Et voilà, les jeux sont faits

Peccato che i giochi siano sempre quelli dei padroni! Per capire come si sia arrivati al Governo dei “migliori”, con a capo il già proclamato “salvatore della patria”, il novello “uomo della provvidenza”, il “supertecnico” e così via santificando, occorre fare un passo indietro, per poi analizzare la figura del nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri e fare un minimo di radiografia al nuovo esecutivo.

Il Bruto rignanese e il Cesare “del popolo”.

Il sicario toscano aveva già tutto architettato, si muoveva sottotraccia dall’estate
scorsa. Conscio di non avere un futuro politico in Italia, stante l’estinzione prematura
della sua ultima rachitica creatura, ha pensato di rendersi utile a chi poi poteva rendergli la mercede e non certo trenta miseri denari. Forte della sua proclamata padronanza delle lingue estere ha iniziato (oltre a speculare nella città d’origine, vedi: Il bandito di riyad e la sua banda) a immaginarsi e costruirsi un futuro nell’arengo internazionale; se alla propria carriera era necessario sacrificare i propri insipienti accoliti poco male, problemi loro: muoiano pure i filistei purché si salvi Matteone.
Tessuta la propria tela, occorreva aspettare l’occasione giusta ed il configurarsi di una diversa congiuntura geopolitica. L’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti d’America ha rappresentato implicitamente il via libera, ma Giuseppe Conte non ha tralasciato di offrire il fianco alle critiche. L’ex “avvocato del popolo”, sentendosi forte
del consenso popolare acquisito, destreggiandosi abilmente quale punto di mediazione tra le due forze di maggioranza del suo Governo, pensando che la situazione pandemica e il successo ottenuto in Europa con la acquisizione di una generosa
porzione dei finanziamenti previsti dal Recovery Fund lo rendessero insostituibile, ha iniziato a inanellare errori. Prima coi cosiddetti “Stati generali” estivi, con esclusioni clamorose e risultati nulli, poi con un fantasioso progetto di gestione dei fondi europei (lui a capo di un piramidale assembramento di tecnici di sua fiducia) ed infine con l’arroccarsi alle prime critiche ha trascurato i malumori provenienti dai partiti che lo sostenevano.
Ha anche trascurato la fragilità dell’esecutivo da lui presieduto, in cui troppi dicasteri erano ricoperti da ministri a dir poco improvvisati; a ciò si è aggiunta una fiducia esagerata ad un burocrate di Stato di mediocre levatura, cui sono stati cumulati incarichi su incarichi, già difficili da espletare persino dal nuovo messia, che pure pare onnisciente ed infaticabile, e che si sono rivelati non attinenti alle proprie competenze; Arcuri, digiuno di conoscenze sanitarie, ha fatto acquisti sbagliati, ha scelto vaccini sbagliati, siringhe sbagliate, pagando cifre sbagliate, in modo da far passare in
secondo piano l’errore fatale dei “banchi a rotelle” per le scuole.

Renzi tramaglino e la sua tela.

Quali fossero i mandanti delle machiavelliche operazioni di “demolition man” sono i fatti successivi al crollo di Conte a svelarlo. Sta di fatto che quando il Prof. Mario Monti fu chiamato da Giorgio Napolitano a “salvare la patria” il paese era davvero sull’orlo della bancarotta: lo spread con i bund tedeschi era salito oltre quota 500, il debito pubblico era fuori controllo ed il credito interno ed esterno del Governo Berlusconi era irrisorio. Fa specie sentire esponenti del partito renziano, quell’italia, sedicente viva, ma che sta esalando l’ultimo respiro, descrivere la situazione precedente alla crisi da loro scatenata come insostenibile. Certo al Governo Conte due non c’erano poche critiche da appuntare; certo si poteva dare di meglio; certo la fiera delle incompetenze entrava in scena giornalmente; ma non era il peggiore dei governi possibile, certo migliore del Conte uno che lo aveva preceduto: il contagio da Sars-Cov-2 era stato fronteggiato non in maniera disonorevole, almeno nei confronti degli altri paesi, anche se con forzature ed ambiguità: lo spread non volava alto come un anno e mezzo prima; la situazione economica aveva subito un duro colpo dalla pandemia, ma considerata la debolezza strutturale antica da almeno tre decenni il disastro poteva ben essere peggiore e l’arrivo dei fondi dall’Europa dava qualche speranza; il piano vaccinale, imperfetto quanto si vuole, non ci vedeva messi peggio di Germania e Francia; il Governo godeva di un buon tasso di fiducia nel paese ed in Europa. In sintesi, una situazione difficile, ma non
catastrofica.
Perché allora la crisi? Perché allora non un semplice aggiustamento di rotta? I motivi rintracciabili sono essenzialmente due. Prima di tutto il Movimento 5 stelle, uscito trionfante dalle elezioni del 4 marzo 2018, contava una forza parlamentare esorbitante rispetto al suo consenso attuale nell’elettorato e da questa posizione poteva vantare un
potere condizionante sull’esecutivo e questo poteva significare affidare i miliardi europei a mani insicure nonostante la mallevadoria del fido Gualtieri (insicure ovviamente agli occhi di “coloro che contano”); occorreva quindi ridimensionare la loro forza senza ricorrere ad un passaggio elettorale. Da qui discende il vero e più profondo motivo: collocare quell’ingente mole di risorse nelle mani al massimo affidabili: e chi meglio dell’ex Presidente per otto anni della Banca Centrale Europea?

