamento sociale, considerato sorpassato, perché troppo bruciava l’aver identificato la rivoluzione con quella sovietica con cui ci si era ottusamente sposati, fino a credere, come diceva Gaber che “le donne siano tutte puttane”[1]. A vederlo oggi pare davvero che quella rivoluzione pesasse come un macigno sui quarantenni di venti anni fa. I quali, poco e male conoscevano la storia e imbevuti di dogmi stalinisti hanno semplicemente pensato che, finita quell’epoca  sarebbe finito anche ogni motivo di scontro sociale, in un avvolgimento tutto ideologico.
Tutto questo ha preparato il terreno a generazioni nuove, svuotate di ogni senso politico del proprio agire, e ha riempito le file di quella compagine di persone senza scrupoli, avventurieri, veri e propri banditi. Ha aperto la strada al partito personale e alla vera e propria guerra fra bande. A questo c’è da aggiungere che la “supposta” (sia come derivato del verbo che come sostantivo) furbizia del gruppo dirigente della Bolognina, la loro forma mentis fatta solo di tattica, senza nessuna strategia, alla fine ha consegnato un intero partito…..ai suoi nemici.
Era già successo a sinistra, con l’avvento di Craxi e l’eliminazione della vecchia guardia (vedi un po’ “vecchio”, “nuovo”, termini che sempre tornano quando si vuole deviare e fare deviare). Il “quasi santo” Berlinguer (che sempre campeggia, anche oggi, nelle Case del Popolo, a volte assieme a Moro a dimostrazione della completa e totale caduta di ogni considerazione, anche minima, di carattere politico-storico, facendo torto a due politici che si potevano anche rispettare ma militavano in partiti o-p-p-o-s-t-i), quando questo accadde ebbe a dire: “Un gruppo di gangster si è impadronito del Partito socialista italiano. Questo fatto è destinato a modificare in profondità la politica italiana”.[2]
Perlomeno Craxi, che come Mussolini, qualche libro l’aveva letto, tentò di fare quella operazione (che era anche una vendetta contro il PCI) aggrappandosi a qualche quarto di nobiltà della sinistra non marxista come Proudhon. Insomma era una gangster, ma del secolo scorso.
Se oggi nel PD si nomina Proudhon, forse molti potrebbero pensare a una qualche marca di scarpe, pantaloni, o gadget vari. La tabula rasa è compiuta.
Il progetto folle, delirante e tendenzialmente totalitario (non solo autoritario) delle primarie, per scegliere il segretario deus- ex- machina di un partito, APERTO A TUTTI (maiuscolo) è davvero il segno di un finale di partita che butterà il PD totalmente dall’altra parte della barricata e come tutti i partiti populisti, demagogici, autoritari, carismatici e antidemocratici, lo farà sostenendo che le barricate non ci sono più, che è un partito per salvare l’Italia.
Il quotidiano “Il Popolo d’Italia” aveva come sottotitolo “giornale dei produttori”, sottolineando il destino comune degli italiani al posto della lotta di classe. L’unico partito che aveva fatto dell’interclassismo senza cadere nell’autoritarismo è stata la DC, seppellita da tempo e appartenente ad una stagione finita che gestiva interessi diversi e contrapposti distribuendo qualcosa a tutti. Ma questa è un’altra storia. In genere, i partiti nazionali sono stati, sempre, di destra, o, peggio, dichiaratamente fascisti.
Non voglio dare del fascista alla dirigenza del PD, sarebbe ingiusto e fuorviante. Ma il declino di quella parte politica, a meno di scissioni che qualche mente ancora lucida avrebbe dovuto mettere in atto da tempo, credo che dovrebbe far drizzare le orecchie anche a chi si ostina a considerare quella compagine, in qualche modo, appartenente alla famiglia della sinistra italiana e europea.
Io credo che da lunedì 9 dicembre 2013, le cose si saranno finalmente chiarite e sarà giunta l’ora di considerare quel partito come un definitivo avversario della sinistra [3], come un avversario di classe di chi, pur in maniera composita, complessa e anche contraddittoria, milita in quella parte del mondo che dall’avvento del capitalismo, lotta per cambiare, come si diceva, “lo stato di cose presenti”.
Il plebiscito di cui il gran capo si è voluto ammantare, come tutti i plebisciti, non avrà nulla a rivedere con le scelte politiche, con programmi ed idee, ma solo con la gran cassa mediatica, l’utilizzo spregiudicato di slogan vuoti di ogni contenuto, di suggestioni isteriche e divistiche, insomma avrà molte delle caratteristiche tipiche dei populismi novecenteschi declinati però in salsa hi-tech e multimediale.
Renzi stravincerà sia come segretario (l’apparato ostile verrà demolito dalle primarie aperte) che come candidato alla Presidenza del Consiglio (figura che in Italia non esiste ma che, come il Presidenzialismo, è nella cose ormai da anni). E una volta stravinto durerà perché farà alleanze e tesserà accordi senza alcun problema: la totale mancanza di scrupoli dei rampanti in arrivo, unita alla tutela vera (molto di più del Berlusca che nel capitalismo italiano è sempre stato considerato un outsider) dei poteri forti (gli unici che pensano in grande e hanno una visione) permetterà al capitalismo di dormire sonni e sogni tranquilli.
Con il PCI si poteva avere un rapporto conflittuale, ma anche, a volte, proficuo, oppure dialettico. A questo giro non si può che abbandonare la barca, nella speranza che molti, in un ultimo sussulto di lucidità, scendano in porto prima che essa parta per la prevedibile strada.
Questa “sinistra” è ormai storia di ieri, ma noi non ce ne rammarichiamo più di tanto, perché come diceva De Andrè “La strada è lunga ma ne vedo la fine” [4].

[1] G. Gaber, Non è più momento, 1981.                                                                             [2] E. Berlinguer, 1979
[3] Il PD non è l’erede del PCI ma della destra della DC, se vogliamo ancorare questa storia a quella della Repubblica.                                                                                        [4] F. De Andrè ,“Avventura a Durango”.

Andrea Bellucci