EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA ATTIVA

Chi si muove e opera in un’ottica di classe deve innanzi tutto avere come punto di riferimento le classi subalterne e la difesa dei loro interessi e, nella situazione attuale del paese, rendersi conto delle contraddizioni che gli sfruttati vivono quotidianamente. Facendo un’analisi di classe della composizione della popolazione e del ruolo diverso svolto dalle sue diverse componenti è del tutto evidente che la stagnazione delle lotte salariali, il dumping sociale all’interno dell’aria U. E, la globalizzazione che ha portato alla larga diffusione del decentramento produttivo, hanno fatto si che le classi subalterne subiscano oggi l’attacco del padronato e del capitale finanziario. Sono queste forze a condurre oggi la lotta di classe con un’aggressione quotidiana contro i proletari erodendo le conquiste dei precedenti cicli di lotta, smantellando le garanzie sociali conquistate in materia di tutela della salute, diritto all’istruzione e soprattutto garanzia e sicurezza del posto si lavoro.
In quest’opera di sistematico smantellamento dei diritti acquisiti si sono particolarmente distinte le forze di sinistra, quei partiti che avrebbero dovuto difendere gli interessi dei lavoratori, veicolando una narrazione che raccontava dei vantaggi della globalizzazione che teorizzava e praticava la precarizzazione del posto di lavoro e la mobilità spacciate per opportunità , che teorizzava la riduzione dei diritti come modernità che faceva dell’impresa e del mercato il valore supremo da difendere, che teorizzava l’esistenza dell’interesse nazionale in un mondo sempre più globalizzato, che sostituiva la contrattazione come strumento di lotta con la concertazione nelle relazioni tra lavoratori e padronato, snaturando ruolo e funzione delle organizzazioni di classe.
Per attuare il loro disegno le forze padronali e del capitale finanziario hanno scelto il campo di battaglia e diviso il mercato del lavoro tra lavoratori subordinati e autoctoni e aggiunto un ulteriore comparto, quello dei lavoratori immigrati. In tal modo hanno utilizzato e utilizzano gli elementi caratterizzanti l’etnia della popolazione autoctona contro i valori e la stessa composizione multietnica della popolazione migrante. Si è creata così una contrapposizione di interessi tra le classi subalterne abbassando le capacità di contrattazione del salario facendo aumentare l’offerta di forza lavoro destrutturata e sottopagata, ponendo in molti casi in concorrenza le diverse componenti della forza lavoro.
La risposta a questa strategia sarebbe stata quella di unificare il fronte proletario, ricomponendo sulla base dei comuni interessi le diverse componenti della classe subalterna. A impedirlo l’inadeguatezza delle strutture sindacali, l’oggettiva differenza di status e di diritti di proletari autoctoni e di migranti, la maggiore ricattabilità di questi ultimi. La conseguenza è un fronte del lavoro diviso, frammentato e sempre più debole.

Una risposta necessaria

Per porre rimedio a questa situazione bisogna prendere atto che il fronte di lotta non può fare a meno, se vuole essere efficace e vincente, di partire dall’analisi della composizione della popolazione migrante rilevando che più del 40 % di essa oggi in Italia ha origine nell’est Europa; un’altra parte è composta da lavoratori che, pur provenienti da paesi diversi, hanno in parte una cultura islamica e in parte un imprinting induista nelle sue diverse componenti. La collocazione religiosa è qui vista non sotto il profilo religioso, ma come indicatore di un’insieme di valori e di relazioni all’interno della società, come indice di comportamenti e abitudini culturali e esistenziali
Perciò i rapporti etnici tra i migranti, intesi nel loro insieme, non possono portarci a percorrere la strada della tolleranza religiosa e l’accettazione della struttura di comunità etnico religiose conviventi, nella prospettiva di costruire il multiculturalismo, ma necessitano del rilancio di una cultura della laicità, aiutando a capire che gli interessi tra autoctoni sfruttati e migranti anch’essi sfruttati sono comuni, e le radici etniche possono essere conservate senza il bisogno di schermarsi dietro la religiosità ortodossa o quella islamica o induista.
Nell’attuale contesto di questo paese è possibile costruire un progetto di vita nuovo e libero da pregiudizi che prescinda dalle appartenenze religiose e dalle diverse tradizioni, incentrato sul rispetto reciproco, sull’alleanza contro il comune sfruttamento, sulla partecipazione di tutti alle lotte per l’unificazione del mercato del lavoro, sulla richiesta di eguali salari, sul riconoscimento del ruolo sociale e produttivo delle donne, Bisogna combattere la cultura di comunità tra i migranti o almeno leggerla con l’ottica dell’appartenenza di classe. Alla base della convivenza ci sono comuni interessi di classe; siamo di fronte all’eterna contrapposizione tra ricchi e poveri, al bisogno di lavoro, al diritto a disporre dei beni essenziali (acqua, energia casa, salute, trasporti), al rispetto della dignità, delle libertà civili, delle donne e degli uomini, dei bambini e dei vecchi. E questo per tutti, migranti e autoctoni.

