Dossier internazionale

Spagna
Dopo la quarta volta alle urne il risultato elettorale spagnolo vede il Partito socialista perdere tre seggi, pur restando il partito più votato; a recuperare consensi è il partito popolare, mentre Podemos perde sette seggi e Ciudadanos, un movimento centrista, crolla al 6%. Vox il partito di estrema destra porta i suoi seggi a 52 grazie al sostegno di finanzieri e industriali che si schierano apertamente a sostenere la salvinizzazione del movimento, anche e soprattutto nei metodi di propaganda. La “bestia” salviniana mette così radici anche in Spagna. Vox è il terzo partito a Madrid dopo Psoe e Pp. È il primo partito a Murcia. Conquista l’unico seggio di Ceuta, l’enclave spagnola in Marocco, e si consolida in tutto il Paese cavalcando l’opposizione all’emigrazione, la difesa dell’unità nazionale contro le richieste di autonomia e riscoprendo simpatie mai sopite per il franchismo.
In Catalogna il primo partito è la Sinistra repubblicana, con il leader Oriol Junqueras in galera; risalgono gli indipendentisti duri di Junts per Catalunya; entrano alle Cortes gli estremisti della Cup, che finora non partecipavano alle elezioni nazionali per non riconoscere lo Stato spagnolo. Nelle Canarie e Cantabria, vincono gli autonomistici e conquistano una presenza in Parlamento il Blocco galiziano: una galassia di formazioni minori con la quale è difficile trovare una intesa. In questa situazione a Sánchez non resta che l’accordo con il Partito popolare, espressione della destra un tempo considerata postfranchista e ora moderata. Più che una grande coalizione, sarà un compromesso storico dopo che i partiti di sinistra hanno sprecato l’occasione di trovare un accordo quando nelle precedenti elezioni erano stati nel loro insieme i più votati.

Regno Unito
Mentre il paese si avvia alle elezioni anticipate che si terranno probabilmente il 12 dicembre dopo che i socialisti hanno accolto la richiesta di Boris Johnson. costretto a concedere un nuovo rinvio di Brexit al 31 gennaio 2020. Il Partito Conservatore di Boris Johnson, viene dato attorno al 36 per cento dalla BBC, mentre il l Partito Laburista di Jeremy Corbyn, viene dato al 24 per cento, davanti ai Liberaldemocratici, in crescita stimati intorno al 18 per cento dei consensi. Il Brexit Party di Nigel Farage, ha annunciato di non presentarsi in quei seggi nei quali la sua presenza sottrarrebbe voti ai conservatori. È presumibile che la campagna elettorale inizierà il 6 novembre e si concentrerà soprattutto su Brexit. I Conservatori punteranno sull’approvazione dell’accordo trovato da Johnson con l’Unione Europea, i Laburisti proporranno probabilmente un nuovo referendum, mentre i Liberaldemocratici si presenteranno come l’unico partito apertamente contrario a Brexit.
Il Brexit Party farà invece campagna elettorale dicendo che l’accordo trovato da Johnson è un tradimento degli ideali di Brexit e proponendo di accantonarlo e uscire dall’Unione Europea senza accordo. I sondaggi vanno però presi con cautela ricordando che nel 2017 i laburisti durante la campagna elettorale rimontarono molte posizioni, giungendo al 2,6% in meno dei conservatori, pur essendo partiti da una posizione meno vantaggiosa di oggi: il loro programma elettorale basato sul potenziamento dei servizi pubblici, della sanità e su politiche di intervento a livello sociale si rivela capace di attirare i consensi degli elettori. C’è poi da ricordare che nel Regno Unito non si vota con un sistema proporzionale ma con quello maggioritario uninominale di collegio, quindi ci possono essere degli scostamenti notevoli tra la distribuzione dei voti e quella dei seggi.
In Scozia il partito che sta guadagnando di più in termini di consensi sembra essere lo Scottish National Party, fortemente contrario a Brexit, che negli ultimi due anni è oscillato tra il 36 e il 43 per cento. In Galles, dove i sondaggi sono molto rari, YouGov ha rivelato un crollo dei consensi per i due partiti principali, Laburisti e Conservatori, e un rafforzamento dei Liberaldemocratici e del Brexit Party. Questi elementi fanno pensare che comunque vadano le cose il Paese si avvia alla fine come Stato unitario e che Elisabetta II farà in tempo a vedere oltre che la fine dell’impero quella del Regno Unito.

