Uso il virus e ti fotto

Già con la legge 22 maggio 2017, n. 81 relativa alle “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” il legislatore italiano si era reso conto delle potenzialità del cosiddetto smart working e al suo interno, con gli articoli 18 e seguenti, aveva regolamentato il cosiddetto “lavoro agile” che ne costituisce un aspetto, quello .certamente più appetibile e interessante per i datori di lavoro in quanto potenzia a dismisura lo sfruttamento del lavoratore, peggiorando le prestazioni lavorative sotto molteplici profili.
Dispiace che sociologi del lavoro, peraltro apprezzabili, come Domenico De Masi si affannino a magnificarne la modernità e i vantaggi sintetizzabili nella considerazione che tale pratica di lavoro limita la necessità di spostamenti per raggiungere i posti di lavoro, riducendo l’inquinamento, consente una prestazione lavorativa più”comoda”, da la possibilità di recuperare tempo-vita da dedicare alla famiglia o a se stessi, ecc.
E tuttavia c’è da domandarsi a vantaggio di chi e a quali costi le “magnifiche sorti” del lavoro futuro si realizzano.
Per entrare nel merito occorre prioritariamente chiarire che il lavoro agile è una modalità di lavoro che si svolge in parte in azienda e in parte all’esterno. Il datore di lavoro e il lavoratore per accedervi – stabiliva la legge citata – avrebbero dovuto siglare un accordo scritto che disciplina la prestazione lavorativa svolta al di fuori dell’azienda.
Avrebbe dovuto essere consentita la volontarietà del lavoratore e la possibilità di recesso dall’utilizzare questa modalità di prestazione lavorativa In particolare l’accordo avrebbe dovuto regolamentare i tempi di riposo e un orario di lavoro che non può
superare quello previsto dal Ccnl, sancire il diritto alla disconnessione, stabilire il trattamento economico e normativo che non può essere inferiore o diverso da quello applicato ai lavoratori che svolgono la stessa mansione. L’accordo avrebbe inoltre dovuto elencare gli strumenti forniti in dotazione al lavoratore/trice a carico del datore di lavoro e stabilire quali sono le condotte sanzionabili a livello disciplinare; prevedere le attività di formazione e indicare quali sono le fonti di rischio per la salute.

Legislazione emergenziale e ristrutturazione del rapporto di lavoro

Con l’emergenza Covid- 19, queste garanzie sono venute meno e sono state introdotte numerose innovazioni in materia tutte a svantaggio del lavoratore/trice. I provvedimenti adottati hanno stabilito che l’attività lavorativa da casa costituirà la regola anche dopo il 4 maggio, e dunque per il Governo non è più necessario l’accordo. Il Governo è
intervenuto sulle modalità di accesso allo smart working, introducendo una versione semplificata e regolamentata, estendibile per l’intera durata dello stato di emergenza ad ogni tipo di lavoro subordinato su tutto il territorio nazionale.
In particolare il Dl 18/2020 ha introdotto il diritto allo smart working in favore di dipendenti con disabilità gravi o che hanno in famiglia una persona in tali condizioni, diritto che viene limitato dalla compatibilità tra l’attività da svolgere e il lavoro agile. Inoltre è stata introdotta la priorità anche per i dipendenti con gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa. Inoltre il diritto di accesso al lavoro a distanza e le priorità sono state estese ai lavoratori immunodepressi ai familiari e ai conviventi, una volta entrata in vigore la legge di conversione del Dl 18/2020, già approvata dal Parlamento. Questo provvedimento viene adottato facendo presumere di andare incontro alle esigenze dei lavoratori ma in realtà per far digerire l’imposizione senza contrattazione del cosiddetto lavoro agile.
Rispetto alla legislazione previgente vengono introdotte presunte nuove tutele relative all’orario di lavoro da calcolarsi nei limiti di durata massima dell’orario giornaliero o settimanale, garanzie sulle condizioni ambientali di lavoro che di dice “devono essere adeguate” senza specificare cosa ciò significhi. Sono previste dotazioni informatiche aziendali o del lavoratore – se d’accordo – e la formazione e certificazione delle competenze.

Le modifiche al “lavoro agile” introdotte con i provvedimenti Covid

Scendendo ancor più nel concreto il Decreto del presidente del Consiglio dei ministri proroga il quadro normativo in vigore dalle prime settimane di esplosione del contagio, con la possibilità:

per i datori di lavoro privato di ricorrere al lavoro agile senza accordo con il dipendente e assolvendo in modalità telematica e semplificata il compito di informazione in materia di salute e sicurezza, riducendo così oneri e responsabilità del datore di lavoro. Confermata la possibilità di ricorrere al lavoro agile senza accordo tra le parti, pur nel rispetto di tutte le altre disposizioni della legge 81/2017 che regola questa modalità lavorativa, si afferma che il lavoro a distanza continua a essere favorito anche nella fase di progressiva riattivazione del lavoro in quanto utile e modulabile strumento di prevenzione, trasformando così il provvedimento temporaneo in strutturale, stabilendo tuttavia che il datore di lavoro deve fornire adeguate ma non meglio specificate condizioni di supporto al dipendente per quanto riguarda l’utilizzo dei
dispositivi utilizzati i tempi e le pause dell’attività.

