OSSERVATORIO ECONOMICO

serie II, n. 37, gennaio 2018

Ripresa(?) – Tutte le istituzioni internazionali cantano l’uscita dalla crisi. L’Eurozona corre, la riforma fiscale (iniqua) di Trump genera miracoli prima ancora di essere operativa e via narrando. Ovviamente è più che lecito dubitarne visto che non si vede quale sia la “locomotiva”: l’Europa è ancora malferma, gli Stati Uniti sono molto lontani dai loro tempi d’oro, la Cina non cresce più come un tempo. Ma se questo è il quadro internazionale, in esso l’Italia occupa una posizione del tutto particolare. Cresce meno degli altri, ma, si dice, cresce. Ciò è innegabile, ma come sempre è bene guardare dentro i fatti. La ripresicchia è, infatti, solo un riflesso: l’Italia esporta di più ovunque (Il Sole 24 ore, a. 153 n° 318, 24 novembre 2017, p. 3 e a. 154, n° 6, 7 gennaio 2018, p. 3) ed a questo aumento è dovuto l’incremento del Pil, ma il mercato interno non decolla, nonostante i regali a pioggia degli ultimi anni. Per cui il lumicino è destinato a spegnersi quando la fragile congiuntura dovesse incagliarsi su qualche imprevisto scoglio, come spesso è capitato negli ultimi decenni.

Brexit – L’orgogliosa cavalcata britannica verso lo “splendid isolation”, mostra qualche affanno. Il traballante governo May, dopo una faticosa trattativa che ha sancito la pesante posizione debitoria dell’isola nei confronti dell’Unione, non ha ancora risolto, se non con una formula ambigua quanto inutile, il problema dei confini tra Irlanda del Nord e Repubblica Irlandese (Il Sole 24 ore, a. 153, n° 324, 30 novembre 2017, p. 5 e n° 329, 5 dicembre 2016, p.2). Ma resta il fatto che i contraccolpi economici della scelta sancita dal referendum risultano pesanti. Banche ed aziende multinazionali stanno lasciando Londra come loro sede in Europa e si fa minacciosa l’insofferenza scozzese. La sterlina si à indebolita e ciò ha comportato una reviviscenza dell’inflazione, mentre il Pil ha smesso di crescere ai ritmi degli anni precedenti (Il Sole 24 ore, a. 154, n° 4, 5 gennaio 2018, p. 4). Le previsioni per il 2018 sono poco incoraggianti e i consumi sono calati per l’aumento dei prezzi; il mercato immobiliare londinese, per la prima volta in molti anni ha conosciuto una flessione dei prezzi. I dubbi serpeggiano e l’UE ha proposto alla Gran Bretagna di ritornare sui propri passi.

Energia – Nell’Osservatorio Economico del marzo 2017 (s. II, n° 35) si è accennato alle difficoltà del nucleare francese, un tempo cavallo di battaglia di tutti i filonucleari nostrani. Ebbene, si apprende da Il Sole 24 ore, a. 154, n° 4, 4 gennaio 2018, p. 28 che l’EdF, l’azienda statale che produce l’elettricità in quel paese sta diversificandole proprie fonti energetiche, con una vistosa svolta rispetto alla precedente strategia del “tutto nucleare”, e ora punta soprattutto sull’energia solare.

