L’EST EUROPA E LA PANDEMIA – IL RUOLO DELLA RELIGIONE

La pandemia ha unificato il mondo e al tempo stesso l’ha diviso più di quando sia mai stato tra ricchi e poveri, prova ne sia che a morire di covid sono più i poveri che i ricchi. Il virus e il contagio non guardano in faccia nessuno e non fanno distinzioni è vero, ma colpiscono in modo diverso a seconda delle possibilità di curarsi e dei sistemi sanitari ai quali si ha accesso. Molto dipende poi dalle misure di quarantena adottate e dalle modalità con le quali queste vengono gestite. A condizionarle sono i comportamenti sociali, e tra questi l’attitudine e le tradizioni religiose delle popolazioni che incidono sui modi nei quali si manifesta la socialità.
In questa situazione non v‘è dubbio che l’Est del continente europeo si trova in condizioni diverse rispetto ai paesi occidentali, anche se a riguardo poco ci viene detto per molti motivi. Eppure è importante saperlo per almeno due buoni motivi: l’inevitabile ripristino della circolazione delle persone, oggi limitato, e delle merci (che non si è mai
interrotto), richiede che l’epidemia venga domata anche ad Est se si vuole estinguerla. Inoltre il susseguirsi di morti ad occidente come ad oriente e il calo di nascite con un saldo passivo rispetto al numero degli abitanti, disertifica il continente, accentuando una tendenza alla diminuzione della popolazione a ritmi ben maggiori da quelli previsti prima della pandemia. Ciò accorcia i tempi di una tendenza già manifestatasi e comporta la trasformazione dell’immigrazione in una necessità per compensare il divario dal punto di vista economico e sociale, ma genera anche profonde trasformazioni di carattere economico e sociale.

Il ruolo sociale delle religioni e la pandemia

Tutte le religioni si caratterizzano per il possesso di una loro ritualità che si colloca all’interno dei valori e dei comportamenti tradizionali, stimolando comportamenti condizionati in modo particolare. In questi paesi i provvedimenti a tutela della salute adottati si sono dovuti confrontare con l’esercizio della libertà religiosa connessa alle peculiari caratteristiche della ritualità ortodossa, che è la religione maggioritaria, e quella che in ogni caso condiziona le cadenze sociali rituali e i comportamenti. Ciò ha portato alla necessità di tenere conto delle sue specificità per ciò che concerne la
celebrazione della messa e delle altre funzioni religiose, le festività e i pellegrinaggi che caratterizzano questo culto dovendo fronteggiare comportamenti profondamente radicati nei rapporti collettivi e nella tradizione.
L’emergenza sanitaria ha richiesto l’intervento delle autorità pubbliche, che hanno operato predisponendo provvedimenti unilaterali di divieto dell’attività religiosa collettiva e sospensioni dell’esercizio pubblico del culto in paesi che hanno riconquistato le libertà religiosa e il diritto di partecipare collettivamente e pubblicamente al culto da un tempo
relativamente breve. Inoltre in questi paesi non è stata del tutto abrogata la legislazione antireligiosa, ma soprattutto sopravvive nella prassi amministrativa il controllo del culto pubblico che caratterizzava i precedenti regimi ateisti.
Inevitabile quindi che i provvedimenti di contrasto alla pandemia siano stati vissuti sia dalla Chiese che da un numero rilevante di fedeli come un ritorno alla situazione precedente alla liberalizzazione dei culti, il che ha prodotto una certa resistenza all’accettazione delle misure emanate. Alcune Chiese hanno adottato,  responsabilmente e in autonomia, provvedimenti propri per intervenire sulle modalità del rito, modificandolo o disponendo l’adozione di apposite procedure, in modo da prevenire l’intervento statale e limitare il contatto tra i fedeli.
Le decisioni adottate non interessano solo per quanto è avvenuto e avviene nei paesi d’origine di queste confessioni, ma anche gli altri Stati, stante la diaspora ortodossa in tutta l’Europa occidentale e nel mondo, primi tra tutti i migranti provenienti dall’Europa Orientale e insediati nei paesi nei quali si sono formate comunità di credenti di queste
Chiese, le quali hanno dato vita a proprie strutture. In Italia, ad esempio gli ortodossi e in particolare quelli della Chiesa Ortodossa Rumena costituiscono la comunità religiosa più numerosa dopo quella cattolica.

