L’economia di Draghi e quella del Dragone

L’economia cinese è all’avanguardia nella gestione della globalizzazione. La Cina ha sposato la delocalizzazione e basa quella che potremmo definire l’economia del Dragone, sull’esportazione, la logistica, la gestione dei corridoi commerciali, (vedi la “nuova via della seta”) e in questo modello produttivo, di divisione internazionale del lavoro e di gestione del commercio mondiale, mira a mantenere la leadership che ha stappato agli USA.
L’Europa coltiva un progetto alternativo: quello di dar vita ad un’economia green, circolare, basata sulle energie rinnovabili, a basso impatto ambientale e perciò, complice il covid, ha varato il Next Generation Plan. Ma quale programma economico, quale nuova economia, coerente con questo progetto il Governo Draghi è chiamato a attuare col Next Generation Fond. Si parla di economia green, ma siamo di fronte a qualcosa di più complesso ed è perciò opportuno fare chiarezza.
Da parte nostra, già redigendo nel 2011 l’analisi della fase economica, al punto 8.2, tratteggiavamo il nuovo modello economico che si profilava, definendolo come “economia neocurtense” e scrivevamo: “L’economia neocurtense si caratterizza per l’esistenza sul territorio di aggregati, o di “isole”, organizzati economicamente in modo da sottrarsi alla notevole pressione fiscale esercitata dallo Stato, visto come depauperatore della ricchezza prodotta per voler distribuire il reddito sui suoi territori. Queste “isole” si sviluppano spesso a latere dei comprensori e si appoggiano sulla loro specializzazione e sulle capacità dei comprensori stessi di fare rete, anche se
affermano di essere autosufficienti. Spesso queste “isole” ospitano al loro interno e a margine, aree dormitorio di immigrati (che diventano elemento costitutivo del mercato del lavoro) e che vengono sfruttati a livelli insopportabili, mediante il costo delle locazioni. Le spese di insediamento sul territorio, fornite dalle amministrazioni locali, sono spesso con standard di qualità inferiore ai servizi destinati agli abitanti autoctoni. In tal modo gli immigrati sostengono il modello economico con il loro reddito e con il versamento dei contributi sociali, ma vivono una situazione precaria e possono essere espulsi in qualsiasi momento. I produttori piccoli e medi, ma anche i titolari di insediamenti a carattere multinazionale preferiscono codeterminare e sottomettersi alle forze locali che gestiscono uno specifico territorio per sfuggire agli oneri di natura economica contratti verso lo Stato”.
Così descrivevamo la nuova tendenza in atto, ma l’accentuarsi delle criticità dovute alle carenze di un modello economico basato sulle piattaforme della logistica – quello fino ad ora vigente e sostenuto ancora fortemente dalla Cina -, ha indotto a un ripensamento su quale ruolo assegnare alle economie nazionali e di area, a ipotizzare una strategia economica che rielabora il modello neocurtense, sopra descritto, lo precisa, lo articola, ipotizzando una economia del riciclo, a chilometro zero, come antidoto alla delocalizzazione. Perciò ancora prima della crisi indotta dal Covid 19 la
Germania varava un grande piano per la “green economy” e molti paesi si avviavano nella stessa direzione, sotto la spianta di un movimento ecologista montante, la cui bandiera mediatica venne assunta da Greta Tumberg, fenomeno mediatico artatamente costruito.
Il fatto è che comunque il modello di sviluppo fino ad ora perseguito è giunto ad un collo di bottiglia e la crisi ormai più che decennale in cui navighiamo e da cui non si riesce a riemergere, ne è un sintomo evidente. La frantumazione geografica delle filiere produttive, che comportava decentramento delle aziende, delocalizzazione delle
lavorazioni, spostamento di merci, ha generato la nascita dei cosiddetti corridoi, con lo sviluppo della logistica e l’ipertrofia del sistema dei trasporti, ha comportato il trasferimento a grandi distanze delle risorse energetiche con metanodotti, oleodotti, tralicci. Questo fenomeno riguardava anche le produzioni alimentari, il cui spostamento prima in India e poi in Africa e nell’America Latina, ha devastato le economie locali di sussistenza, soprattutto in Africa e in Amazzonia. Tutto ciò è divenuto troppo costoso e danneggia le aree di più antica industrializzazione e sviluppo, dove peraltro sono concentrati i maggiori consumi, depaupera il clima e l’ambiente del pianeta.
È sembrato opportuno perciò che da ora in poi i sistemi paese realizzassero dei percorsi di filiera produttiva per alcuni beni sui quali mantenere la loro capacità produttiva, magari mediante una rapida e possibile riconversione produttiva degli impianti, stabilendo le opportune sinergie, tra i sistemi produttivi di ogni singolo Stato dell’U.E., in modo da coprire con le proprie capacità tutti i settori produttivi necessari considerati strategici. Si creeranno così le condizioni favorevoli per far sviluppare quella economia neocurtense che si collega alla scelta/esigenza di privilegiare le produzioni
a chilometro zero e facilitare la conversione verso sistemi ecologici di produzione con energia rinnovabile e sfruttabile in loco, venendo incontro alle strategie ambientaliste e ai progetti di green economy. Da queste scelte discende necessariamente una nuova divisione internazionale del lavoro, nella quale le quote di produzione assegnate a un