Germania
Le elezioni dei länder orientali hanno visto una crescita di Alternative für Deutschland appena contenuta grazie a un uso strumentale dei regolamenti elettorali, che ha permesso agli altri partiti di concentrare i voti sui candidati alternativi ad AfD. Così in Sassonia i cristiano-democratici della CDU sono rimasti il primo partito (32,1%), con la destra identitaria e nazionalista di AfD subito dietro al (27,5%). In Brandeburgo i socialdemocratici di SPD si sono confermati prima forza (26,2%), seguiti anche qui da AfD (23,5%). capace di consolidarsi sempre di più nei 5Länder della ex DDR come partito quasi regionalista, che punta a sfruttare le rivendicazioni territoriali e identitarie della parte più delusa dell’est tedesco dalla riunificazione. Ritornano così al centro del dibattito temi sempre più scottanti come le specificità della Germania orientale che riceve (e beneficia) migrazione stagionale dei paesi orientali confinanti e riceve molti migranti anche a causa dello spopolamento dovuto all’emigrazione dei suoi abitanti originari verso ovest. L’unificazione resta così un’opera incompiuta, alimentando il risentimento della popolazione autoctona sempre più impoverita.
Rimane per alcuni versi un caso a se la Turingia dove la Linke, il partito della sinistra radicale, ha ben resistito all’avanzata della destra al 23% , raccogliendo il 29% dei consensi, grazie ad un programma che sostiene la necessità di favorire una buona conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nei luoghi di lavoro; promuove la solidarietà sociale e la sostenibilità ambientale, riprendendo alcuni temi tipici della Linke locale; ha proposto di introdurre un tetto contro il caro affitti; di costruire nuovi alloggi popolari e rendere gratuiti asili nido e scuole elementari, di migliorare l’assistenza sanitaria.
Al successo della Linke non ha fatto seguito quello dell’SPD e dei verdi per cui la maggioranza tra i tre partiti rot-rot-grün (rosso-rossoverde) che governava il länder non è riproponibile e per la formazione del governo regionale si dovrà cercare il sostegno della CDU che ha ceduto a AfD ben il 16% dei propri voti. La coalizione di governo pensa di recuperare terreno puntando approvato il 20 settembre su un Piano per la Protezione del Clima da 54 miliardi complessivi per il 2023 che dovrà rilanciare l’economia rilanciare gli investimenti, trasformare il paese.

Polonia
Dopo i rigurgiti antisemiti (vedi articolo) la destra polacca propone la modifica dell’art 200 del Codice penale introducendo una pena di tre anni per quegli insegnanti che insegnano nelle scuole educazione sessuale, equiparando tale attività alla pedofilia. Queste posizioni sono fortemente sostenute dall’episcopato polacco tra i più retrivi del mondo costruito nominato dal papa sciovinista Carl Wojtyla che lo volle a propria immagine e somiglianza. A questa politica si oppongono con decisione soprattutto le donne polacche con grandi
manifestazioni nelle principali città del paese come già fecero in occasione della presentazione di una legge fortemente repressiva dell’interruzione della gravidanza (quella polacca è già una delle più restrittive del mondo) poi ritirata a causa delle proteste popolari: l’attacco ai diritti civili continua!

