Un gesuita contro la Curia

Il pontefice regnante è tra i più divisivi degli ultimi anni:odiato e considerato scismatico dai conservatori, osannato dai progressisti che vedono in lui uno dei pochi leader capaci di parlare ai popoli.
In questi giorni l’ennesimo scandalo travolge il Vaticano mentre il Papa è sotto attacco del Dipartimento di Stato USA per la sua politica di apertura alla Cina, Ma quello che sta avvenendo è qualcosa di più profondo e importante.
Quando Jorge Mario Bergoglio il 13 maggio 2013 venne eletto al soglio pontificio pochi fecero rilevare che per la prima volta nella storia la Compagnia aveva un proprio uomo a capo della Chiesa di Roma e che ora come mai prima la Compagnia di Gesù avrebbe posto a disposizione del Papa i propri uomini per combattere la battaglia che ha visto impegnati contro la Curia alcuni degli ultimi pontefici. Infatti pur essendo un sovrano
assoluto un pontefice che voglia veramente governare la Chiesa deve “domare” la Curia romana che condiziona pesantemente il funzionamento di quella macchina complessa che è l’amministrazione centrale della Chiesa di Roma e che da sembre è stata il ricettacolo delle peggiori attività del clero..
L’approccio di Bergoglio al problema è stato prudente, ma benché le sue azioni fossero di grande rilevanza non hanno destato allarme perché sono apparse come la naturale e inevitabile conseguenza di scelte effettuate dal suo predecessore Benedetto XVI il quale aveva sottoscritto il 17/12/2009 la “Nuova” Convenzione monetaria con la quale lo SCV, entro il 31/12/2010, aveva assunto l’impegno di adottare tutte le misure necessarie per adeguare il proprio ordinamento (art. 8):) agli atti giuridici dell’UE in materia di banconote e monete in euro. Accettava inoltre le direttive in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio di denaro, della frode e falsificazione di mezzi di pagamento ponendo così fine alle azioni criminali dello IOR in campo finanziario e speculativo (vedi: affare Calvi). Venivano emanate alcune leggi attuative e il Motu Proprio relativo alla “Prevenzione contrasto delle attività illegali in campo finanziario e
monetario”, istituendo gli organismi di controllo anti riciclaggio.
Perciò Francesco aveva potuto presentare come una necessità l’ampia riforma del sistema di leggi penali varata l’11 luglio 2013 completato dal Decreto XI dell’8 agosto, confermato con Legge n. XVIII, dell’8 ottobre 2013, recante norme in materia di trasparenza, vigilanza ed informazione finanziaria e dal Motu Proprio dell’8
agosto 2013 “La Promozione”, per la prevenzione e il contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo e della proliferazione di armi di distruzione di massa. Era sembrata così un’azione necessitata la messa a punto di una “nuova struttura di coordinamento degli affari economici e amministrativi” disposta con una legge del 24 febbraio 2014 alla quale aveva fatto seguito il 22 febbraio 2015 l’emanazione degli Statuti dei nuovi organismi economici. Si intendeva porre così fine ai comportamenti criminali, agli scandali finanziari che avevano caratterizzato le attività della Santa Sede e delle sue strutture economiche, porre un argine a quel mondo di faccendieri che da sempre gravitano intorno alle attività economiche ecclesiastiche Ora, una volta
messi in ordine gli aspetti normativi e istituzionali, il Papa poteva procedere iniziando a far pulizia nella Curia, a cominciare dalla” lobbies dei pedofili”.

Pulizia nella Curia

Il Pontefice ha provveduto a introdurre il reato di pedopornografia avviando un’indagini anche sui «legati pontifici ed il personale di ruolo diplomatico della Santa Sede», fino a quel momento esclusi dai controlli del quale la prima vittima illustre è stato monsignor Carlo Alberto Capella, addetto della Segreteria di Stato e accusato dalle autorità
degli Usa di pedopornografia, prontamente richiamato a Roma. Hanno fatto seguito poi le vicende di molti prelati, tra i quali il cardinale Pell, già Prefetto della Segreteria per l’economia dal 2014, giudicato colpevole di abusi sessuali su due minori di 13 anni dalla giuria della County Court dello stato di Victoria, in Australia e condannato il 13 marzo 2019 a una pena detentiva di 6 anni. C’è da dire che il cardinale, che si è sempre dichiarato innocente, ha presentato ricorso in appello], che è stato respinto e la condanna confermata. Se non che nel mese di novembre, alla luce di vizi formali nelle
procedure processuali segnalati dal giudice Mark Weinberg, la Corte Suprema dell’Australia lo ha scandalosamente prosciolto e rilasciato dopo più di un anno d’incarcerazione, rilevando l’esistenza di un dubbio ragionevole sulla sua
colpevolezza. Da notare che il Cardinale Pell nel suo incarico è stato sostituito dal Consigliere Generale della Compagnia di Gesù, padre Guerrero Alves nella carica di Prefetto della Segreteria per l’Economia Consigliere Generale e Delegato del Padre Generale per le opere e le case affidate dalla Santa Sede a Roma, il che vuol dire amministrare l’immenso patrimonio immobiliare della Chiesa a Roma.

