UNA RONDINE…

Si potrebbe pensare che il vento stia cambiando: dalla Slovacchia all’Ucraina fino alla Spagna i partiti di destra che avevano governato fino ad oggi o fino all’altro ieri, sono stati battuti. Il 28 aprile in Spagna il PSOE, che era dato ormai morente tre anni fa, ha ora conquistato la maggiorana nel parlamento, aumentando di circa un terzo i propri deputati. Il Partito Popolare che nel 2016 aveva avuto la maggioranza dei consensi in quasi tutte le regioni del paese, ora l’ha persa lasciandola ai socialisti quasi ovunque, con un ribaltamento la cui rapidità è sorprendente. Sarà la fotogenia del nuovo giovane leader socialista ad aver fatto la differenza, oppure solo il demerito del vecchio gruppo dirigente popolare? La domanda è legittima, visto che clamorosi ribaltamenti di linea politica in questi pochi mesi di governo socialista non se ne sono visti. La verità risiede poco nelle due ipotesi affacciate precedentemente, ma per essere indagata deve aprirsi ad un orizzonte più ampio.
Il fenomeno cui stiamo assistendo negli ultimi anni, quello che fa fallire clamorosamente tutti i sondaggi preelettorali, ha una spiegazione molto semplice. La caduta di Cameron sul referendum britannico, la vittoria di Trump contro la Clinton in USA, la sorpresa Macron in Francia, il successo del Movimento 5 Stelle il 4 marzo 2018 in Italia, le elezioni slovacche e quelle presidenziali ucraine, sono frutto dello stesso fattore: l’orientarsi dell’elettorato verso i volti nuovi, in linea col bisogno avvertito di liberarsi dei vecchi padroni della politica, spesso visti, non a torto, come legati ad interessi economici più in alto di loro e non poche volte da questi corrotti. Il bisogno cioè di quello che viene sbandierato come “il cambiamento”, identificato sbrigativamente con il personaggio emergente, per ciò stesso sconosciuto e le cui capacità e qualità morali sono tutte da verificare.
Lo strabismo politico che sottostà a questa tendenza porta ad identificare il cambiamento con l’avvicendarsi delle persone (spesso giovani, affabulatrici, telegeniche, spigliate), che rapidamente salgono nei consensi ed altrettanto (forse ancor più) rapidamente declinano. Sfugge che il cambiamento reale possibile è quello che prevede un autentico ribaltamento degli assetti sociali ed economici e che facce nuove incanalate nei vecchi percorsi poco in realtà mutano le condizioni di vita. È la linea politica che opera il cambiamento, non l’avvicendarsi alla guida dei galletti allevati nel pollaio della finanza internazionale. Ovviamente l’agire pregresso dei vecchi gruppi dirigenti, l’ottusità con cui essi proseguono lungo le linee politiche ed economiche consuete non fa che alimentare il disgusto dei “cittadini”, ma questo disgusto più che giustificato non dà origine ad una riflessione sulle cause delle difficoltà che i “sudditi” devono affrontare, ma si riversano sulla ricerca del rampante di turno, che si presenta come colui in grado di risolverle: “Datemi le fodere e vi farò godere”, diceva il Benigni!
Da quanto detto ne discende che in Spagna non hanno vinto i socialisti, ma ha vinto il “giovane” Sanchez ed è quindi illusorio pensare che la penisola iberica sia la spia di un improbabile ritorno a sinistra dell’elettorato. La sconfitta subita a livello internazionale dal movimento dei lavoratori negli anni ottanta non ha smesso di dare i suoi frutti perversi; questo perché l’essere sociale dell’individuo, grazie al mutamento delle condizioni delle relazioni umane sollecitate dai nuovi mezzi di comunicazioni, non è più determinato dalle situazioni reali di vita e dal contesto in cui si opera, ma è il risultato d’interazioni individuali, individualmente intraprese e coltivate, non più inserite in un ambiente collettivo di esperienze che si confrontano.
Le elezioni spagnole meritano alcune altre riflessioni. Gli indipendentisti catalani di Puidgemont, quelli più oltranzisti hanno perso peso, mentre è cresciuto l’ERC (Sinistra Repubblicana di Catalogna), più dialogante, è cresciuta; ma a Barcellona hanno vinto i socialisti; l’indipendentismo catalano perde vigore, anche perché l’ERC potrebbe allearsi con il PSOE (e con il partito basco, anch’esso cresciuto di un seggio) per formare il nuovo Governo.
Altro fenomeno generalizzato in Europa è la crescita dell’estrema destra, che entra per la prima volta nel parlamento spagnolo, ma il suo risultato, pur sempre preoccupante, è inferiore alle attese della vigilia. Cresce pure il partito di destra Ciudadanos (15,8%), che raggiunge il suo miglior risultato di sempre, ma ciò avviene soprattutto a scapito del Partito Popolare che tocca il suo minimo storico (16,7%). Complessivamente (PP, Ciudadanos e Vox) però la destra perde consensi, passando dal 46,3% al 42,7%. Sempre più appannata la stella di Podemos che perde elettori, scendendo dal 21,1% al 14,3%, collocandosi così dopo Ciudadanos. Ma non è finita. Ora la parola passa non solo alle elezioni europee ma soprattutto alle elezioni amministrative che in Spagna si svolgeranno in maggio. Sanchez mira a consolidare la sua presa sul paese.
Tornando al ragionamento iniziale, Iglesias non è più il “nuovo” e molti sono rifluiti verso Sánchez. Ancora una volta occorre ribadire che non è lo sdegno di piazza che porta ad un vero cambiamento delle condizioni sociali, ma un progetto politico collettivamente elaborato, condiviso e perseguito senza riversare la propria fiducia nell’ennesimo “uomo o donna della provvidenza” che risolva i problemi per noi. Il futuro può essere nelle nostre mani solo se ne siamo convinti e la smettiamo di pensare che altri ce lo possa spianare senza un nostro costante impegno di analisi, elaborazione ed impegno quotidiano.

Saverio Craparo