Romania
Al primo turno delle elezioni presidenziali in Romania il capo dello Stato uscente, il centrista liberal ed europeista Klaus Iohannis, esce vincitore con il 36,6% dei voti e tutti i sondaggi lo danno vincente al ballottaggio contro la socialdemocratica Viorica Dancila che ha raccolto il 23,8%. Il secondo turno si terrà il 24 novembre. La partecipazione al voto è stata del 48 %, superiore alla media in Romania e hanno votato anche molti romeni residenti all’estero.
Va sottolineato che il Partito socialdemocratico rumeno costituisce un’anomalia: erede dei comunisti, appartiene ai socialisti europei ma è schierato su posizioni sovraniste e anti-integrazione e ha varato riforme che hanno gravemente indebolito l’indipendenza della magistratura, attirandosi dure critiche della Ue. La corruzione e lo strapotere dei socialdemocratici hanno pesato anche sul fortissimo boom economico del paese, creando gravi perdite specie nel settore delle infrastrutture. Il suo leader Liviu Dragnea, è stato condannato per frodi e illeciti gravi e sta scontando tre anni di carcere.

Bolivia
Un sollevamento militare ha posto fine per il momento al governo di Evo Morales il primo Presidente indigeno dell’America Latina. L’esperienza boliviana diretta da Morales era iniziata nel 2005 e aveva portato a una nuova Costituzione che sintetizzava nel concetto di Buen Vivir le linee guida della sua politica che metteva in discussione non tanto il progresso in quanto frutto della tecnica moderna, quanto il fondamento ontologico del vivere assieme, che comprende sia la comunità sia l’ambiente circostante. Affermando il concetto di Buen vivir si poneva come obiettivo vivere una vita piena e dignitosa, un’esistenza armonica che include le dimensioni cognitive, sociali, ambientali, economiche, politiche, culturali, tra loro collegate e interdipendenti.
Questa elaborazione è possibile grazie a una peculiare cosmovisione propria dei popoli indigeni della quale fanno parte le immagini del mondo, le valutazioni sulla vita, gli orientamenti della volontà. Le immagini del mondo indicano come relazionarsi con la natura, le cose, le persone, le divinità: l’idea andina è cosmocentrica, con l’uomo cosciente di avere un ruolo passivo e subordinato rispetto all’ordine delle cose, mentre in occidente si ha un’immagine antropocentrica che fa riferimento all’homo faber.
Le valutazioni sulla vita si riferiscono ai principi che guidano la condotta umana: nel pensiero andino si fondano sulla complementarità (uomo-donna, individui-natura) e sulla gerarchia; nella cultura occidentale sugli individui, padroni del loro destino e che agiscono con fini e strategie prestabilite. Gli orientamenti della volontà rispecchiano le tendenze che plasmano la vita psichica, che nella visione indigena invitano a coltivare un affetto collettivo verso la natura, in quanto tutte le azioni, individuali e comunitarie, hanno effetti rilevanti nell’universo reputato integrato e connesso, mentre in occidente la natura è sottomessa al dominio della scienza e della tecnica.
In quest’ottica i beni costituzionalmente tutelati e che appartengono al popolo sono l’acqua e alimentazione,l’ambiente sano,; la comunicazione e l’informazione, la cultura e la scienza, l’educazione, l’habitat e l’abitazione, la salute, il lavoro e la sicurezza sociale. Il tema ambientale rileva qui nel suo significato giuridico più comune, ossia come diritto a un ambiente salubre ed ecologicamente equilibrato, dove lo Stato ha il compito di preservare l’ambiente e gli ecosistemi, e di prevenire i danni ambientali e di recuperare i terreni naturali degradati (art.14 cost.). Il buen vivir viene assunto come principio orientativo delle politiche pubbliche. Come si vede ce n’è abbastanza per una riflessione ampia e articolata sulle strade intraprese per contrastare le politiche neoliberiste e i loro effetti, mutando completamente e in modo radicale l’approccio al problema.
Una scelta che l’esercito e i la borghesia nazionale legata alle multinazionali non ha perdonato malgrado che Morales avesse ottenuto il 10 % di voti in più del suo avversario.
Tuttavia una parte della sinistra afferma che il colpo di Stato promosso dalla Cia e dall’oligarchia fascista dei possidenti terrieri di Santa Cruz è solo «la metà del conflitto» e denuncia il tradimento delle speranze inizialmente suscitate dal governo, man mano venute meno di fronte alla sua progressiva deriva autoritaria, alla criminalizzazione del dissenso e all’avanzare di un modello che María Galindo, leader femminista dell’associazione Mujeres Creando, non esita a definire «neoliberista, consumista, estrattivista, ecocida e clientelare», lontano anni luce dal dettato costituzionale sul “buen vivir”.