Pensioni – Occorre fare un po’ di chiarezza. Opinionisti, purtroppo non smentiti, continuano a declamare che la spesa previdenziale in Italia è la più alta d’Europa: non sanno di cosa parlano o fanno propaganda per impedire che si ritocchi in meglio l’ultima riforma, quella del 2011, il misfatto finale perpetrato alle pensioni dei lavoratori, dopo decenni di attacchi reiterati. Il loro ragionamento sembra apparentemente inoppugnabile: il bilancio dell’IPS è in rosso per 39,6 miliardi di € (le spese previdenziali, cioè le uscite dell’INPS depurate dalle spese sociali, ammontano a 258, 8 miliardi e i contributi che lavoratori ed aziende versano ammontano a 219,2 miliardi). (http://www.truenumbers.it/inps-previdenza-assistenza/). Ma questa è una rappresentazione troppo rozza. In realtà nella cosiddetta spesa previdenziale ci sono voci che non attengono alle pensioni che i lavoratori pagano con i propri contributi (come le pensioni di invalidità e la cassa integrazione), come gravano sulla GIAS (Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali), la quota delle uscite per la spesa assistenziale finanziata dallo Stato, voci che a rigore competerebbero alla previdenza (come il sostegno alle pensioni dei coltivatori diretti). Questo significa che il bilancio dell’Ente è tutt’altro che trasparente come dovrebbe essere e come è in altri paesi. Resta il fatto che, nonostante il calo dell’occupazione dell’ultimo decennio i contribuenti sono più dei pensionati e la retribuzione sopravanza la pensione media (www.bollettinoadapt.it/wp-content/uploads/2016/02/RAPPORTO-2016.pdf p. 20) dal che è facile arguire che il sistema previdenziale puro, al di là della cortina di fumo sollevata dai bilanci INPS che constano di migliaia di pagine,  è da anni in attivo. A ciò si aggiunga che lo Stato datore di lavoro per i dipendenti pubblici non versa i contributi come fanno (o dovrebbero fare i datori privati), pur riscuotendo oltre 40 miliardi dalle tasse sulle pensioni. Fu così che il “tecnico” Monti, economista di chiara fama bancaria, addossò all’INPS, cioè ai contributi dei lavoratori dipendenti, oltre 10 miliardi di debiti dell’INPDAP, derivati dall’insolvenza dello Stato. In parole povere la previdenza non costa allo Stato, ma sovvenziona lo Stato e quando si fanno riforme pensionistiche non è per risparmiare su di una spesa insostenibile, ma serve ad aumentare questa contribuzione indebita e quindi a far cassa sui contributi che i lavoratori sono costretti a versare, tra i più alti in Europa.

Competitività – I numeri sono da allarme: Giorgio Pugliotti e Claudio Tucci. Produttività in caduta nel 2016, in Il Sole 24 ore, a. 153, n° 270, 7 ottobre 2017, p. 4. Vi si dice, sulla base di dati Istat, che il Clup (Costo del lavoro per unità di prodotto) negli ultimi 17 anni è cresciuto a dismisura rispetto ai concorrenti, in particolare Germania e Francia, Il parametro molto significativo si calcola come il rapporto tra il costo medio di un’ora di lavoro e la produzione media della medesima ora. Orbene, mentre in Francia dal 2000 il maledetto indicatore è salito dell’8,7% ed in Germania è rimasto sostanzialmente stabile, il nostro paese lo ha visto aumentare del 14,3%. La catastrofe si avvicina perché come possono gli investitori esteri venire in Italia? Ci si chiede: come è possibile questo disastro se notoriamente i salari italiani, anche se caricati di un peso abnorme di tasse, restano tra i più bassi? Non ci risulta poi che i lavoratori italiani siano poi così altamente improduttivi- Il baco sta nel ricorso alle percentuali: si è fatto il raffronto partendo dal 2000 come base inziale, fatta per tutti uguale a 100; ma come era la situazione reale ai blocchi di partenza. Il Clup in Italia all’epoca era molto più basso di quello dei concorrenti, per cui, anche se è cresciuto, resta ancora più basso di quello dei competitori. Con i dati a disposizione si può infatti affermare che esso è pari a 0,79 per la Germania, 0,77 per la Francia e solo, 0,71 in Italia. Forse è bene capire che i mancati investimenti non dipendono dal costo del lavoro, che tra l’altro è una voce molto bassa nell’insieme dei costi di produzione, ma dalla burocrazia, dalla lentezza della giustizia civile e, soprattutto, da un’eccessiva presenza delle organizzazioni mafiose.

chiuso il 27 gennaio 2018

saverio