Emergenza continua

Mentre il teatrino della politica si lascia travolgere dalle liti all’interno di una alleanza di governo rissosa e impegnata a scalare posizioni a tutto svantaggio dei partner di governo e l’opposizione si spartisce i resti di Forza Italia e la componente genuinamente fascista dello schieramento scala le posizioni dei razzisti-sovranisti della Lega che si trasforma in partito personale del suo Leader. Intanto il paese degrada sempre di più, corroso dalle emergenze.
Ad essere toccati sono tutti i campi e i settori:
• C’è un’emergenza occupazione, certamente sottovalutata della quale nessuno si preoccupa: manca il lavoro, e quello che si trova è sottopagato e precario, privo di tutela anche minima. Ne fanno le spese i diritti e le aspettative di vita al punto che 350 mila italiani, soprattutto giovani prendono ogni anno la strada dell’emigrazione. Si tratta in gran parte di persone dotate di un titolo di studio che sono costati in formazione al sistema paese non meno di 250 mila euro pro-capite. Si impoverisce così il mercato del lavoro e il sistema paese.
• Sono aperte almeno 170 crisi aziendali, a riprova di quanto sia ampio il processo di
delocalizzazione e ristrutturazione del mondo produttivo, senza che nulla sia stato fatto, come è avvenuto in altri paesi, per ostacolare almeno la redistribuzione selvaggia del lavoro attraverso delocalizzazioni di imprese anche all’interno dello spazio U. E.
• Esiste una crisi sanitaria – quella della città di Taranto – dove la popolazione, a cominciare da quella infantile, muore senza nemmeno assistenza sanitaria efficiente che riconosca il danno ambientale e le persone sono costrette a scegliere tra il lavoro incerto e la morte di se stessi dei propri figli e del territorio. Il sud del Paese dispone di un n sistema sanitario inefficiente e lacunoso.
• Esiste un’emergenza giustizia, presentata come legata all’introduzione del blocco della prescrizione e necessità di garantismo, ma in realtà costituita dall’esplosione della presenza criminale della ‘ndrangheta nella vita politica che non risparmia la Val d’Aosta come il Piemonte, come la Calabria e ogni altra regione e contrada d’Italia.
• Mentre la restituzione dei 49 milioni di furto della lega vengono scaglionati in 80 anni e si indaga sui maneggi di fondazioni messe in piedi da politici rampanti c’è ancora qualcuno che osa parlare di emergenza emigrazione, quando un tribunale si ricorda che un ex ministro potrebbe aver commesso un reato.
• I banchieri continuano impunemente a truffare i risparmiatori e a speculare e scaricano il dissesto creato sulla finanza pubblica e sulla fiscalità generale, collusi come sono con la politica alla quale chiedono protezione e con la quale fanno affari.
• Il dissesto geologico distrugge il paese che non riesce né a creare le infrastrutture necessarie né a mettere in sicurezza l’esistente ma passa di emergenza in emergenza, mentre sono ancora aperte le emergenze create dagli ultimi terremoti, dai grandi inquinamenti.
E questi sono solo i problemi più evidenti che la classe politica si guarda bene dall’affrontare mentre il paese viene chiamato a votare in un referendum confermativo sul taglio del numero dei deputati a 400 dagli attuali 630 e dei senatori a 200 dagli attuali 315: in tutto si tratta di 345 seggi eliminati: una riforma demagogica del cazzo dove il referendum costa più del risparmio! Oppure gli viene chiesto di pronunciarsi ancora una volta a favore del maggioritario con un referendum prossimo venturo dopo che ha detto più volte che il maggioritario non lo vuole. Si usa insomma un mixer di emergenza e falsi problemi come arma di distrazione di massa.
Per sconfiggere questa strategia è necessario un cambio di passo che deve essere caratterizzato dalla scesa in campo di tutti i consociati, ovvero di tutti coloro che abitano un territorio, non solo proponendo la fisicità del proprio corpo come alternativa alle proposte politiche giocate esclusivamente sui social e dando vita a piazze virtuali o reali che siano, esprimendo partecipazione o sfogando la propria rabbia contro tutti, perché ambedue questi comportamenti non compromettono ne impegnano nessuno.
Bisogna misurarsi su delle proposte credibili e percorribili, almeno ragionevoli, pensando e proponendo soluzioni concrete e sfidando la politica a confrontarsi. È importante uscire da un mondo nel quale ci si appaga sfogando la propria rabbia contro tutti, consapevoli di poterlo fare impunemente e senza conseguenze ma formulare proposte per almeno
modificare in positivo i rapporti economici e sociali.