Brasile
L’Amazzonia continua a bruciare con la complicità dell’Europa che apre all’importazione di carne brasiliana allevata nei pascoli e con i mangimi coltivati nelle terre strappate alla foresta e agli indigeni che la abitano. Questo mentre il Presidente Bolsonaro imperversa con le sue politiche repressive, cerca di intervenire in Venezuela e plaude al golpe militare in Bolivia alla repressione in Cile. Intanto continuano gli omicidi di sindacalisti ecologisti e indigeni difensori della foresta amazzonica.
Intanto grazie a una sentenza della Corte costituzionale Lula Da Silva è nuovamente libero e cerca di riorganizzare la sinistra.

Cile
Il presidente Sebastian Piñera, miliardario, eletto alla fine del 2017 con i voti della destra post-pinochetista e dei settori legati ai nostalgici del regime militare ha proclamato lo stato di emergenza che ha portato i militari in strada per la prima volta dalla fine della dittatura di Pinochet nel 1990. Migliaia di militari sono stati dispiegati nelle strade della capitale e in cinque regioni del Paese e tuttavia il coprifuoco non ha fermato i saccheggi e le violenze: autobus carbonizzati, negozi saccheggiati, come non si vedeva da anni. Sono migliaia le persone arrestate per le violente proteste contro il caro vita, per il basso livello dell’istruzione, dei servizi sanitari e dei salari. Il paese si caratterizza per la precarietà a tutti i livelli dell’esistenza; i salari non tengono il passo dell’alto costo della vita e la maggior parte delle pensioni risulta inferiore al salario minimo, il diritto alla salute, all’educazione, alla casa, a un trasporto realmente pubblico sono negati. Questo mentre il saccheggio dei territori – attraverso un estrazioni selvagge che non risparmiano fiumi, foreste, montagne, ghiacciai – va ad arricchire, alle spalle dei mapuche e degli altri popoli indigeni, un gruppo di privilegiati insieme alle multinazionali straniere, malgrado gli studenti, che già lo scorso anno avevano marciato per il centro di Santiago a favore di una scuola pubblica, gratuita e di qualità, ripetano da tempo che, se il rame fosse cileno, l’educazione sarebbe gratis.
Un paese in cui, del resto, è ancora in vigore la Costituzione di Pinochet, disegnata su misura degli interessi di un’oligarchia retrograda sul piano culturale e ferocemente neoliberista su quello economico. La lotta continua.

Stati Uniti
La procedura per l’ impeachment di Trump continua e le prove contro il presidente si accumulano, mentre la sua candidatura è ancora forte a causa della crescita dell’occupazione e di un andamento sostanzialmente positivo dell’economia. In questo clima la battaglia per le prossime elezioni si presenta quanto mai incerta tanto più che i democratici non hanno ancora trovato la candidatura da contrapporre al Presidente In questa situazione tuttavia l’inquilino della Casa Bianca è “un’anatra zoppa” e appare privo della forza di affrontare soprattutto le questioni di politica estera.

