Giggino nel deserto

Il ritiro dell’Inghilterra dall’Europa ha coinciso, e non a caso, con una riunione della Nato che ha sancito il ritiro degli Stati Uniti dal Mediterraneo. In questo nuovo scenario gli inglesi sono destinati ad agire come sub agenti degli Stati Uniti senza averne la forza e non potendo contare più né su Malta rimasta nell’Unione, né su Gibilterra, ridotta ormai a
una enclave in Spagna e in Europa. L’ha capito perfino Boris Johnson che pure sogna il rilancio delta potenza del paese: questa nuova situazione spalanca le porte del Mediterraneo all’influenza russa e dall’altro alla Turchia e all’Egitto.
Il Mediterraneo diviene sempre più il ”mare bianco di mezzo” come lo chiamano gli arabi, aperto agli interessi extra europei: se ne sarà accorto il Ministro degli esteri italiano in trasferta veloce in Libia?
I cronisti al seguito della sua fugace missione – la prima visita dopo quella fatta in maggio da Salvini, allora facente funzione di tutto – ci hanno raccontato poco delle vicende di quel disgraziato paese e ancor meno della visita di Giggino; è opportuno chiedersi cosa ha visto e cos’ha  capito!

La Guerra per il controllo del Mediterraneo

Incontrando Fayez al Sarraj, il boss che cerca di comandare a Tripoli, avrà capito di trovarsi di fronte al percettore degli aiuti italiani che gestisce i lager libici, ma è sostenuto dai turchi, i quali inviano armi e schierano soldati sul campo, insidiando nel contempo le attività petrolifere italiane, sia in Libia che nel Mediterraneo?
Si sarà informato su come il pizzo pagato dall’Italia per contenere le partenze dei migranti-schiavi viene diviso e gestito dai criminali della guardia costiera libica? Convinto com’è che le ONG sono i taxi del mare per migranti, avrà capito che nel paese c’è la guerra civile e che i migranti li intrappolati sono incarcerati come schiavi in centri di detenzione gestiti dagli “amici dell’Italia” e tenuti su con parte dei finanziamenti italiani?
Dubitiamo motivatamente!
Spostandosi a Bengasi, ospite del generale Khalīfa Belqāsim Ḥaftar, già agente degli Stati Uniti e ora imprenditore in proprio, sostenuto dai Russi e alleato dell’Egitto, avrà capito la contraddizione costituita dai rapporti d’affari tra Eni ed Egitto relativamente allo sfruttamento dei giacimenti nel mediterraneo orientale in funzione anti turca e l’ostilità di Haftar alla presenza Eni in Libia e ai suoi rapporti privilegiati coi francesi? E ancora dove colloca l’Italia il Ministro nei rapporti con gli Emirati, l’ Arabia Saudita, il Qatar e la presenza di questi paesi sullo scacchiere libico?
Abituati a vedere all’opera l’attuale Ministro degli esteri dubitiamo fortemente che egli sia in grado di affrontare anche uno solo di questi problemi, ma quello che più ci impensierisce è se sarà in grado di capire che nei nuovi equilibri creatisi all’interno della Nato, che vedono crescere la forza di condizionamento turca e il ruolo di gendarme nell’area degli interessi anglofoni svolto dall’Inghilterra, ritornino in auge le tentazioni di ricorrere a politiche di condizionamento autoritario dei paesi dell’alleanza il che vuol dire fuor di metafora che la Nato riprenderà a svolgere impunemente quel ruolo di gendarme della reazione che ha svolto nel secolo scorso, finanziando e sostenendo eserciti occulti tipo “Gladio” di intervento negli affari interni dei paesi come l’Italia che fanno parte dell’Alleanza Atlantica.
A fronte della sua insipienza e inconsistenza politica sarebbe opportuno che l’attuale titolare del dicastero della difesa, magari accampando come motivazione di doversi dedicare alla direzione della sua forza politica, decidesse di lasciare il posto che occupa, con incompetenza manifesta: non basta a giustificarne la presenza la pretesa di avocare al suo ministero l’attuazione della politica commerciale del paese, soprattutto considerando che al Ministro degli Esteri sono abitualmente attribuiti compiti ben più complessi che le sue fragili spalle non sono in grado di reggere.

La Redazione