Il peso della realtà

Chi oggi vive in Italia abita un paese che deve fare i conti con la decrescita demografica, un paese dove la gran parte della spesa sociale si dice che viene assorbita dal funzionamento del sistema pensionistico. Tutti dimenticano però di precisare che la spesa pensionistica comprende impropriamente la pensione sociale per indigenti, inabili al lavoro e quant’altri non hanno reddito e lavoratori cessati dalla loro attività che hanno accantonato i fondi necessari alla loro pensione come salario differito.
Fermo restando il dovere di solidarietà di tutti verso i più deboli attraverso la fiscalità generale andrebbero diversamente gestiti tempi e modalità del pensionamento pensando alla fine della vita lavorativa non come a un cambiamento di status improvviso che avviene allo schiocco di un fatidico giorno, individuato per legge uguale per tutti
differenziando solo tra uomini e donne. A pochissimi è sfiorata l’idea che invece sia possibile pensare a un sistema flessibile fatto da un progressivo allentamento dei rapporti di ognuno con il mondo del lavoro, attraverso periodi di riduzione della prestazione lavorativa o sua parziale trasformazione che precedono la definitiva cessazione dal lavoro, ma senza interruzione immediata, dove la retribuzione salariale viene pagata in parte sui fondi pensione accantonati dai lavoratori e in parte dal datore di lavoro, con tempi individuati consensualmente tra le parti contrattuali, riducendo l’orario di lavoro e inserendo gradualmente nuova forza lavoro là dove occorre.
In quest’ottica lo slogan, apparentemente irrealizzabile, per alcuni utopico, “lavorare meno, lavorare tutti” sarebbe più praticabile, senza ricorrere a pensioni di fame o sperando che le malattie e la morte liberino la collettività al più presto di chi è in pensione per liberare risorse. Allo stesso modo la riorganizzazione del sistema sanitario nazionale tenendo conto del progressivo invecchiamento della società renderebbe più gestibile e meglio strutturato lo stesso sistema.
Questi interventi tuttavia presuppongono la contrattazione di un nuovo statuto del lavoro che offra diritti e tutele al lavoro erogato sotto qualsiasi forma giuridica e che consenta la tutela dei diritti attraverso il ripristino del contenzioso e della tutela giurisdizionale organizzando roghi pubblici per il Job Act e tutte le attività ad esso connesse.
Sul piano economico gli aiuti di stato all’occupazione, invece che tradursi nel regalo senza vincoli all’imprenditore con l’elargizione di lauti finanziamenti pubblici dovrebbe essere condizionato ad un ingresso del socio pubblico nel capitale tutte le volte che la quota di partecipazione supera un tetto stabilito per legge. Segnaliamo che questa non è un’anomalia curiosa e rivoluzionaria perché altri Stati a gestione capitalistica lo fanno, proprio a difesa degli interessi dei consociati.
Ciò significa che se, ad esempio, è vero che la produzione d’acciaio in Italia è strategica per la sopravvivenza dell’industria meccanica e il controllo del ciclo e se quindi lo Stato entra nel capitale di gestione delle acciaierie per promuoverne il risanamento ambientale e la continuità produttiva, rimanga nella gestione azionaria, a garanzia del perseguimento degli interessi pubblici che tanto continueranno ad esserci e a richiedere risorse. E allora meglio avere garanzie interne alle aziende verso il ridimensionamento produttivo e la delocalizzazione. È quanto è necessario certamente a Taranto per sciogliere il dilemma inaccettabile tra lavoro e morte che attanaglia la popolazione, ristrutturando e innovando gli impianti sotto il controllo e con la vigilanza della collettività.
E ancora, se si constata che gli interventi sul mercato immobiliare hanno finito per bloccare il mercato delle costruzioni si lanci una grande OPA pubblica sul mercato immobiliare sfitto per la sua acquisizione a fini sociali impedendo così nuovo consumo di territorio: Siamo consapevoli che si tratta di una operazione finanziaria imponente ma
per realizzarla una più efficiente gestione del fisco da realizzare attraverso l’eliminazione delle spese per contante superiori all’ammontare della pensione minima sarebbe accettabile in modo da realizzare una tassazione capillare del reddito e del patrimonio, rivedendo le aliquote rispetto al nuovo contesto. La movimentazione del mercato immobiliare potrebbe essere l’occasione per indirizzare l’investimento del risparmio verso questo settore, garantito dalla proprietà immobiliare.
Ne può restare fuori da un intervento sociale strategico il settore dell’istruzione e la formazione nella consapevolezza che il sistema di istruzione pubblico deve offrire la formazione di base valida per tutti, affiancando un’offerta formativa verso il mondo del lavoro accompagnata e confortata dalle richieste di mercato provenienti dal mercato del lavoro.
La necessità di un intervento urgente sull’ambiente è sotto gli occhi di tutti. Il dissesto idrologico e geologico devasta tutto il paese senza che venga varato un piano straordinario di intervento a riguardo del quale sarebbe opportuna una mobilitazione di risorse sulla quale richiedere a tutti uno sforzo di più razionale utilizza delle risorse pubbliche.

