LA BUSSOLA

Sempre più frequentemente, in particolare in questi giorni di nascita del nuovo governo leghista a cinque stelle, si sente dire che le categorie di destra e sinistra sono ormai obsolete e prive di valore interpretativo per una società “liquida”. Se con ciò si fa riferimento alla miseranda situazione della sinistra italiana, e non solo ad essa, la locuzione ha un suo fondamento, ma non certo per la destra che persegue con successo il suo ritorno al potere, senza flettere sul proprio impianto ideologico camuffato, come spesso nella storia, da un’andata al popolo che sempre si è rivelata inattendibile.
C’è invero una rinascente sinistra memore della tradizione socialdemocratica: Sanders negli Usa affossato dall’establishment democratico a favore della perdente Clinton, Corbin in Gran Bretagna e Sànchez nella Spagna, entrambi in ascesa con le opposizioni dei gruppi dirigenti dei laburisti e del PSOE; vi è anche il caso di Mélenchon in Francia, azzoppato nella corsa alla presidenza della repubblica dalla miopia del partito socialista. Tutti questi personaggi hanno attivato le proprie basi elettorali su parole d’ordine contrarie alle politiche economiche di stampo neoliberista. Il panorama degli altri partiti di sinistra è sconfortante ed il loro declino elettorale appare inarrestabile ed essi paiono non capire che l’origine dei loro mali sta nella loro acritica adesione al verbo monetarista, colpevole della crisi economica che essi si sforzano di dichiarare superata con successo ad onta della percezione che i lavoratori ne hanno giornalmente. È la destra che occupa lo spazio dell’opposizione ad un regime economico che vorrebbe rinascere senza mettere in discussione i propri presupposti, gli stessi che hanno generato il disastro.
Questa è la matrice del “sovranismo”, che sta dilagando in Europa, in America, in Asia, cioè ovunque. Ad una globalizzazione che sta distruggendo il relativo benessere delle classi medie di tutti i paesi, che penalizza i lavoratori dei paesi industrializzati, che divarica le condizioni di reddito e di vita tra ricchi e poveri e tra i paesi capitalistici e quelli del terzo mondo, che degrada le condizioni ambientali, sottomettendole al profitto, che esaurisce le risorse naturali incurante del futuro, a tutto ciò si oppone, secondo i sovranisti, la nazione: “America first”, “Prima gli italiani”, “Brexit”, il gruppo di Visegrád, Russia, Cina, Corea del Nord, sono tutte manifestazioni di questa politica.
Di fronte a ciò la sinistra, tranne i pochi casi sopra citati, balbetta o peggio, come in Italia, resta prigioniera dello schema, perdendo aderenza con la propria classe di riferimento che trova, errando, il proprio baluardo nei suoi veri nemici, che si travestono da difensori dei suoi interessi. Ci sono addirittura, un po’ ovunque pensatori marxisti che si schierano con i sovranisti in quanto questi si oppongono al dilagare delle politiche economiche neoliberiste, dimenticando che i nemici dei nostri nemici, non per questo sono nostri amici. Ma l’errore affonda le proprie basi nella Terza Internazionale e nella sua politica delle vie nazionali al socialismo, che però venivano poi a volte sacrificate all’interesse superiore della difesa della nazione sovietica ed ai suoi giochi di potere nella politica internazionale.
Ne è discesa la convinzione che, come si dice troppo spesso, “siamo tutti sulla stessa barca” e se questa affonda coliamo a picco tutti insieme. Per cui oggi il dibattito in Italia ruota intorno alla permanenza in Europa. Da una parte si dice di voler radicalmente cambiare l’UE modificandone i trattati, dall’altra si sostiene ugualmente di voler rivedere i trattati, senza aver fatto nulla, in questi anni in cui sono stati al potere, in questo senso, e si finisce per divenire i difensori di un’istituzione non democratica che rappresenta il baluardo dei più miopi propugnatoti delle teorie economiche monetariste e la gabbia di ogni tendenza ad una gestione meno rigorosamente ottusa. È chiaro che in questo scontro la presa della seconda posizione è minima, auspice la presenza di personaggi come Calenda che non ha mai fatto mistero della propria appartenenza ai ceti dirigenti di questa Europa e che ha dichiarato di aver “scoperto”, solo durante la sua permanenza al ministero dello sviluppo economico, che gli operai esistono ancora!
Come dimenticare che gli attuali eredi del Partito Comunista sono stati i più tenaci difensori delle privatizzazioni e che in gran parte le hanno attuate, quando la destra berlusconiana era più restia a seguire i dettami comunitari? Come dimenticare il sostegno convinto al governo Monti (segretario Bersani), quello che per dichiarata convinzione si presentava come il più fedele difensore delle politiche dell’Unione e l’esecutore fiduciario di quanto deciso dalla BCE? Con questi marchi di fabbrica la sinistra italiana nel suo complesso (salvo sparute e spesso flebili opposizioni) non ha le carte in regola per far rinascere un’opposizione di classe.
La causa remota va ricercata molto indietro, nella teoria berlingueriana del “compromesso storico” (che per il vero trova riscontri più antichi addirittura nella nascita del PCd’I nel 1921); è allora che si comincia a pensare che ci sia un benessere della “nazione” in quanto tale; è allora che si è persa la bussola della cesura di classe! I danni profondi inferti alla coscienza dei lavoratori necessiteranno di molto tempo per essere riparati, ma se non si ricomincia da subito non vi arriveremo mai. Allora ribadiamo che non c’è un interesse comune tra “padroni” e “proletari” (termini antichi ingiustamente e colpevolmente abbandonati), ma l’interesse comune è quello dei lavoratori ovunque essi vivano: si chiama “internazionalismo”. Spesso può apparire che vi siano contrasti di interesse tra lavoratori di paesi diversi, tra lavoratori del primo e del secondo mondo con quelli del terzo, ma ciò è solo frutto della cortina di fumo eretta dal capitale, che la deficienza teorica e culturale della sinistra non riesce a diradare, perché essa non è più internazionale.
E questo è proprio l’opposto di quanto propone il sovranismo, che chiude le classi nei confini della “patria”; le classi subalterne recintate nel confine nazionale non possono che perdere il confronto con i propri antagonisti. Quando nella storia questo è successo, la vittoria (effimera) è potuta verificarsi solo in una congiuntura di particolare ed irripetibile debolezza della controparte. Difendere il proprio interesse particolare è una buona strategia per chi detiene le leve del comando economico e politico, non certo per chi subisce il ricatto occupazionale, salariale e sociale. Occorre ricordare che l’avversario non è fuori dai confini in cui siamo nati od in cui viviamo, ma al loro interno; come nelle guerre il nemico non è quello che si affronta riconoscendolo per la diversa divisa, ma quello che alle spalle dei soldati li spinge al massacro. Qualcuno l’ha già detto ed aveva in questo caso perfettamente ragione: “proletari di tutto il mondo unitevi”.

Saverio Craparo