Primo: parla di ciò che conosci

Se i cinque stelle dovessero attenersi a questo “comandamento” sarebbero destinati ad un silenzio perpetuo. Il muso ispiratore del movimento è quel tale Beppe Grillo che è difficile stabilire se facesse più ridere da comico o da politico. A suo tempo ha scambiato la sua indubbia capacità di denunciare con vigore e sagacia le magagne di un sistema che tante e macroscopiche ne presentava, con quella di porvi rimedio. Il successo elettorale si è basato su parole semplici ed efficaci, ma nel contempo semplicistiche e prive di presa reale sui problemi da risolvere. Ma tant’è, rendere apparentemente facili situazioni in realtà molto complesse appaga un elettorato ormai disabituato ad approfondire, a dibattere, a interpretare i fatti. Finché Grillo ha abbaiato, favorito dal comportamento indecente di una classe politica decisamente impresentabile, le cose hanno viaggiato, ma conseguita un’inaspettata maggioranza si è posta la necessità di tradurre in atto le combattive parole d’ordine.
Il branco di mangiatori di tonno, raccolti alla bell’e meglio ed impreparati a tutto, hanno innestato un passo di marcia baldanzoso, convinti di avere per decreto “abolita la povertà”. Ma le prime disillusioni degli elettori non hanno tardato a presentarsi (TAP, TAV, etc.) e le fortune elettorali rapidamente sono declinate. A fronte del disastro verificatosi nelle urne alle recenti elezioni regionali, la “compagnia malvagia e scempia” si è rifugiata sul parziale successo conseguito nel referendum istituzionale. È bene ricordare la materia del contendere, per poi commentare le “deduzioni” che improvvidamente ne hanno tratte i nostri eroi.
L’idea fu partorita a suo tempo da Licio Gelli, venerabile maestro della Loggia massonica Propaganda 2: ridurre il numero dei parlamentari. Scambiando la qualità con la quantità (e non perché consapevoli del salto dialettico di hegeliana memoria, che casomai funzionerebbe al contrario), invece di sforzarsi per primi di formare la classe dirigente, hanno pensato che meno parassiti avrebbero fatto meno danni. È sfuggito al loro “intuito” che un numero minore di seggi avrebbe aumentato il potere di controllo delle segreterie di partito, cosa di cui il vecchio Licio era ben consapevole. L’obiettivo è stato perseguito caparbiamente, ricattando i due opposti alleati avvicendatesi al governo, e la legge costituzionale è passata plebiscitariamente, cosa che lasciava
presagire una valanga di consensi al successivo referendum confermativo; quasi un elettore su tre ha dato loro torto. Non fu un vero e proprio successo, ma a cosa altro attaccarsi?
Già un movimento che dichiara apertamente e costantemente di non essere né di destra né di sinistra lascia molto a desiderare da un punto di vista politico. Così dimostra di ignorare le cose più elementari e scambia i principi fondanti con i partiti, che degnamente o molto più spesso indegnamente, li hanno storicamente incarnati. Si è di sinistra se si propende per una forma sociale basata sulla solidarietà tra i suoi
componenti e si è di destra se si pensa ad una società (se è lecito così definirla) in cui gli individui perseguono il proprio vantaggio anche se questo va a svantaggio degli altri.
Se questa è la base dell’analfabetismo in cui i miseri sguazzano, le recenti dichiarazioni del loro guru varcano la soglia dell’indecenza. Vediamo e analizziamo punto per punto quanto affermato. Prima di tutto che “lui” non crede più nella democrazia parlamentare e, visto che non pare abbia intenzione di rimettere in discussione l’assetto sociale esistente con le sue evidenti sperequazioni, non si capisce da dove dovrebbe
scaturire il governo, che non viene messo in discussione e si presume che dovrebbe sopravvivere a tali drastiche riforme. Come diceva Churchill, la democrazia parlamentare è una forma piena di manchevolezze, ma senza dubbio quella migliore, laddove si accetti e si permanga nella struttura sociale borghese basata sulla proprietà
privata. Ma si chiederà Grillo: “Churchill, chi era costui?”
Seconda affermazione: “i parlamentari non vanno eletti, ma estratti a sorte” (ma il parlamento non era inutile?). Perché dovremmo spendere per un’istituzione inutile, composta da persone non preparate al proprio ruolo, magari il macellaio dell’angolo sotto casa o il barbiere del quartiere, bravissimi professionisti ma ignari
di legislazione (se non dei propri interessi perseguiti culturalmente in privato) e di capacità ammnistrative. È vero che ciò capita anche ora, ma di ciò possiamo fare colpa ai partiti che li presentano e a coloro che li sorreggono con il voto. E se poi, per mala sorte, venisse estratto un perfetto conoscitore di leggi e di scienze dell’amministrazione, che ha provveduto a far fruttare ingenti patrimoni, ma che lo ha fatto perché affiliato a
qualche cosca della malavita organizzata?
Ma la perla delle perle e la rivendicazione della “democrazia diretta” in salsa grillina. Poiché il referendum non è andato così male (poteva andare meglio e così si sperava vista la bassa demagogia che implicava, ma bisogna contentarsi !), esso diviene il modello da proporre. Ora noi comunisti anarchici che di democrazia diretta siamo esperti, perché è un nostro cavallo di battaglia da oltre un secolo e mezzo, ci
permettiamo di dissentire. Il modello referendario è distante anni luce dalla democrazia diretta. Prima di tutto in quanto non si capisce chi sarebbe legittimato a proporre i quesiti da sottoporre a consultazione, senza contare poi che la loro formulazione non è mai asettica. In secondo luogo, la scelta binaria (sì o no) appiattisce infinitamente l’articolazione delle varie sfaccettature dei problemi sotto esame, non permette l’accurata analisi necessaria per capire le implicazioni che dai risultati scaturirebbero.
Infine, il punto centrale. Nel referendum ogni cittadino viene chiamato a barrare una casella, a premere un tasto in perfetta solitudine, al limite senza scambiare alcuna opinione con altri, formandosene una in assenza di ogni confronto, di un qualsiasi arricchimento; in ultima analisi, lungi dall’essere un elemento di rifiuto della
delega si tramuterebbe in una delega più pronunciata per un gruppo di potere, emanazione di nessuno e autonominato.

La democrazia diretta

Caro Grillo, la democrazia diretta è ben altra cosa, nasce dal basso, da gruppi di cittadini uniti dalla comune permanenza in un luogo di residenza, dal raggruppamento in un luogo di lavoro, dall’affinità dei bisogni da soddisfare; le loro decisioni si compongono con quelle degli altri gruppi per deleghe sottoposte al vaglio dei
risultati che nelle assemblee di più alto livello vengono raggiunti, deleghe quindi vincolate e revocabili. Quelle decisioni sono frutto di appassionate discussioni collettive, di scambi vivaci di opinioni che si fondono in visioni collettive più ampie ed approfondite. Cantava Giorgio Gaber: “democrazia è partecipazione”. Ecco, la
democrazia diretta è il livello più elevato di partecipazione, quella partecipazione che il modello referendario rende del tutto impossibile, divenendo pertanto una vera negazione della democrazia diretta.

Saverio Craparo