Il caso del cardinale Becciu

Oggi ill recente scandalo che ha coinvolto il Cardinale Becciu e il suo entourage s’inserisce nella “guerra” in corso tra le diverse cordate presenti in Curia. Era stato proprio Pell, nel 2014, ad avanzare le prime domande e i primi dubbi sulla principale operazione patrocinata da Becciu dell’acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra, affermando che era stata utilizzata una procedura quanto meno “anomala”. Il fatto vero è che ogni Congregazione della Curia dispone di un fondo a disposizione del titolare che questi gestisce come meglio crede, si presume per le necessità connesse alla carica, e in questo Becciu è stato estremamente disinvolto tanto più che i fondi a disposizione della segreteria di Stato sono quelli di gran lunga più cospicui e si alimentano con l’Obolo di San Pietro (frutto della raccolta delle offerte a favore della sede apostolica in tutto il mondo, istituito dopo la presa di Roma del 1871),
Utilizzando la propria discrezionalità aveva affidato al finanziere Enrico Grasso che agivano di concerto con agli speculatoritro i quali Mincione e Torzi., una vera banda di criminali e personale di Curia, la gestione del suo “tesoretto” di 660 milioni di dollari, utilizzato per speculazioni finanziarie che hanno prodotto bassi profittima tanti denari per i diversi attori coinvolti. Inoltre Becciu ha gestito pro familia una serie di risorse
canalizzate verso attività svolte dai suoi fratelli.Francesco sembra aver approfittato del fattaccio per rimettere in discussione la disponibilità dei fondi autonomi delle diverse Congregazioni, per ricondurle sotto il suo controllo, almeno dal punto di vista contabile: insomma il Papa aggredisce il problema della riforma della Curia, iniziando dalle sue disponibilità economiche, destreggiandosi tra le diverse cordate di Cardinali e intanto
ristruttura l’assetto finanziario della Santa Sede.
Ancora il disegno non è chiaro ma sembra di voler concentrare nelle mani dell’APSA (Amministrazione Pontificia Sede Apostolica) la gestione non solo del bilancio della Città del Vaticano che al momento costituisce il suo compito principale, insieme alla gestione dell’immenso patrimonio immobiliare presente a Roma, ma anche i proventi derivanti dall’Obolo di San Pietro, nonché le partecipazioni azionarie e finanziarie,
ovvero le attività finanziarie ora concentrate nell’ IOR (Istituto Opere di Religione). Questa scelta comporta la trasformazione della APSA in una sorta di Banca centrale dello Stato che, a Statuto rinnovato, resterebbe sotto la gestione di monsignor Galantino, un altro fedelissimo del Papa.

L’attacco americano a Bergoglio

Ma questo non è il solo problema di Bergoglio che assumendo il suo incarico ha portato con sè il proprio bagaglio, la propria formazione e visione della missione evangelica della Chiesa, che non era solo frutto di formazione culturale personale, ma la sintesi di un’esperienza di secoli. In particolare, provenendo, come disse nel suo primo discorso, dalla periferia del mondo, egli era l’uomo più distante dalla Curia romana, da quella struttura spesso dedita ad affari inconfessabili nella quale si concentrava e si concentra il potere della Chiesa Cattolica Romana. Come gesuita, Bergoglio era portatore di una visione particolare del rapporto con la periferia del mondo, elaborata dalla Compagnia di Gesù e da Matteo Ricci che fu tra i primi padri ad insediarsi stabilmente in Cina. Ciò significa che la Chiesa, nell’accostarsi alle altre culture, non deve operare per colonizzare e assimilare alla cultura occidentale gli altri popoli, ma radicarsi nelle altre culture e portare il seme della fede. Questa impostazione caratterizza profondamente la sua Enciclica “Laudato sii”.
Coerente con questa impostazione Bergogio, divenuto Francesco, si è fatto carico di portare questi principi nell’opera di evangelizzazione della Chiesa cattolica, ovunque nel mondo, per potersi confrontare con le altre religioni, creando dei ponti culturali con le culture locali. Questo approccio ha fatto si che il pontefice riponesse particolare cura alla presenza della Chiesa cattolica in Cina, dove dal 1600 cerca di costruire una
propria significativa presenza, continuando del resto a seguire le scelte degli ultimi Pontefici.