Necessità e obiettivi dell’unità di classe.

L’adozione di questi valori e di questa strategia conduce e passa dalla ricomposizione del conflitto interetnico, porta all’assimilazione consapevole e convinta dei nuovi venuti nella diversità e persistenza delle differenze valoriali di carattere etnico e culturale, superando le differenze di nascita e di collocazione familiare in nome dell’accoglienza. basata sulla solidarietà di classe, sull’interesse, come diretta conseguenza della collocazione di classe rispetto al mercato del lavoro.
Perciò lotta comune contro le leggi di polizia adottate per contenere l’emigrazione povera, quella degli straccioni che arrivano con i barconi; lotta contro la creazione e il mantenimento dell’esistenza di un esercito industriale di riserva fatto di diseredati cronici, clandestinizzati, da un esercito di riserva di lavoratori alimentato progressivamente da restituzioni forzate di migranti (i cosiddetti dublinati) e dalla trasformazione di frange dei già integrati e dei regolari trasformati dalle leggi salviniane in nuovi clandestini.
Sul piano economico lotta contro le politiche liberiste, contro la flat tax che aiuta i ricchi, lasciando l’illusione della riduzione delle tasse, disvelando che l’abbassamento dell’aliquota si accompagna alla soppressione degli sgravi per fare pari e patta e mantenere la tassazione attuale, con l’effetto aggiuntivo non secondario di smantellare li rapporti di solidarietà sociale individualizzando i rapporti sociali economici e umani. Perciò occorre battersi contro il ridimensionamento programmato dei servizi, investimento sulla fascia anziani del paese, spiegando loro la necessità dell’alleanza con i lavoratori attivi migranti e non. Occorre lottare affinché non venga scaricato sulle famiglie il costo dell’assistenza. Battersi perché la scuola non venga differenziata a livello regionale per orientare l’accesso selettivo al mercato del lavoro, evitare lo smembramento sostanziale del paese, mediante l’aggancio delle Regioni del nord-centro al nucleo continentale dell’economia europea franco tedesca. Impedire che vengano adottate leggi sul lavoro che consentano una gestione alla Orban della forza lavoro (quaranta ore di fatto alla settimana), nella consapevolezza che permettere l’adozione di queste misure anche in un solo paese dell’area U. E. facilitano e incentivano il dumping salariale che porte alla concorrenza al ribasso sul salario dei lavoratori e incentiva le delocalizzazioni. Battersi contro politiche familiari incentivanti per il nord del paese e che vedono il sud ridotto a un ruolo servente di manodopera e di ghetto per i ceti non più produttivi.
Bisogna evitare di ritrovarsi il paese culturalmente distrutto, ridotto a villaggio turistico per il sud quando va bene, un paese che va verso la differenziazione economica e sociale, ridotto a fortezza dell’italianità, chiuso ai rapporti con l’area mediterranea dove “il mare mezzo” – così gli arabi chiamano il Mediterraneo – sarà il muro materiale e ideologico destinato a fermare la paventata “invasione” e perciò presidiato militarmente.

Gli strumenti di intervento politico: la cittadinanza attiva.