Il messia

Non è dato sapere se “superMario” sia effettivamente dotato di superpoteri e se esista un qualche frammento derivato dall’esplosione del suo pianeta d’origine in grado di depotenziarlo. È invece indubbio che sia, al di là della bolsa retorica adulatoria imperante, un tecnico ed un politico capace; le prove del suo orientamento non tarderanno a venire. Un breve sguardo alla sua storia può fornire utili riflessioni.
Formatosi alla scuola di Federico Caffè, economista keynesiano misteriosamente scomparso nel 1987, vanta quindi un’origine non monetarista. Di questa dottrina diviene tenace assertore negli anni ottanta del secolo scorso, divenuto Direttore Esecutivo della Banca Mondiale. Nel decennio successivo viene chiamato a dirigere il ministero del
Tesoro italiano e si fa promotore dell’ondata di privatizzazioni in quel periodo (IRI, Telecom, Eni, Enel, Comit, Credit, ecc.). Tra il 2002 ed il 2005 diviene Vice Chairman e Managing Director di Goldman Sachs (ops!). Nel 2005 divenne Governatore della Banca d’Italia, dove sostenne la riduzione del debito pubblico, la riforma delle pensioni, la riforma del mercato del lavoro, l’accorpamento del sistema bancario in poche banche di grandi dimensioni; non è difficile immaginare in che senso, vista l’epoca, volgessero le riforme di cui sopra, non certo alla sicurezza del posto di lavoro (la precarietà assurta ad immagine di dinamicità) ed a tutela dei pensionati.
Nel 2011 il grande balzo alla BCE. È qui che, affrontando l’ottusa ostinazione degli ordoliberisti tedeschi alla Schäuble e Weidmann, comprende il vicolo cieco in cui l’Europa si sta cacciando e, riscoprendo le proprie origini e gli antichi insegnamenti di Caffè, lancia ed impone il Quantitive Easing, con la sorda opposizione tedesca. Ancor più alla fine del suo mandato europeo si sgancia dal liberismo e inizia a parlare di salario sociale e di sostegno alle nuove povertà sollevate dalla pandemia, di incuranza all’aumento del debito pubblico e della necessità che gli Stati spendano, anche in
deficit, per fronteggiare l’emergenza economica e sociale. A quale Draghi credere?

Un esecutivo tecnico-politico?

Il dosaggio tra ministri tecnici e ministri politici ed all’interno di questi ultimi, l’accuratezza della distribuzione tra i molti partiti e le loro correnti che sono voluti entrare nel suo Governo, è una riprova dell’abilità politica del personaggio. Si vede subito che l’affollarsi delle minuscole formazioni centriste non ha trovato sfogo nell’esecutivo ed anche il partito renziano, vero artefice della nascita del nuovo Governo, ha ricevuto un contentino che lo condanna all’assoluta ininfluenza. Anche LEU trova la scusante ad una partecipazione ad un’ammucchiata cui avrebbe fatto miglior figura col rinunciare, nella riconferma al Ministero della Salute di Roberto Speranza. Tutti gli altri ricevono ruoli di rilievo che possono rivendicare, per far dimenticare che la vera ragione per una partecipazione ad una così composita
alleanza risiede nella volontà di sedere al tavolo delle trattative per l’allocazione delle risorse in arrivo. Ma se la collocazione filoeuropeista del PD e di FI è di vecchia data e risponde ad una qualche coerenza è la Lega che sta giocando una partita difficile; stretta tra il realismo della sua ampia schiera di amministratori locali e dell’elettorato del nord produttivo da una parte e dall’altra dalla rabbia xenofoba dei ceti operai e dall’insofferenza e dal disagio emergente nell’elettorato meridionale, rischia di perdere consensi nei confronti di Fratelli d’Italia. Lo sfondamento al sud della Lega
nazionale di Salvini è stato un parziale insuccesso ed ora rischia di divenire una debacle nei confronti del partito di Giorgia Meloni.
Ma quello che deve attrarre la nostra attenzione è la compagine dei cosiddetti ministri tecnici, attestati nei Ministeri più rilevanti, tutti “costruttori”, per usare un termine mattarelliano, architetti del nostro futuro, probabilmente affratellati da un unico sentire, all’unisono col loro Presidente e mentore. Dalle loro mosse sarà presto evidente
l’orientamento del Governo dell’emergenza, nato nel momento in cui l’emergenza non c’era.

Saverio Craparo