LOTTE MANCATE IN FRANCIA, RESISTENZA OPERAIA IN ITALIA

Francia. In settembre, dopo l’annuncio della riforma della legge sul lavoro fatta da Macron avevamo ipotizzato un settembre-ottobre di lotte in Francia che non c’è stato o che almeno non ha avuto la virulenza che ci si attendeva. Intanto la CGT ha scioperato e manifestato il 12 settembre mentre Mélenchon, il 23 settembre. La divisione tra i sindacati è grande e il Governo tratta separatamente e su più tavoli con le diverse componenti sindacali. Sul piano operativo il Governo che ha seguito due direzioni, sintetizzabili in un unico slogan “Liberisti con i lavoratori e protezionisti col capitale”
Da un lato ha scelto di procedere non attraverso il varo di una legge che introducesse i mutamenti sostanziali del vigente ordinamento, ma ha fatto ricorso a ordinanze settoriali e parcellizzate che disponendo interventi limitati su specifiche materie, stanno gradualmente modificando il quadro generale legislativo. La parcellizzazione dei settori colpiti a pressoché individualizzato lo scontro e ha diviso in fronte sindacale in realtà già pronto a farsi dividere. La contrattazione si è così articolata in micro trattative di settore generalmente perse dai lavoratori. Nel frattempo sembra che il Governo stia preparando per gennaio la presentazione di due disegni di legge complessivi in parte per affrontare i problemi che non possono essere trattati mediante specifiche ordinanze (Previdenza e pensioni soprattutto) e in parte per dare una copertura legislativa al lavoro fatto.
Qualcuno potrebbe dire che lo scontro è solo rimandato, ma che prima o poi i nodi verranno al pettine, ma non è la stessa cosa: l’unità di base è stata minata, le condizioni di categoria ulteriormente differenziate ecc. E poi c’è l’altra faccia della politica governativa.

Il protezionismo per il capitale

Gli annunzi si sono sprecati: “Macron propone di restringere la partecipazione agli appalti pubblici alle aziende perlopiù attive nella UE.”; “misure per difendere le aree strategiche e frenare l’espansione delle aziende Cinesi in Europa”; “punta a modificare una direttiva europea sulla tassazione dei lavoratori” e sopratutto “vuole nazionalizzare i cantieri di Saint Lazare”.
Già il protezionismo a difesa del capitalismo nazionale ma anche,almeno in apparenza, unica difesa verso la delocalizzazione e la distruzione di interi settori produttivi: Una strategia ripresa pari pari dalle proposte del Front National che tuttavia trova consenso tra la classe operaia in quanto garantisce il mantenimento temporaneo di posti di lavoro. In quanto a ripresa degli investimenti ancora gli imprenditori stanno a guardare in attesa di vedere un violento e risolutivo intervento sui salari e le condizioni di lavoro in quanto per loro l’utilizzo della leva della riduzione del costo del lavoro rimane lo strumento principe per affrontare la concorrenza internazionale e migliorare la competitività dell’industria francese. Rimane il fatto che la Francia sembra ancora avere, a differenza dell’Italia una politica industriale e sembra curare i settori che controlla nella divisione internazionale della divisione del lavoro, investendo soprattutto attraverso risorse dello Stato e attingendo a investimenti in deficit di bilancio. L’attuale situazione politica attraversata dall’Unione Europea le consente in effetti di derogare ai limiti imposti dalla politica finanziaria della Comunità più di quanto facciano gli altri paesi.
Tuttavia i segnali di crisi non mancano e riguardano soprattutto la produzione di energia con la necessità di chiudere le residue centrale a carbone mentre quelle nucleari escono progressivamente fuori produzione sia per obsolescenza tecnologica che per il costo di manutenzione e i ripetuti guasti. Ne l’agricoltura e l’agroalimentare vanno meglio anche se complessivamente le acquisizioni del capitale finanziario stanziate in Francia sembrano continuare ad acquisire il controllo di produzioni all’estero soprattutto in Italia. Certo si prepara un periodo instabile che potrebbe riservare non poche sorprese.

La risposta operaia

Italia. A occupare la scena dello scontro di classe in Italia e la vertenza tra i sindacati metalmeccanici e ArcelorMittal, il colosso industriale mondiale con sede in Lussemburgo produttore d’acciaio, che rifornisce l’industria automobilistica, il settore delle costruzioni degli elettrodomestici e degli imballaggi. Im realtà l’assetto proprietario è più complesso e fa capo alla cordata Am Investco della quale fanno parte il il gruppo Marcegaglia e Banca Intesa Sanpaolo, anche se la quota di maggioranza appartiene a ArcelorMittal, ad aggiudicare la proprietà al Consorzio è stato un decreto firmato dal Ministro Calenda, perché l’ILVA era da tempo in amministrazione controllata a causa dei dissesti causati dalla precedente gestione tanto che era previsto un forte ridimensionamento dell’organico. Ilva oggi impiega oltre 14mila addetti, mentre Mittal stima nel 2018 di avere 9.407 dipendenti, cifra che a fine piano nel 2023, dopo gli investimenti negli altiforni, dovrebbe addirittura scendere a 8.480 addetti. Tuttavia l’imprenditore si è impegnato a migliorare la sua proposta a quota 10mila addetti per tutto l’arco di piano. L’offerta ArcelorMittal, malgrado ciò appare conveniente perché il colosso dell’acciaio si è impegnato a investire circa 4 miliardi di cui 1,25 per l’ambiente. Sopratutto a Taranto il problema sono le polveri e l’inquinamento ambientale che sta uccidendo gli abitanti – soprattutto i bambini – e tutte le alte attività economiche da quelle ittiche a quelle agricole. Benché il problema costituito dagli esuberi sia enorme trattandosi di più di quattromila dipendenti distribuoiti tra le varie sedi durante le trattative se ne aggiunto uno ulteriore costituito dalla pretesa dei nuovi padroni italiani di azzerare tutti i contratti dei dipendenti per riassuimerli applicando le nuove regole del Job Act e azzerando l’anzianità. Questo a dimostrazione di quanto sia pestilenziale la nuova legislazione sul lavoro voluta dal Governo Renzi per facilitare lo sfruttamento!
Di fronte a questa pretesa la risposta dei lavoratori è stata immediata e è partita soprattutto dagli insediamenti della Liguria – regione nella quale a stare ai risultati elettorali sarebbe avvenuta una svolta a destra, Eppure la risposta è stata decisa e convinta, combatta e partecipata a dimostrazione che a venir meno è stato il voto a una forza di sinistra che non c’è ma non la solidarietà di classe dei lavoratori. La trattativa ora riparte: “L’azienda ha confermato che oltre alle 10mila assunzioni, riconosce i livelli salariali attuali“ e la vecchia struttura salariale, mentre resta l’obiettivo di lavorare sulla parte variabile dello stipendio. In verità ad occupare la fabbrica di Cornigliano e a fare i blocchi stradali è stata la Fiom che l’ha proposta all’assemblea dei lavoratori che hanno approvato, malgrado l’opinione contraria di Fim e Uilm, a dimostrazione che quando i pavidi frenano l’iniziativa operaia supplisce e vince.

Gianni Cimbalo