India
Il nazionalismo indu sta procedendo negli attacchi alla componente musulmana del paese e sconvolge l’equilibrio nel Kashmir, Stato a maggioranza musulmana, revocando lo “status speciale” che lo governava.
L’obiettivo del leader induista fondamentalista Modi è quello di trasformare l’India in uno Stato induista, diverso dal paese laico che avevano voluto i padri fondatori uno Stato dove non ci siano più leggi diverse da comunità a comunità, come quelle introdotte decenni fa per garantire la libertà di espressione di tutti.
La «nuova India» di Modi fa perno su due concetti principali: rafforzare il nazionalismo e trasformare l’India da paese laico a paese induista, indebolendo i diritti delle minoranze e colpendo le comunità musulmane che abitano il Kashmir indiano. Modi, primo ministro dal 2014, ha aumentato i consensi quasi ad ogni elezione tenuta negli ultimi cinque anni. «A differenza della maggior parte dei politici indiani, Modi non ha una cerchia di parenti che si aggira attorno a lui cercando di ottenere contatti o contratti lucrativi con il governo», ha scritto AP. Le uniche cose che ha sono il Bharatiya Janata Party (BJP), il suo partito, e la causa del nazionalismo indù.
La revoca dello “status speciale” in Kashmir ha mostrato come Modi possa essere un leader coraggioso e ambizioso, guidato da quella che ritiene essere la volontà della maggioranza. «Il lavoro che non era stato fatto negli ultimi 70 anni è stato completato entro 70 giorni da quando si è insediato il nuovo governo. Le scelte politiche di Modi «Non riguardano solo il Kashmir, si sta parlando dell’intero futuro dell’India». Modi e il suo partito starebbero usando il Kashmir come mezzo con cui «portare avanti il loro più ampio obiettivo di trasformare l’India in una Repubblica indù».
Gli altri obiettivi da realizzare il prima possibile sono: costruire un grande tempio al dio indù Rama in un luogo dove in passato c’era una moschea, nella città di Ayodhya. (la Corte suprema indiana si sta pronunciando su una disputa sul terreno individuato per il progetto); far approvare una legge unitaria su questioni come il divorzio e l’eredità e che si applichi a tutti i cittadini indiani, eliminando quindi la possibilità che hanno oggi le diverse comunità di avere norme differenti tra loro, riferite all’appartenenza religiosa; politiche per colpire le minoranze religiose mediante ad esempio la legge sulla cittadinanza, che prevede di dare lo status di rifugiato a migranti indù e cristiani – ma non musulmani – che
entrano in India dai paesi confinanti. Le politiche filo-nazionaliste e filo-indù di Mondi sono state accolte con grande favore in India. «Una nuova era è iniziata con la revoca dello “status speciale” del Kashmir», ha affermato il leader indiano.

Iran
Grandi manifestazioni e forti disordini in Iran a causa della crisi economica. Il peso dell’embargo americano torna a mordere, mentre l’arricchimento dell’uranio è ripreso. Tutto ciò avviene in una fase in cui il disimpegno americano dall’area mediorientale cresce. In questa situazione del paese il problema più grave è costituito dall’impoverimento dei ceti medi e dalla diminuzione delle risorse per gli strati più poveri della popolazione che in cambio del sostentamento da parte dei pasdaran si prestano ad essere massa di manovra del regime Bisogna comunque tener presente che l’Iran è un grande paese composito e multiforme e perciò non sono escluse sorprese.

Siria
La liquidazione dell’amministrazione autonoma del Rojawa prosegue sotto la pressione congiunta dei turchi, dei russi e del Governo siriano che cercano di fare piazza pulita di un progetto politico capace di sconfiggere i fondamentalismi religiosi anche sul piano militare grazie alle lotti di uomini e donne che si battono per la gestione diretta della loro vita, alla pari, senza discriminazioni in base al genere, all’appartenenza religiosa o come non credenti senza contrapposizioni etniche.
Questo modello rimane un meraviglioso esempio di come la soluzione del conflitto è possibile e può espandersi almeno nei territori del Kurdistan siriano come in quello iraniano, in quello iracheno e perché no nella stessa Turchia. Attraverso la solidarietà internazionale battiamoci perché ciò avvenga.

La Redazione