Le soluzioni in tasca

Questi i problemi e alcune delle proposte possibili delle quali ci piacerebbe si discutesse anche restando nell’ottica di un costruttivo riformismo. Come comunisti anarchici, ovvero come componente politica rifiutiamo,il ruolo dello Stato come guardiano dell’ordine sociale, come braccio armato del capitale per imporre al lavoratore la dittatura del padrone, come apparato che organizza e gestisce la giustizia di classe, come amministratore dei rapporti interpersonali e relazionali che incidono sui rapporti di convivenza e di relazione. Allo Stato i comunisti anarchici sostituiscono strumenti di gestione collettiva partecipata della società che si caratterizzano per una gestione delegata su mandato revocabile e controllato dai consociati.
Ciò vuol dire che i comunisti anarchici non negano la necessità dell’esistenza delle strutture a gestione pubblica e partecipata, riconoscono il valore della solidarietà sociale, e perciò richiederanno anche nella società futura ai consociati di contribuire alla gestione di servizi sociali con le risorse necessarie a erogare i servizi comuni garantiti a tutti come la
scuola, il servizio sanitario, quello di aiuto ai più deboli, le politiche di soddisfazione dei diritti umani e universali come quello all’acqua, alla luce, a un’abitazione dignitosa, a un’alimentazione sufficiente e perché no soddisfacente.
Tutto ciò costituisce solo parte degli obiettivi che il comunismo anarchico persegue, ma è chiaro che quanto indichiamo non tutto può essere immediatamente realizzato e che si tratta di obiettivi tendenziali da perseguire attraverso un crescendo di iniziative finalizzate alla realizzazione di una società di liberi e uguali che dovrà inevitabilmente attraversare delle fasi intermedie di realizzazione pensiamo anche a formulare ipotesi riformiste compatibili. Tuttavia proprio perché il comunismo anarchico si muove in una prospettiva di obiettivi e di valori deve poter e saper indicare degli obiettivi intermedi coerenti con i fini che vuole raggiungere. Questo è un piccolo contributo in quella direzione.

La Redazione