La Chiesa cattolica e la Cina

Nel paese ufficialmente sono presenti circa 4 milioni di fedeli aderenti all’«Associazione patriottica cattolica cinese», la sola Chiesa cattolica pienamente riconosciuta dal Governo, ma nel paese esiste anche una Chiesa cattolica clandestina, altrettanto consistente, per un totale di circa 9 milioni di fedeli. Mentre la Chiesa ufficiale ha un proprio Statuto approvato per legge, quella clandestina ha da tempo una propria gerarchia nominata da vescovi itineranti che operano clandestinamente nel paese sull’esempio di quanto avveniva in tutti i paesi dell’Est dopo la seconda guerra mondiale. Da tempo la diplomazia vaticana ha aperto un dialogo sulla nomina
dei vescovi che costituisce questione controversa tra le parti, in quanto il Governo cinese pretende di controllarne la nomina.
In tempi recenti il dialogo con le autorità di quel paese, inizia con Messaggio ai cattolici in Cina che Giovanni Paolo II pronunciò mentre era a Manila, nel 1995, alla quale seguì la Lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI, nel 2007e poi all’«accordo provvisorio» tra Cina e Santa Sede nel 2018 a proposito della procedura per la nomina dei vescovi. Da parte cinese la principale preoccupazione del Governo è stata quella di mantenere le religioni sottomesse alle politiche del Partito, anche se a periodi d’inasprimento, come quello attuale, si sono alternati periodi di distensione. Questo atteggiamento ha limitato l’attività della Chiesa in Cina, e a maggior ragione quella dei cattolici «ufficiali», proprio in un tempo nel quale, per rispondere a sfide quali la secolarizzazione, da un lato, e il ritorno al confucianesimo come supporto del nazionalismo dall’altro, essa avrebbe bisogno della più grande libertà.
La trasformazione dell’accordo provvisorio in definitivo è cruciale per la vita della Chiesa in Cina perché rende possibile per tutti i vescovi cinesi di essere in comunione con il Papa e per milioni di fedeli cattolici di far parte di un’unica comunità. Con questo atto, infatti, le parti hanno concordato il metodo per giungere a una soluzione condivisa: la Santa Sede accetta che il processo di designazione dei candidati all’episcopato avvenga dal basso, dai rappresentanti della diocesi, anche con il coinvolgimento
dell’Associazione patriottica, mentre il Governo cinese, da parte sua, accetta che la decisione finale, con l’ultima parola sulla nomina, spetti al Pontefice e che la lettera di nomina dei vescovi sia rilasciata dal Papa.

Il disappunto degli USA

La prima conseguenza di questa decisione è che così operando Papa Francesco riammettere nella piena comunione ecclesiale anche i rimanenti vescovi “ufficiali”, ordinati senza mandato pontificio.
L’accordo definisce quindi anche i termini della legittimazione canonica dei sette vescovi che erano stati ordinati senza l’approvazione del Papa (compresi quelli per i quali era stata dichiarata la pena della scomunica).
È la prima volta che la Repubblica Popolare Cinese riconosce il ruolo del Pontefice come guida spirituale e gerarchica della Chiesa.
La sottoscrizione dell’accordo fa piazza pulita degli slogan soprattutto statunitensi che denunciano la violazione dei diritti umani e della libertà religiosa in Cina e prelude all’instaurazione di relazioni diplomatiche tra Pechino e la Santa Sede. Del resto risale all’inizio del pontificato di Francesco l’istituzione di una Commissione bilaterale di lavoro. Dal giugno 2014, le delegazioni, incaricate di studiare soluzioni ai problemi
che hanno reso anomala la condizione del cattolicesimo cinese si sono riunite decine di volte, con sessioni ospitate di volta in volta a Roma o a Pechino. Così operando la Santa Sede ha seguito una prassi adottata sotto diverse forme con i Governi di molti Stati.
Per scongiurare questa scelta si è recato in missione in Vaticano Pompeo, segretario di Stato USA per conto di Trump, sollecitato dai cristiani evangelici fondamentalisti e dagli ambienti cattolici conservatori americani. Ma non è stato ricevuto in Vaticano dal Papa, ma dal cardinale Segretario di Stato vaticano Parolin e dall’arcivescovo segretario per i rapporti con gli Stati Gallagher, principali artefici dell’accordo con la Cina. Il motivo: in tempo di elezioni il Pontefice non riceve politici, a ridosso di scadenze elettorali, in questo caso le presidenziali Usa, perché si astiene dall’intervenire negli affari interni degli Stati.

Gianni Cimbalo