territorio, vengono individuate non con il criterio precedente del costo della manodopera più basso possibile, ma tenendo conto di un insieme di parametri in parte da definire, tra i quali vanno certamente compresi il tipo di energia impiegata, l’impatto delle produzioni sull’ambiente e il territorio, le capacità del mercato di prossimità di assorbire il prodotto, garantendo comunque la copertura dei costi di produzione e lasciando a una circolazione più ampia i maggiori profitti, la possibilità di dar vita e sviluppare un’economia circolare che affronta il problema delle materie prime puntando
all’industria del riciclo.
In altre parole la produzione si sposta verso le aree a sviluppo maturo e beneficia delle strutture di comunicazione e di organizzazione sociale delle popolazioni di quei mercati, che sono poi i maggiori consumatori dei beni prodotti e ciò malgrado che in quelle aree il costo del lavoro sia maggiore. In questo nuovo schema economico le sacche di proletariato che costituiscono l’esercito di riserva del lavoro a più basso reddito continuano ad esistere, ma stanno all’interno di ogni Stato, spinto a dotarsi di aree di lavoratori immigrati, appartenenti ad un mercato del lavoro parallelo, clandestino e
sottopagato (in Italia ad esempio San Ferdinando in Calabria, o il foggiano, o ancora il territorio intorno a Latina e tanti altri).
La rinuncia alla ricerca dei mercati del lavoro con un costo della manodopera a bassi salari viene compensata in questo nuovo modello anche dall’ampio ricorso al telelavoro nei paesi maturi, dotati di efficienti reti informatiche, di una diffusa digitalizzazione, di un accesso generalizzato agli strumenti informatici, educazione digitale. Questo è ciò che i
nuovi dicasteri istituiti dal Governo dovrebbero fare. Attraverso questa scelta si abbattono i costi di produzione e realizzano risparmi, incidendo sul capitale fisso, il cui ruolo nel determinare il costo della produzione viene ridotto, quando non azzerato. Intendiamo riferirci all’abbattimento del costo dei beni strumentali e soprattutto strutturali che costituiscono l’azienda, a cominciare dalla sede fisica, per finire ai costi dei servizi necessari, da quello energetico a quello degli strumenti tecnologici utilizzati e quant’altro. In questa organizzazione del lavoro l’imprenditore sposta il costo della sede, di parte della strumentazione di produzione e dell’energia sul lavoratore che, svolgendo la propria attività dalla sua abitazione, cede in uso una parte di essa al datore di lavoro; e così dicasi per il costo dell’energia, come delle reti di comunicazione e di quello dei computer, dell’ammortamento delle spese relative agli strumenti di produzione, costi questi che si scaricano sul lavoratore.
In questo muovo schema di utilizzazione della forza lavoro il lavoratore vende al padrone non la propria capacità produttiva o la propria professionalità e le proprie conoscenze, ma il proprio tempo-vita, e la propria capacità di consumatore onnivoro, in grado di generare profitto. In questa nuova struttura produttiva il fenomeno del re-shoring – rientro in zone vicine alla base domestica di attività in passato de-localizzate – diviene, complice anche l’automazione e robotizzazione degli impianti, una caratteristica del modello economico che incide in modo non marginale sull’utilizzo
della forza lavoro.
Ecco spiegata l’esigenza primaria di destinare gli investimenti Next Generation Fond alla costruzione di infrastrutture, all’informatizzazione, alla banda larga, alle reti, all’innovazione, alla robotica, ecc.
Se poi ci si chiede il perché dei maggiori investimenti dati all’Italia dalla U. E. la risposta non si trova nei maggiori danni subiti a causa del covid, ma nel fatto che il nostro paese ha il più alto tasso di economia circolare in Europa, ampie capacità nel settore della robotica e delle macchine utensili, ha ampiamente sviluppato la produzione di energia con fonti rinnovabili e molto altro potrebbe fare, tanto che sembra poter garantire proficui investimenti, i più alti profitti e il successo del piano di riconversione produttiva.
Per un necessario approfondimento di queste tematiche invitiamo a rileggere gli articoli che seguono:

Fare i conti con Conte Pubblicato il 22 Luglio 2020, Anno 2020, Newsletter, Numero 134 – Luglio 2020.

FARE I CONTI CON CONTE


Riforme e autonomia regionale, Pubblicato il 18 Giugno 2020,,Newsletter, Numero 133 – Giugno 2020

Riforme e autonomia regionale


Gli effetti positivi Covid 19, Pubblicato il 18 Aprile 2020 , Anno 2020, Newsletter, Numero 131 – Aprile 2020

Gli effetti positivi Covid 19


Solidarietà sociale, sfruttamento capitalistico, lotta di classe, Pubblicato il 3 Aprile 2020, in Anno 2020, Newsletter, Numero 130 – Aprile 2020.

Solidarietà sociale, sfruttamento capitalistico, lotta di classe


Le conseguenze sulla struttura produttiva, Pubblicato il 19 Marzo 2020 , Newsletter, Numero 129 – Marzo 2020. 20

Le conseguenze sulla struttura produttiva


Uso il virus e ti fotto, Pubblicato il 15 Maggio 2020 , Anno 2020, Newsletter, Numero 132 – Maggio 2020.
http://www.ucadi.org/2020/05/15/uso-il-virus-e-ti-fotto/