Il rito nella religione ortodossa

La celebrazione dell’Eucarestia, che ricorda il sacrificio del Cristo, avviene nella Chiesa ortodossa con modalità particolarmente coinvolgenti, caratterizzate dalla condivisione di comunità dal punto di vista della dinamica rituale. Il pane predisposto per la comunione viene intinto nel calice del vino dall’officiante e da questi somministrato con un
cucchiaino al singolo fedele, utilizzando lo stesso cucchiaino per tutti i partecipanti al rito. Inoltre i fedeli ortodossi usano baciare le icone e le teche contenenti le reliquie, toccarle con il rischio del contagio. Comportamenti difficili da modificare e da sdradicare ed è per questo motivo che le due confessioni più numerose, la Chiesa Ortodossa Russa del Patriarcato di Mosca e la Chiesa Ortodossa Rumena hanno adottato comportamenti diversi.
La Chiesa Ortodossa Russa del Patriarcato di Mosca anticipando gli interventi legislativi del Governo russo ha adottato un protocollo che prevede la rigorosa sterilizzazione dei paramenti sacri, delle icone e delle teche e la somministrazione dell’Eucarestia con cucchiaini usa e getta, monouso, disponendo che tutti i materiali utilizzati vengano
smaltiti e distrutti per limitare la contaminazione e perché divenuti oggetto sacro e di culto. Malgrado queste decisioni assunte dal Sinodo di Mosca non sempre, in periferia nell’immenso paese, queste disposizioni sono state adottate e condivise; molti sacerdoti e vescovi tradizionalisti, quando non negazionisti, hanno continuato a celebrare i riti con le tradizionali modalità. Questi comportamenti sono stati in particolare assunti dalle Chiese auto-amministrate che dipendono dal Patriarcato di Mosca, (le maggiori: la Metropolia della Bielorussia, la Metropolia della Moldavia, la Metropolia dell’Ucraina). In quest’ultimo paese anche la contestata e discussa Chiesa Autocefala Ucraina si recente formazione ha mantenuto le forme tradizionali del rito.
Più complessa la reazione della Chiesa Ortodossa Rumena la quale ha accettato la decisione dello Stato rumeno che ha stabilito che tutte le funzioni religiose si svolgano all’aperto, rispettando il distanziamento. Alla legislazione emergenziale si è opposto l’Arcivescovo di Tomis, la più antica sede vescovile del paese, celebrando messa in chiesa, provocando l’intervento della polizia e soprattutto sostenendo e organizzando i diversi pellegrinaggi che avvengono in occasione di alcune festività solenni. Lo scontro si è prodotto a Iasi capoluogo della regione della Moldavia rumena, regione a nord del paese. Meno forte il contrasto da parte del Patriarcato rumeno in occasione della festa e del pellegrinaggio per il protettore di Bucarest e di grande rilievo mediatico quello nella provincia di Costanta sul Mar Nero per la festa di S. Andrea protettore di Romania e festa nazionale. Alle funzioni celebrate dal vescovo di Tomis hanno partecipato 300 fedeli a fronte dei tradizionali 6.000.
Lo scontro tra la Chiesa e lo Stato va letto nella prospettiva delle prossime elezioni previste per il 7 dicembre con il Partito liberale al governo che vieta o limita le manifestazioni religiose e l’Arcivescovo di Tomis che sostiene il Partito Social democratico. È diffusa fra i credenti la convinzione che i liberali siano peggio dei comunisti, in quanto a tutela della libertà religiosa, ma questo partito, conservatore in economia, condivide e sostiene divorzio, aborto, matrimoni gay ed eutanasia, guadagnandosi l’opposizione del clero quando non dei fedeli tradizionalisti.

Le conseguenze demografiche della pandemia

La pandemia con i suoi morti ha messo drammaticamente in luce lo stato di degrado assoluto della sanità in tutti i paesi dell’Est. Se è vero che in alcuni di essi sopravvive la sanità diffusa a livello territoriale, è anche evidente che l’emigrazione ha depauperato il patrimonio di professionalità e competenze, a causa dell’emigrazione di infermieri e medici alla ricerca di migliori retribuzioni e condizioni di lavoro. Le opportunità offerte dai piani di investimento europei di ristoro dall’epidemia potrebbero essere se accolti, un’occasione preziosa di intervento sul sistema sanitario per una sua ricostruzione, anche se sembra chi i maggiori appetiti dei governanti vadano verso investimenti di carattere più strettamente economico, non escludendo le sempre possibili ruberie.
In particolare i paesi più riottosi verso i programmi di solidarietà, Polonia e Ungheria hanno un sistema sanitario allo sfascio e necessiterebbero di profondi investimenti infrastrutturali per restituire alle popolazioni condizioni di vita accettabili. Questi paesi, attraverso le politiche demografiche adottate hanno tentato di invertire la curva di forte
decremento della popolazione fornendo aiuti economici e normativi alle famiglie, restrizione quando non divieto dell’aborto, sostegno alle famiglie numerose e tradizionali, ma hanno visto la popolazione diminuire a causa della migrazione, sia per le condizioni miserevoli nelle quali versa l’esercizio dei diritti civili, ma ancor più per i bassi salari.
Ora che i vuoti si aprono nelle popolazioni dei paesi occidentali con un saldo negativo tra morti e nuovi nati si ritiene che il fenomeno tenderà ad allargarsi, al punto che la tanto avversata emigrazione diventerà una necessità strutturale anche per questi paesi, mandando in tilt le politiche sovraniste.
Costituiscono un’avvisaglia significativa i migranti stagionali in crescita, peraltro necessari all’economia a causa delle rimesse di valuta che producono. Inoltre l’adozione del lavoro a distanza nei paesi colpiti dalla pandemia sta allargando la distanza tecnologica e strutturale nell’organizzazione del lavoro con i paesi dell’Est e i diversi bisogni dei mercati stanno riducendo gli effetti della delocalizzazione produttiva, oggi ritenuta sempre più non conveniente.
Tra gli effetti possibili della pandemia c’è quindi da attendersi una possibile inversione di tendenza sia nelle maggioranze politiche che negli equilibri di potere in una larga parte dell’Europa rispetto alla quale giocherà un ruolo importantissimo la gestione dei finanziamenti europei dalla quale Ungheria e Polonia rischiano di escludersi non volendo impegnarsi a rispettare lo stato di diritto

Gianni Cimbalo