IL CONTE DIMEZZATO

Il morbo infuria, il soldo manca, da qui nessun mi sbanca. Così doveva pensare il nostro improvvisato Presidente del Consiglio. Sbalzato inopinatamente ai vertici della politica italiana, sopravvissuto e risorto con altre vesti alla propria improvvisa caduta, maturata una certa esperienza, dotato di capacità di mediazione e non privo di cultura e scaltrezza, egli si è ad un certo punto ritenuto insostituibile. Dopo il prevedibile impaccio iniziale ed essersi liberato dell’ingombrate presenza del tracimante Matteo Salvini, Giuseppe ha spiccato il volo; non gli potevano certo fare ombra l’evanescente Luigi Di Maio ed il titubante Nicola Zingaretti: era rimasto l’unico gallo del pollaio, auspice anche la fuoriuscita di Matteo Renzi dal PD ed il suo ridursi progressivo ad un prodotto di nicchia.
È l’epidemia da Sars-cov-2 e conferire ha una ragione sociale al nuovo Governo e a permettere al Premier di mostrare spirito di decisione ed una gestione attenta della situazione creatasi e le sue quotazioni hanno iniziato a salire, come la sua popolarità, e questa è stata la causa dei suoi successivi errori. Prima di tutto un uso troppo disinvolto dei DPCM, strumenti emergenziali ed occasionali da maneggiarsi con cura perché non
necessitanti una validazione parlamentare. Il riemergere autunnale dell’epidemia ha messo in luce un po’ di improvvisazione e di indecisione, con provvedimenti che si sono succeduti in tempi strettissimi, quasi ad inseguire i dati giornalieri; i cittadini hanno visto un balenio di colori, di regole scritte e riscritte, di frettolose messe a punto ed in questo caleidoscopio hanno perso l’orientamento, costretti a chiedersi, ogni giorno quali
erano le prescrizioni cui erano soggetti; la fiducia è scemata e con essa il consenso.
Il nostro eroe, però, non ha annusato l’aria, fiducioso sulle sue considerazioni: non esiste alternativa a questa maggioranza, Italia Viva (si fa per dire) ed il Movimento 5 Stelle di tutto desiderosi tranne che di nuove elezioni, l’unicità della propria funzione di cerniera tra democratici e pentastellati e quindi la fiducia nella sua insostituibilità, l’emergenza sanitaria che non sopporterebbe una cesura nella catena del comando, l’urgenza della presentazione del Recovery Plan per entrare in possesso delle centinaia di miliardi di € messe a disposizione dall’Unione Europea. Tutte queste considerazioni lo hanno reso sicuro del proprio insediamento e quindi tracotante, inducendolo ad un clamoroso passo falso: la proposta di gestire da uomo solo al comando e con uomini di sua esclusiva fiducia e nomina, l’ingente quantità di risorse in arrivo, bypassando tutte le istituzioni. I cittadini si sono chiesti perché dovrebbero pagare strutture elefantiache e costose come gli apparati ministeriali, se poi questi a nulla servono se non ad intralciare burocraticamente la vita giornaliera. Ma soprattutto la proposta ha sollevato i malumori dei partiti di maggioranza, tutti, che si sono sentiti scavalcati e messi da parte; e si sa che la gestione del denaro a loro molto interessa, molto molto, anzi moltissimo.
Di queste perplessità e di questi mal di pancia si è fatto interprete Matteo Renzi, che con buon fiuto politico, ha colto l’occasione per porsi ancora una volta al centro della scena. Non capire subito di averla fatta fuori dal vasino e di avere pestato quello che è meglio non pestare ha costituito il secondo errore del nostro “avvocato del popolo”; sarebbe stato più saggio mangiare la foglia e fare una rapida e dignitosa marcia indietro, sul momento senza gravi danni. Non è stato così, ed il braccio di ferro col redivivo rignanese si è fatto via via più ultimativo, sino a prospettare un passaggio parlamentare di dubbio esito.
A questo punto i 5stelle, pur scontenti dell’ultimo operato del Presidente, hanno fatto quadrato intorno a lui, preferendo questo al responso delle urne. Ancora una volta il toscano risorto ha alzato la posta, ponendo come condizione ultimativa il ricorso al cosiddetto MES sanitario (36 miliardi di €), cui il Movimento è pregiudizialmente contrario. I democratici, impossibilitati a far cadere Conte come vorrebbero nel loro intimo per arrestarne la pericolosa ascesa, hanno scelto una via prudente: sono gli unici a non temere troppo le elezioni anticipate, ma nelle loro preferenze c’è una linea di un’attesa volta a rendere più solide le proprie fortune elettorali e a vedere erodere ancora un po’ quelle della Lega; quindi, lavorano per sostenere l’attuale Esecutivo,
ridimensionando, però, il ruolo di Conte. Spicca l’afasia di LEU.
Si troverà un compromesso, ma per raggiungerlo ognuno dovrà cedere qualcosa, Renzi ha già ottenuto quello che voleva, ovverosia la propria riconquistata visibilità, anche se è dubbio che questa si traduca in suffragi. Il Movimento 5 Stelle dovrà smorzare un po’ la propria ottusa intransigenza. Il Partito di Zingaretti aumenterà il proprio peso nel Governo, anche se è improbabile che ciò gli possa dare maggiore visibilità.
Sicuramente Conte dovrà rivedere i propri piani egemonici e abbassare la cresta, almeno temporaneamente.
Come rilevammo commentando la formazione di questa maggioranza ciò che la tiene insieme è la spartizione del potere e la distribuzione degli enti e delle autorità di garanzia e di governo del sistema. Il mancato accordo sulle quote di una politica spartitoria appropriativa è la sola ragione che può mettere in crisi l’alleanza.

La Redazione