Per il settore pubblico, invece, si rinvia all’articolo 87 del decreto legge 18/2020 in base al quale lo smart working è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni. Infatti, nel comparto pubblico il lavoro da remoto è un modello, più che una scelta e a questo riguardo, nel corso della conversione in legge del DI “Cura Italia”, è stato introdotto l’articolo 87 bis in base al quale può essere aumentato del 50% il valore delle convenzioni quadro Consip per l’acquisto di personal computer e tablet da fornire ai dipendenti.
In effetti, sempre l’articolo 87 consente che l’attività da casa sia svolta anche con dispositivi non delle amministrazioni, anche se questi possono non essere adeguati e comunque causare problemi di sicurezza delle connessioni dei dati scambiati, ponendo così a carico dei dipendenti, sia il costo della strumentazione di lavoro che quello
della connessione e i costi aggiuntivi derivanti da tale modalità di lavoro

Il diritto alla disconnessione

Le disposizioni contenute nel DPCM rimandano, formalmente, al rispetto di tutte le regole previste dalla legge 81/2017, tra cui il diritto alla disconnessione che è da considerarsi come rimedio per gli effetti negativi che può provocare lo smart working sulla salute e sul benessere di chi lavora. I lavoratori che svolgono la propria attività connessi senza interruzione, si espongono infatti a rischi per la salute sia fisica che mentale e possono incorrere più facilmente in patologie più o meno gravi, sia da stress che per quanto riguarda vista e udito. Pertanto la disconnessione dovrebbe dare
concretezza al diritto del lavoratore a interrompere qualsiasi tipo di contatto con il supporto informatico senza nessuna conseguenza disciplinare. Bisogna infatti considerare che i tempi di lavorazione, le pause, la durata delle prestazioni il
ritmo di lavoro sono informaticamente verificabili dal datore di lavoro in modo costante e penetrante, certamente invasivo, grazie al libro-macchina di ogni dispositivo elettronico..

Lavoro agile e lavoro a cottimo: un regalo al padrone

Sotto il profilo della struttura del rapporto di lavoro lo smart working rischia di essere utilizzato per reintrodurre il lavoro a cottimo, che aumenta a dismisura i tempi di lavoro, a scapito di quelli di vita, senza nessun riconoscimento economico. Il lavoro agile, oltre a creare problemi di tempistica lavorativa, è proiettato verso un aumento della
produttività a costo zero e servirà a far risparmiare il datore di lavoro in termini di costi fissi che ricadono sul lavoratore.

Limiti della legislazione emergenziale e garanzie per i lavoratori.

A prima vista la legislazione emergenziale emanata dovrebbe avere una validità temporanea limitata al periodo di crisi ma la struttura del citato art 87 e 87 bis fanno pensare a una misura a tempo indeterminato. Da ciò deriva che l’intera materia verrebbe regolata unilateralmente al di là di qualsiasi contrattazione sindacale e a prescindere dai Cnl espropriando i diritti di lavoratrici/tori e delle organizzazioni sindacali.
Verrebbero così introdotte, con il pretesto dell’emergenza, un aggravamento delle condizioni di lavoro, una compressione dei diritti scaricando maggiori oneri sui lavoratori. Infatti l’orario di lavoro sarebbe a totale discrezione della parte datoriale in quanto il diritto alla disconnessione non mette al riparo da richieste, interrogazioni, quesiti, chiamate di intervento da parte datoriale o conseguenti al rapporto gerarchico che interconnette la prestazione lavorativa con la conseguenza che parte datoriale verrebbe a “possedere” il tempo vita del lavoratore.
Inoltre occorre considerare che il lavoratore è chiamato a svolgere la propria prestazione in ambienti di sua pertinenza, certamente inadeguati a una prestazione lavorativa, in quanto a spazi e agibilità, addossandosi così i costi fissi del datore di lavoro che normalmente dovrebbe mettere a disposizione ambienti e strumenti di lavoro. A proposito di questi ultimi l’obbligo di utilizzare i propri e in ogni caso di provvedere ai costi della connessione in rete, l’utilizzo di strumentazioni non protette esporrebbe il lavoratore ad azioni di rivalsa per violazione delle norme sulla privacy e
responsabilità nella diffusione di dati personali e/o riservati da parte di terzi. In ogni caso il lavoro da remoto esonererebbe di fatto dall’onere del servizio di mensa il datore di lavoro in caso di utilizzazione di lavoro ad orario continuato. E si potrebbe continuare….
Come si vede un buon affare per la parte datoriale.

Il diritto alla contrattazione

Per far fronte a questa situazione il primo provvedimento da richiedere è che le norme adottate decadano con la fine della fase emergenziale il 1 agosto 2020 e che l’intera materia divenga oggetto di una serrata contrattazione sindacale che coinvolga lavoratrici e lavoratori pubblici e privati, adeguando le tutele sia dal punto di vista normativo che salariale alle nuove condizioni di lavoro richieste, provvedendo a monetizzare il diritto di mensa in relazione all’orario di lavoro, a monetizzare l’utilizzo del proprio domicilio come luogo di lavoro, ad addebitare costo manutenzione degli strumenti di lavoro e connessione alla parte datoriale e soprattutto mettendo a punto strumenti di controllo normativo sia in relazione alle attività di controllo di parte datoriale del diritto alla privacy, alla disconnessione, al recupero di un proprio tempo vita.
Rocco Petrone