Per ricomporre il fronte di lotta bisogna innanzi tutto unificare il mercato del lavoro e per farlo è indispensabile adottare lo jus soli per nascita, e lo jus soli per attribuzione a coloro che abitano stabilmente il territorio stabilendo una gradualità di partecipazione ai diritti politici che parte dalla possibilità di prendere parte attiva alle lotte sindacali e a tutto ciò che riguardala vita sul territorio: comitati di quartiere, gestione delle strutture scolastiche, vita dei municipi nelle grandi città, gestione del territorio. La piena attribuzione dei diritti politici è un obiettivo da perseguire e rendere operativo, mentre si sviluppa e accanto al processo si assimilazione per come lo abbiamo precedentemente delineato.
Bisogna adottare misure di ricomposizione della unità di classe concentrando gli obiettivi dell’azione politica verso la realizzazione di misure sociali che incidano positivamente sulla qualità della vita: un piano casa vero e credibile , misure di tutela ambientale e razionalizzazione del territorio, garanzia di utilizzo dei beni comuni (diritto all’acqua, all’energia ai trasporti). Queste sommariamente le precondizioni che permettano l’inclusione sociale e la ricomposizione dell’unità di classe che consentano la non ricattabilità della forza lavoro più debole sul mercato del lavoro.
L’inclusione sociale come progetto strategico primario e l’assimilazione non sono il segno di una particolare attenzione della sinistra per gli ultimi, non sono un’opera di carità ma sono lo strumento attraverso il quale realizzare l’unità di classe che passa attraverso l’unificazione degli interessi, un mercato del lavoro unico, governato da regole valide per tutti.
Bisogna prendere coscienza che questi meccanismi di assimilazione, un vero e proprio piano stabile per l’integrazione, devono essere costanti e possono costituire un investimento sociale produttivo per far fronte al fenomeno migratorio che, stante il declino demografico e la persistenza strutturale delle migrazioni, necessita dell’adozione di un piano strategico.

Sostituzione e assimilazione

Da più parti si obietta che l’assimilazione dei migranti come rimedio alla denatalità porta alla sostituzione etnica. Chi formula questa obiezione non si accorge consciamente o inconsciamente di identificare il concetto di etnia con quello di razza, concetto quest’ultimo scientificamente privo di consistenza. Se si sostiene che la” sostituzione” avverrebbe sotto il profilo dell’aumento di coloro che hanno un colore della pelle diverso del bianco (che poi nel nostro paese non è tale nemmeno per gli autoctoni) la deriva razziale è evidente. Se invece si fa riferimento a un insieme di valori riassumibili nel termine di etnia non vi è sostituzione etnica quando una società si dota degli strumenti di inculturazione per trasmettere efficacemente i propri valori e per verificare che questi siano assimilati e praticati. Intendendo l’identità come un’insieme di valori etici e culturali, l’integrazione è la migliore verifica dei propri valori, della loro capacità di imporsi per la loro qualità e profondità per la loro valenza etica.
Ne consegue che chi teme di non riuscire o non riesce ad inculturare rivela la propria debolezza, la propria incapacità di reggere al confronto di valori che sempre avviene sul mercato delle idee, questo si senza confini e limiti. A meno che non si pensi che l’appartenenza a una determinata cultura è un fatto genetico, dipende dai propri genitori, e allora si è semplicemente razzisti e bisogna prenderne quantomeno coscienza.

Educazione alla lotta di classe

Si tratta di stimolare gli immigrati e non solo loro, ma anche gli autoctoni, a reimpossessarsi degli strumenti della lotta di classe e di capire che i doveri di cittadinanza si accompagnano ai diritti. Ma mentre i doveri vanno rispettati e sono di fatto il presupposto per ogni possibilità di azione, i diritti, soprattutto in una società dominata dal capitale, vanno conquistati e difesi con la lotta di classe e con l’organizzazione in movimento politico, costruendo sul territorio strutture di rappresentanza e di lotta, caratterizzate dalla solidarietà ma soprattutto unitarie e capaci di costruire un fronte comune contro il padronato e il capitale finanziario.
La strada è lunga e non semplice ma si tratta di un passaggio obbligato che deve portare alla ricomposizione degli interessi tra gli ultimi e i penultimo perché solo da questa alleanza si può costruire quel fronte comune capace di contrapporsi e vincere contro l’alleanza tra ceti medi e “penultimi” sollecitata dalla destra all’insegna del razzismo e della discriminazione.

La Redazione